di Nikita Alexandrov
Nel pomeriggio di lunedì 27 aprile Le Monde non dedicava alcuna riga alle elezioni presidenziali del Kazakhstan. Elezioni anticipate, frettolosamente organizzate e dall’esito scontato: “Nursultan ha fissato la data della sua rielezione” ironizzava lo scorso mese la Nezavisimaya gazeta.
Nei circoli diplomatici di Astana e fra gli osservatori la voce aveva iniziato a circolare alla fine di gennaio, diventando ufficiale il 25 febbraio, quando il presidente Nursultan Nazarbaev, il “leader della nazione”, o meglio “capo del popolo” (Yelbasi), al centro di uno stravagante culto della personalità (si pensi alla gigantesca statua eretta nel Parco del Primo presidente di Almaty), annunciò con un discorso trasmesso dalla televisione che le elezioni presidenziali sarebbero state anticipate, adducendo come pretesto una presunta “anticostituzionale” sovrapposizione con quelle parlamentari. Bizzarra spiegazione per un regime in cui la democrazia è più parvenza che sostanza, le opposizioni ridotte al silenzio, e le cui elezioni non sono prive di brogli nonostante il sostegno garantito al presidente: “Sono un rituale formale”, sottolinea Dosym Satpayev, direttore del Kazakhstan Risks Assessment Group. Agli antipodi il giudizio di Riccardo Migliori (deputato del Pdl), per il quale “il grado di trasparenza e l’aderenza ai principi democratici del Kazakhstan sono superiori a quelli presenti negli Stati Uniti d’America”.
Il risultato del 26 aprile ha confermato le facili previsioni. Contro Nazarbaev, due candidati di facciata, per mantenere il rispetto della forma: Turgun Syzdykov ha ottenuto lo 0,7% dei voti e Abelgazy Kusainov si è fermato l’1,6%. A Nazarbaev, invece, il 97,7%. Ha votato, secondo Kuandyk Turgankulov, capo della Commissione elettorale centrale, il 95,22% degli aventi diritto. Dato che molti osservatori e analisti hanno messo in discussione, pur confermando l’alta affluenza ai seggi. Un tempo si diceva “voto bulgaro”, ma ora che in Bulgaria c’è la democrazia e le elezioni sono vere, si dovrà iniziare ad usare l’espressione “voto kazako”.
Queste elezioni anticipate dall’esito scontato nascondono diversi problemi. Da una parte la successione a Nazarbaev, al potere dal 1989 (adesso si è assicurato altri 5 anni di presidenza), e ora quasi 75enne; dall’altra la caduta del prezzo del greggio che ridotto in modo significativo le entrate dello stato, il riverberarsi nel paese del nuovo corso politico di Mosca dopo l’annessione della Crimea e la guerra in Ucraina e le tensioni con la Russia generate della svalutazione del rublo che sta mettendo fuori mercato i prodotti kazaki.
Un’economia in sofferenza. Il crollo delle entrate e delle esportazioni
Il Kazakhstan, che ha beneficiato di oltre 200 miliardi di dollari in investimenti diretti dall’estero e che ha conosciuto nei 15 anni passati tassi di crescita tra l’8 e il 13%, ora è in sofferenza. Le previsioni del governo indicano una decrescita nel 2015 (dal 4,5% all’1,5), ma quelle di analisti indipendenti oscillano tra la crescita zero e un dato negativo. Sono diversi i fattori che hanno contribuito a questa situazione di declino economico, ma quello principale è costituto dal crollo del prezzo del greggio. I prodotti energetici costituiscono il 25% del PNL e il 60% delle entrate dello stato. In origine, il bilancio dello stato per 2015 era stato elaborato su una previsione di un prezzo medio del barile di greggio pari a 103 dollari, ma il prezzo reale ora è inferiore del 50%. Il governo ha così dovuto aggiustare ripetutamente il bilancio dello stato, che ha subito una prima decurtazione del 10%, mentre altre revisioni sono probabilmente in vista.
A questi problemi se ne aggiungono altri che riguardano direttamente il settore estrattivo. Il Kazakhstan ha tentato di aumentare la produzione di greggio del 2-6% all’anno. Questa crescita si è interrotta nel 2010 per i ritardi nel giacimento petrolifero offshore di Kashagan (e bisognerà aspettare ancora un biennio). Per far fronte a questi ritardi, Astana ha ordinato a tutti gli altri campi estrattivi di aumentare la produzione, ma senza successo: gli attuali bassi prezzi del greggio e gli alti costi operativi non hanno certo fornito incentivi. Per questo nel 2015 non vi sarà alcun incremento, di contro alla iniziale previsione governativa del 2%.
Il governo ha parimenti rivisto le previsioni sulle esportazioni per il 2015, riducendole del 44,7% rispetto al 2014. Questo crollo delle esportazioni è dovuto principalmente all’impossibilità di competere con i prezzi assai più bassi delle materie prime russe, dovuti alla svalutazione del rublo: nell’ultimo trimestre del 2014 le esportazioni di rame sono crollate del 93% rispetto all’anno precedente, quelle di alluminio del 26% e quelle di acciaio del 16%.
I bassi prezzi dei beni di consumo russi si stanno riverberando anche sull’economia interna. Acquistate oltrefrontiera, sono crollate del 60% le vendite di autovetture. Sono stati colpiti in modo significativo molti altri comparti, fra cui quello degli elettrodomestici e quello dell’elettronica.
I frutti avvelenati dell’Unione economica euroasiatica e la guerra commerciale nascosta tra Astana e Mosca
Nei supermercati del paese hanno così fatto la loro comparsa manifesti che invitano i consumatori ad essere patriottici e acquistare prodotti kazaki. L’Unione economica euroasiatica sta dando frutti avvelenati. E così Mosca è stata in qualche modo ripagata con lo strumento da tempo impiegato verso i paesi vicini “disobbedienti”, dalla Georgia alla Moldova, ovvero il blocco delle importazioni di merci adducendo pretesti sanitari. Ad Astana si sono accorti che anche i prodotti “Made in Russia” non rispettano standard qualitativi e sanitari. Il 13 aprile Anna Zibrova e Aleksandr Konstantinov, in un articolo pubblicato da Kommersant, scrivevano di una guerra commerciale in corso tra i due paesi. I kazaki hanno prima bloccato le importazioni di carne di maiale e di insaccati (troppi nitriti), poi è stata la volta della maionese e della cioccolata. Il 10 aprile la risposta russa, con il blocco di carne bovina, frutta e verdura kazaka, cui ha fatto seguito l’accusa di fare transitare dal loro paese alimentari statunitensi sotto embargo in Russia… Così la settimana scorsa i kazaki hanno respinto la proposta di Valdimir Putin di introdurre una unica valuta all’interno dell’Unione economica euroasiatica. Il 22 aprile Timur Zhaqsylyqov, vice ministro dell’economia ha tagliato seccamente la testa al toro: “Il Kazakhstan ha una posizione chiara e coerente nell’escludere la possibilità di introdurre una valuta comune nel contesto dell’Unione economica euroasiatica”.
Il rublo svalutato colpisce anche il sistema finanziario del Kazakhstan e il tenge, la valuta nazionale in passato agganciata alla divisa russa. Ma nel febbraio 2014 la Banca centrale del Kazakhstan lo svalutò del 19% e con la successiva svalutazione e oscillazione del rublo le due valute si sono “sganciate” definitivamente. Nel 2014 Astana ha speso 10 miliardi di dollari per impedire al tenge di seguire la volatilità del rublo. La situazione non induce all’ottimismo: nei mesi scorsi sono circolate voci di una ulteriore svalutazione del tenge.
A sua volta il settore bancario è colpito dall’alta percentuale di prestiti in sofferenza, stimati dalla Banca centrale nel 23,55% sul totale di quelli complessivamente erogati. Si tratta di una delle situazione più gravi al mondo e che pone le banche del paese in una condizione vicina al collasso (a onor del vero, questa situazione si è già presentata in passato e il sistema bancario kazako è sopravvissuto). Le sanzioni occidentali alle banche russe colpiscono anche il Kazakhstan perché i settori finanziari dei due paesi sono strettamente interconnessi (il 12,6% del mercato del credito è russo). Per giunta, alcune grandi banche russe, fra cui Sberbank e VTB, hanno investito in grandi progetti industriali nel Kazakhstan. Ma le sanzioni hanno ridotto le loro capacità di investimento e di erogazione di prestiti.
Il rublo svalutato infine colpisce anche i migranti economici che lavorano in Russia (le loro rimesse costituiscono circa il 9% del PIL). Le contro-sanzioni di Mosca sulle importazioni di derrate e generi alimentari occidentali hanno provocato un aumento dei prezzi di questi prodotti in Kazakhstan. L’aumento dei prezzi ha superato il 40%, mentre l’inflazione nel 2014 ha toccato il 7,4%. Va poi segnalata l’altissima fluttuazione dei prezzi su base regionale.
Per fare fronte a questa situazione, il governo ha adottato una serie di provvedimenti. Certo, Astana dispone di riserve per 97 miliardi di dollari (21 in riserve valutarie e 76 nel suo fondo nazionale). Ma iniettare valuta delle riserve nell’economia potrebbe dilapidarle rapidamente. Il governo cerca invece di attrarre investimenti stranieri, in particolare occidentali. Si stanno preparando leggi per la creazione di zone economiche libere, nuovi strumenti per combattere l’endemica corruzione, e nuove tutele per gli investitori stranieri, per garantirli dal continuo mutamento del quadro legale (si prevede che leggi e tasse non cambieranno per 10 anni) e assicurare il ricorso alla Corte internazionale di arbitrato. Il governo sta anche progettando una grande privatizzazione, la prima da decenni.
Il rischio di nuove proteste sociali. Il governo è pronto a una nuova repressione?
La preoccupazione del governo di Astana è che tutti questi problemi economici possano tradursi proteste sociali, e che queste possano dare vita a disordini i cui esiti potrebbero essere imprevedibili. Alcuni dimostrazioni innescate dalle difficoltà economiche si sono tenute a Shymkent, Almaty e Astana. In passato il governo non ha esitato ad impiegare la mano dura: nel dicembre 2011 fece sparare sui manifestanti di un impianto petrolifero in sciopero a Zhanaozen, lasciando sul terreno almeno 16 morti, proprio il giorno della festa nazionale del paese, celebrazione da allora macchiata dal sangue degli operai assassinati. Nel gennaio successivo, in uno sfoggio di esibizione muscolare, vennero processati ad Aktau alcuni dei sopravvissuti al “massacro di Zhanaozen”. Gli imputati denunciarono le torture cui erano stati sottoposti nel corso della detenzione e degli interrogatori. La repressione governativa si estese fino a colpire esponenti dell’opposizione, a loro volta imprigionati. Fra questi il giornalista Zhambolat Mamay, il direttore di teatro Bolat Atabaev e personalità politiche quali Serik Separgali e il leader di Scelta democratica del Kazakhstan Vladimir Kozlov.
Attualmente, il governo sta esercitando pressioni sulle società affinché non riducano i salari né licenzino personale. La preoccupazione maggiore riguarda gli operai delle regioni occidentali, dove è concentrata l’industria energetica e dove in passato si sono avuti incidenti e turbolenze. In quelle regioni i bilanci di molte aziende si stanno contraendo e questo è destinato a tradursi in tagli salariali e di personale. Già adesso il governo sta trattando con i sindacati per prevenire possibili scioperi.
L’altra zona di preoccupazione è quella ai confini meridionali, in particolare le regioni di Almaty e Shymkent, caratterizzate da una alta densità di popolazione che si accompagna ad un alto tasso di disoccupazione. In aggiunta, in queste due regioni si trova il maggior numero di migranti, provenienti soprattutto da Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. Con le loro economie che non possono competere con quella del Kazakhstan, è facile prevedere che il numero di migranti in cerca di lavoro aumenterà. Il peggiorare della situazione economica del Kazakhstan rischia così di esacerbare le tensioni tra questi gruppi etnici.
La piattaforma elettorale di Nazarbaev, se la vogliamo chiamare così, ovvero cosa fare nell’immediato futuro, è stata enunciata nel suo discorso dell’11 marzo, pronunciato parte in kazako e parte in russo, preceduto dal mantra sull’unità e l’armonia fra le diverse etnie che vivono nel paese, dall’obiettivo di entrare a far parte del circolo dei trenta paesi più sviluppati del mondo, dall’aspirazione a diversificare la propria economia, così sganciando il bilancio dello stato dalla dipendenza dall’industria estrattiva. Due gli slogan chiave: “Mangilik yel” (nazione eterna), per sottolineare il ruolo euroasiatico che il Kazakhstan deve giocare sulla scena internazionale, espressione della forte unità interna del paese; e “Nurly zhol” (cammino soleggiato), un piano di industrializzazione, una sorta di “New Deal” alla kazaka, destinato a traghettare il paese fuori dalla contingente crisi.
L’incognita della successione al Primo Presidente. Stagnazione o instabilità
In realtà l’uscita del paese dalle difficoltà in cui si trova ha molto a che fare con la successione a Nazarbaev. Nelle ultime analisi di Standard & Poor’s non si manca di sottolineare l’età del presidente (è nato il 6 luglio 1940), al potere dal 1989, quando era il segretario del Partito comunista del Kazakhstan e membro del Politbyuro del Partito comunista dell’Unione Sovietica. Secondo Nargis Kassenova, direttore del Centro studi sull’Asia centrale dell’Università KIMEP di Almaty, siamo in presenza di un duplice problema perché si presentano dei rischi sia nella eventualità che Nazarbaev resti al potere sia che scelga di trovare un successore mentre è ancora in vita. Con la sua permanenza al potere “c’è una grande possibilità che prosegua la stagnazione del sistema”. Inoltre, il sistema politico chiuso e “l’assenza di meccanismi e istituzioni che definiscono l’interesse pubblico e l’interesse nazionale, lo sviluppo del paese continuerà ad essere guidato da progetti vanitosi, mentre resterà bloccata la creazione di una vera comunità politica”. Ma anche la successione è problematica, per le caratteristiche intrinseche al sistema, per la mancanza di regole istituzionali e per la probabile guerra tra fazioni che si scatenerebbe (si pensi solo a quanto è accaduto in passato nella stessa famiglia del presidente, con le vicende di Dariga Nazarbaeva, Rakhat Aliev).
La successione o la crisi di successione agita gli investitori occidentali, come riferiva Shaun Walker da Astana, in un articolo pubblicato dal Guardian. Ma su quanto potrà accadere è difficile avanzare previsioni, anche perché i dirigenti del paese mantengono uno stretto riserbo. Aidos Sarym, un analista che ha anche lavorato per un breve periodo nell’amministrazione presidenziale concorda: “È possibile qualsiasi scenario”. Ma osserva anche che più a lungo Nazarbaev resterà al potere senza che venga elaborato un piano per la successione, maggiore sarà il nervosismo tra gli investitori e maggiori le possibilità di instabilità.
Il prossimo 6 luglio Nazarbaev festeggerà il 75esimo compleanno. Nel 2010 aveva ordinato agli scienziati del suo paese di studiare la creazione di un “elisir” che prolungasse la vita. Gli scienziati fallirono. Ma forse questa vicenda offre un indicatore sulla sue intenzioni di restare al potere.
Traduzione a cura del Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale (CSSEO) di Levico Terme (TN)
Le condizioni economiche russe dovrebbero iniziare a migliorare un po’, dato che il petrolio è risalito leggermente, quindi anche per il Kazakhstan la situazione potrebbe vedere un lieve miglioramento. In merito ai frutti avvelenati dell’Unione Euroasiatica: in realtà questi problemi di competitività e di fette di mercato li vediamo giornalmente qui in Europa, chi perde quote, chi ne guadagna e via dicendo, ma il nostro sistema è molto più evoluto, le nostre economie sono molto più solide e diversificate, non c’è quindi bisogno di fare questi “blocchi commerciali” che sono tanto in voga fra gli ex-sovietici. Bisogna dare tempo a questi paesi di rinverdire la reciproca compenetrazione economica e, auspicabilmente, diversificare le proprie economie, perché finché tutti producono più o meno le stesse cose è inevitabile la concorrenza (Russia, Kazakhstan, Turkmenia, Azerbagian, in parte l’Uzbekistan, producono tutti idrocarburi, Ucraina, Russia, Bielorussia e Kazakhstan producono prodotti alimentari simili e via dicendo). L’Unione Sovietica diversificava, votando regioni a determinati e specifici settori produttivi, ma lo faceva rigidamente ed, in parte, stupidamente, cosa che ha creato grossi squilibri e gravi danni, come il caso del Lago d’Aral. Una sfida importante sarebbe stimolare una diversificazione un po’ più spontanea e flessibile, cosa che creerebbe un po’ più di mercato e magari un po’ più di classe media, che è poi quella che consuma……