Spesso e volentieri si tende a risolvere le tensioni profonde che scorrono nelle vene di una grande metropoli come Teheran facendo ricorso a un’immagine stereotipata: quella del velo. Uno stereotipo bello e buono: le iraniane belle, moderne ed emancipate con il foulard che cade all’indietro (o anche senza, come nel caso di My Stealthy Freedom) vs le donne infelici, omologate e sottomesse che indossano il chador nero. Bene contro male, passato contro futuro, libertà contro dittatura. Eppure, per chi come me ci ha vissuto, la questione è un’altra, ben più tangibile e evidente di un pezzo di stoffa: Teheran è una città ferocemente classista, dove malessere sociale e privilegi smisurati si trovano fianco a fianco, in una conflittualità in parte sopita che potrebbe da un momento all’altro tornare ad esplodere.
E non sarebbe certo la prima volta. Perché in effetti questa disuguaglianza – profonda al punto da creare una doppia umanità con leggi e diritti assai diversi – fu una delle cause principali della rivoluzione che nel 1979 portò alla fine del regime dello scià. In seguito il problema, ben lungi dall’essere risolto, è tornato più volte a galla, e fu all’origine ad esempio – cosa spesso ignorata dai media – del primo successo elettorale di Ahmadinejad, che aveva fatto della sua polemica contro le “mille famiglie” di privilegiati un suo cavallo di battaglia vincente.
Allora, è anche possibile rovesciare l’immagine da cui siamo partiti. Altra è la divisione reale e scottante che domina la città: quartieri del nord contro quelli del sud, ricchissimi contro poveri, privilegio contro disagio. In quest’ottica, che le ricche iraniane del nord di Teheran protestino contro il regime facendo vedere un po’ di capelli suona in molti casi come una vera barzelletta. Semmai, in una società classista come quella iraniana, riaffermano il loro privilegio e ostentano uno status symbol. Anche perché i loro padri e mariti, vale la pena ricordarlo, sono quelli che fanno i miliardi grazie alla Repubblica Islamica, e – nonostante affermino spesso il contrario – in caso di crisi del regime si candidano ad essere gli ultimi irriducibili. Fra l’altro, sono numerosi fra loro quelli che speculano sulle sanzioni, e una parte di loro continua a spingere perché non vengano tolte.
Ora, un caso di cronaca delle scorse settimane ha riportato in primo piano la questione delle disuguaglianze, mostrando come l’odio per l’élite e i suoi privilegi sia tuttora vivo in seno alla società iraniana. Martedì 21 aprile, verso le cinque del mattino, una Porsche giallo canarino si è schiantata dopo una folle corsa notturna per le strade deserte di Teheran. Vittime dell’incidente la ventenne al volante, Parivash Akbarzadeh, e il suo accompagnatore, Mohammad Hossein Rabbani-Shirazi, di un anno più grande. Quest’ultimo, nipote di un esponente di primo piano del clero, si sarebbe dovuto sposare di lì a breve, ma non con la bella Parivash.
L’accaduto, invece di generare quel misto di sincera commozione e patetici luoghi comuni che fa la fortuna della stampa locale di mezzo mondo, ha suscitato reazioni contrastanti a Teheran. Un’inquietudine che ha trovato sfogo anche sui social network, con alcuni commenti irriverenti nei confronti della ragazza, come riportato anche da Thomas Erdbrink sul New York Times. In un paese piegato negli ultimi anni dalle sanzioni e dall’inflazione, non tutti trovano più lacrime per compatire il destino di due giovani milionari morti sulla loro auto di lusso che in Iran, ricordiamolo – a causa di una tassazione elevatissima –, costa quasi il triplo di quanto la pagheremmo noi in Europa.
Il caso è arrivato così fino ai massimi gradi della Repubblica Islamica. Il leader supremo, l’ayatollah Khamenei, in un discorso tenuto ai vertici della polizia, ha parlato di giovani “inebriati dai loro soldi, che sfilano per le strade con le loro auto di lusso”, e che con il loro comportamento creano “un’insicurezza psicologica nella società”, invitando la polizia a contenere il fenomeno.
Uno dei paradossi della gestione politica di Ahmadinejad è stato infatti quello di accentuare, anziché diminuire, la diseguaglianza sociale nel paese. Ahmadinejad, uomo del sud di Teheran che si vantava di guidare una semplice Paykan (una macchina molto economica, la Trabant dell’Iran rivoluzionario), ha in realtà solo favorito la rapida ascesa economica di una schiera di nuovi ricchi, affiancatasi alle élite tradizionali. E così, mentre la moneta locale crollava durante la sua ultima presidenza, nel nord di Teheran fioccavano le Porsche e si aprivano concessionarie della Maserati.
Con la presidenza Rouhani, nononstante alcuni segnali positivi, la svolta tanto attesa in termini economici tarda a concretizzarsi. Grandi speranze si riversano ora, da parte della popolazione iraniana, sulla possibile (e per noi auspicabile) rimozione delle sanzioni. Eppure, anche in caso di sollevamento di queste non mancano le incertezze. Basta guardarsi intorno. Dubai è lì, a pochi chilometri dalla costa iraniana, a ricordarci come ciò non sia affatto scontato. Crescita economica e uguglianza sociale non viaggiano spesso a braccetto, soprattutto da queste parti.
consiglio il film “oro rosso” di jafar panahi a proposito dell’argomento….racconta proprio questa teheran