Il 20 aprile si è aperto il processo ad Alba Dorata, o meglio a 69 persone tra cui vertici, iscritti al movimento e quasi tutti i deputati del partito di estrema destra. Il procedimento è cominciato subito tra le polemiche per la scelta delle autorità di allestire un tribunale nel penitenziario di sicurezza di Korydallos, popolare quartiere a circa 10 km da Atene. Il sindaco di questa località, Stavros Kasimatis, ha chiesto più volte di trasferire il processo, evidenziando che il carcere si trova vicino ad alcune scuole e che potrebbe diventare un luogo di ritrovo di neonazisti. E difatti, alla prima udienza, alcune delle persone chiamate a testimoniare sono state prese di mira da un gruppo di simpatizzanti di Alba Dorata – riunitisi di fronte al carcere per solidarizzare con gli imputati – e tre persone sono state ferite e ricoverate in ospedale. La prima seduta è stata poi sospesa, dopo poco più di due ore, a causa dell’assenza di uno dei difensori degli imputati, e rinviata al 7 maggio.
Il processo è stato già definito “storico” da alcuni, anche perché è la prima volta che gli imputati dovranno rispondere delle accuse a loro carico non come singoli, ma come organizzazione. Il capo d’imputazione principale nei confronti del partito nazionalista è infatti quello della costituzione di un’organizzazione di stampo criminale tesa a compiere pestaggi brutali e omicidi dei suoi «nemici ideologici» e immigrati stranieri. Un’accusa che, se provata, potrebbe costare loro fino a 20 anni di carcere. In base agli atti a carico dei principali imputati, il partito neo-nazista cominciò ad operare come organizzazione criminale nel 2008, con ai suoi vertici coloro che oggi sono gli imputati di spicco.
Nel muovere le accuse, i giudici hanno esaminato la struttura dell’organizzazione e definita la stessa come “gerarchica”, “piramidale”: al vertice c’è il segretario generale di Alba Dorata, Nikolaos Michaloliakos (assente il 20 aprile) e, intorno a lui, gli altri parlamentari eletti nel 2012. Fra loro, Christos Pappas – il “vice comandante” della banda -, sotto di lui Ilias Kasidiaris – il portavoce del movimento – e Ioannis Lagos, parlamentare dell’area circostante al Pireo, dove venne accoltellato e ucciso, il 17 settembre 2013, il rapper antifascista Pavlos Fyssas (il cui assassino, Giorgos Roupakias, siede tra i banchi degli imputati) e attaccati i sindacalisti membri del partito comunista greco.
Il processo è fondamentale per chiudere una pagina triste e pericolosa per la Grecia; il movimento di Michaloliakos è stato visto a lungo come un possibile vincitore nelle elezioni indette durante “l’era dell’austerity”: Alba Dorata ha avuto la capacità d’intercettare tutte le paure e la rabbia dei greci, messi sotto scacco da un qualcosa più grande di loro – la “Troika” – nei confronti della quale gli attori greci più moderati si piegavano senza reagire. Il processo segna la probabile morte del movimento e, dunque, il ritorno del potere nelle mani della giustizia e di una politica che non sia solo terrore e lotta al diverso.
Infine, il procedimento giudiziario è importante anche per restituire dignità e imparzialità alla polizia greca, spesso accusata di legami con il partito estremista (alcuni avrebbero sentito poliziotti gridare: “Alba Dorata siamo noi”): mettere sotto accusa il movimento significa, infatti, svelare l’eventuale connessione tra partito e polizia, e interromperla. Una volta per tutte.