L’odore di bruciato è acre malgrado sia passato un anno dal rogo. Tra le ceneri piccoli altari con fiori, candele nel buio, le foto dei morti e dei santi tra i vetri rotti e i calcinacci. All’esterno altri fiori, a cumuli, quelli secchi nessuno osa toglierli. Il palazzo del Sindacato di Odessa è diventato un simbolo della guerra fratricida che insanguina l’Ucraina. Qui il 2 maggio 2014 hanno perso la vita 48 persone, soffocate o arse vive, senza scampo tra le fiamme di un incendio che ancora oggi non ha responsabili.
Quelle morti sono diventate, fin da subito, preda delle opposte propagande, quella di Kiev e quella di Mosca, impegnate nel dimostrare che le colpe stanno tutte dall’altra parte. Cosa è accaduto esattamente a Odessa quel 2 maggio forse non lo sapremo mai. Come forse non sapremo mai chi erano i cecchini di piazza Indipendenza o come è stato abbattuto l’aereo della Malaysia Airlines. Misteri di una guerra su cui manca una verità giudiziaria, e su cui le inchieste – sempre frettolose – sembrano aver calato un sipario di ombre piuttosto che aver cercato di scoprire l’accaduto. Così, nel caso del rogo di Odessa, dopo sette mesi di indagini è stato pubblicato un report che offre una ricostruzione dei fatti incompleta e che distribuisce le responsabilità tra le autorità politiche, la polizia, e i gruppi organizzati presenti quel giorno in città.
L’unica cosa certa è come tutto ha avuto inizio, con l’assembramento di un gruppo di hooligans della squadra di calcio locale, il Chornomorets, impegnata in una partita contro il Metalist di Kharkiv. Le due tifoserie, storicamente rivali, si sono unite in un corteo a sostegno dell’unità ucraina e contro le ingerenze russe nel paese. Al corteo si sono uniti anche gruppi dell’estrema destra nazionalista, come il noto Pravy Sektor e membri di “Autodifesa di Maidan”. Secondo il report, le forze dell’ordine erano al corrente della possibile manifestazione fin dal 28 aprile, e lo erano anche i membri di Odesskaya Druzhina, movimento filorusso locale formatosi in opposizione a Euromaidan.
Secondo Roland Oliphant, inviato del Daily Telegraph che ha assistito in prima persona ai fatti di Odessa, “gli attivisti filorussi vestivano giubbotti antiproiettile, caschi, scudi e bastoni, tali da far pensare a un attacco pianificato”. Non sarebbero mancate le pistole. Il dottor Andrei Vegerzhinsky, medico responsabile dell’Ospedale n°1 di Odessa, ha dichiarato al Telegraph che circa novanta persone sono state curate nel suo ospedale e molte riportavano ferite da proiettili di gomma. Una donna è arrivata con una ferita di arma da fuoco che le aveva reciso un arteria ed è morta dissanguata venti minuti dopo. Il tutto sarebbe avvenuto sotto gli occhi della polizia che, secondo il quotidiano The Guardian, si sarebbe comportata in modo da favorire l’azione dei filorussi senza intervenire per fermarli. Un comportamento sanzionato anche dal report governativo che confermerebbe un certo grado di connivenza della polizia con i gruppi filorussi. Tuttavia, con il procedere degli scontri, il gruppo di filorussi è stato progressivamente sopraffatto e un drappello di questi si sarebbe sganciato andandosi a rifugiare nella piazza antistante al palazzo del Sindacato dove, da qualche settimana, un gruppo di manifestanti era pacificamente accampato per protestare contro il nuovo governo di Kiev.
Una parte dei facinorosi che hanno partecipato agli scontri precedenti, insieme a molti manifestanti pacifici della tendopoli (estranei agli episodi di violenza di quel giorno) si sono rifugiati nella Casa dei Sindacati per sfuggire all’aggressione degli hooligans e degli estremisti che hanno iniziato ad incendiare le tende nella piazza antistante. Nel palazzo governativo ben presto è divampato un incendio, provocato apparentemente dal lancio di cocktail infiammabili da parte degli assalitori che, secondo alcuni testimoni, si sarebbero abbandonati a scene di giubilo, danze e canti, di fronte alle fiamme che stavano uccidendo decine di persone all’interno del palazzo. Su questi aspetti però il report non chiarisce.
Appena qualche giorno dopo la pubblicazione del report, inoltre, alcune testate locali riprese anche da Itar-Tass hanno riportato la notizia della presunta manipolazione del documento da cui sarebbero state eliminate le dichiarazioni dei testimoni. Il caso è stato sollevato dal membro della commissione d’inchiesta che ha redatto il report, Svetlana Fabrikant, deputata della Verkhovna Rada eletta nel 2012 con il Partito delle Regioni dell’ex presidente Yanukovich. I troppi lati oscuri della vicenda, le strumentalizzazioni di parte, non ci restituiscono la verità. A un anno da quell’evento, che segnò una linea spartiacque nella crisi ucraina prefigurando la guerra civile, restano solo le ceneri del palazzo, simbolo di un paese nel quale la convivenza fra le due comunità, russa e ucraina, sembra ormai irrimediabilmente compromessa.
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testo di Matteo Zola
foto di Andrea Chiarucci – fotografo indipendente, che ha collaborato con L’Espresso, il Giornale, Eastonline con reportage dall’Europa orientale e dall’estremo oriente.
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