Oltre la frontiera "gagé". Viaggio nel mondo dei rom

Poche popolazioni nella storia dell’umanità sono state discriminate e perseguitate come i rom. Un nome che si presta a fraintendimenti grossolani, quando non artificiosi. Etichettati convenzionalmente come “zingari”, alludendo in modo dispregiativo al nomadismo che in parte li caratterizza, i rom sono stati spesso emarginati e considerati dei parassiti della società. E invece, si tratta di un universo sfuggente, dalle radici millenarie, che a partire dal XVIII secolo è stato analizzato con grande interesse da storici e antropologi. Tutti alla ricerca di un elemento comune che potesse unificare una popolazione che oggi si attesterebbe sui 16 milioni nel mondo (170 mila in Italia). Ma si tratta di dati da prendere con le pinze, perché un vero censimento non esiste. Non bastasse, anche la pretesa di riunificarli in un ipotetico gruppo etnico si rivela più difficile del previsto, a causa della loro eterogeneità.

Un problema linguistico

Che quello dei rom sia un mondo non facilmente decifrabile lo dimostrano le dispute sull’origine. Secondo alcuni studiosi proverrebbero dall’India, mentre un’altra corrente, ormai minoritaria, li ricollega all’Egitto. La stessa parola “zingari” ha un’etimologia molto incerta. Deriverebbe infatti dalla setta eretica degli athinganoi, anche se altre fonti la ricollegano alla lavorazione del ferro. Secondo l’antropologo Leonardo Piasere il termine sarebbe invece comparso in Europa all’inizio del ‘400, per poi diffondersi nel linguaggio comune in senso dispregiativo. 

I rom, peraltro, non sono nemmeno un unico gruppo, in quanto appartengono ad una grande popolazione di lingua romanì che comprende anche altre comunità come i sinti, kale, manouches e romanichals. Un idioma che si è modificato nel corso dei secoli, risentendo degli influssi e delle inflessioni dialettali locali. Alcuni studiosi come Giuseppe Burgio ne individuano tre ceppi o strati comuni: il primo sarebbe parlato dai rom di Italia, Grecia, Albania e parte dell’Europa centrale; il secondo strato si sarebbe invece formato in Serbia, Romania e Bulgaria; l’ultimo gruppo si è sviluppato in Moldavia, Valacchia, Transilvania e Ungheria. Il dato forse più interessante è che i tre i gruppi sono presenti in Romania, con una serie di varianti fonetiche.

Ma per orientarsi nel mondo dei rom è necessario anche un cambio di prospettiva. Se spesso gli occidentali li hanno etichettati come “diversi”, ciò è avvenuto anche in senso opposto. “Gagé” è infatti il vocabolo da loro utilizzato per identificare i non rom. Un rapporto di interazione con l’altro che ricalca quello dei “barbari” nell’orizzonte culturale dei greci. Anche l’equazione rom/zingari appare fuorviante. La parola “rom” è traducibile con maschio o uomo, il che per alcuni farebbe supporre che debbano essere considerati un gruppo di tipo “professionale” più che etnico, dedito ad alcune attività che favorivano gli spostamenti e l’interazione con usi e costumi differenti.

Luoghi comuni e pregiudizi

Come tutti gruppi sociali anche i rom hanno dovuto combattere contro una serie di pregiudizi. Tra i più comuni, che siano dediti (solo) all’elemosina, che vivano (solamente) nei campi nomadi, che non lavorino, che rapiscano i bambini. Il tutto alimentato da un tam tam mediatico che ritorna puntualmente sotto elezioni o in periodi di crisi economica. In pochi sanno che alcuni divi del pallone come Zlatan Ibrahimovic, attori del calibro di Charlie Chaplin e Rita Hayworth, e perfino l’ex capo di Stato brasiliano Juscelino Kubitschek sono di origine rom.

Sempre secondo Burgio i rapporti tra i rom e i gagé non sono sempre stati caratterizzati da odio e diffidenza. Molti di loro erano infatti perfettamente integrati (come lo sono anche oggi) e si dedicavano all’agricoltura, al commercio dei cavalli e alla lavorazione dei metalli. Non di rado erano impiegati anche come soldati di ventura e girovagavano per l’Europa come giostrai. Un numero consistente di rom si è anche specializzato nel settore musicale. Altri studiosi come Alex Santino Spinelli ne hanno tratteggiato il forte senso di identità, che li porta a contrapporsi ai non appartenenti al proprio gruppo.

Anche il nomadismo non è tipico di tutti i gruppi rom. Alcune comunità erano infatti sedentarie (è il caso di quelle provenienti dalla ex Jugoslavia) ma hanno ripreso a spostarsi quando sono emigrate in altri Paesi come l’Italia. Una delle ipotesi più affascinanti è quella che vede nel nomadismo dei rom, e più generale dei cosiddetti “zingari”, un’eredità del periodo neolitico: i rom avrebbero infatti delle caratteristiche in comune con i gruppi di cacciatori raccoglitori che si erano sottratti alla sedentarizzazione, tipica delle culture agricole.

Molto interessante anche la questione religiosa.  I rom e i sinti si sono adattati al credo religioso che incontravano, soprattutto nell’Europa dell’est, riadattandolo al proprio apparato simbolico. Ne vien fuori un sincretismo religioso che si ricollega anche ad alcuni elementi magici dai quali sarebbe nato il mito dello “zingaro con la palla di vetro” e del chiromante.

Capacità di adattamento

Lungi dall’essere facilmente classificabile, l’identità collettiva dei rom (compresi i sinti e gli altri gruppi parlanti la lingua romanì) è stata plasmata da una grande capacità di adattamento, in contrapposizione/interazione con quella dei gagé e degli occidentali. Per fare un esempio, quando nel 1856 fu abolita la schiavitù in Valacchia i rom (citati per la prima volta in Romania un documento del 1385) cominciarono a dedicarsi ai mestieri artigianali e ad altre attività di carattere premoderno.

Ma nel corso dei secoli hanno saputo anche crearsi un contesto lavorativo nel quale poter rispondere ai bisogni della comunità sedentaria dei gagé, inserendosi negli “interstizi della loro economia”. Un sistema nel quale fenomeni come l’accattonaggio, l’elemosina e i furti si inseriscono in un contesto sociale complesso, di tipo simbiotico – spiega Burgio – dove il riciclo e la vendita dei materiali diventano elemento fondamentale, così come la loro versatilità lavorativa, sempre funzionale ai bisogni della comunità. Un rapporto difficile, spesso basato sulla diffidenza reciproca. La nascita dei campi nomadi, da sempre attribuita ai rom, ma di fatto istituzionalizzata tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio dei ’70, si manifesta come un’esigenza di marginalizzazione di una comunità percepita come estranea. Con un paradosso: gli “zingari” diventano nomadi perché vivono nei campi.

Foto: FParaggio, Flickr

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Un commento

  1. I sinti non sono rom. Inoltre l’ambito dello spettacolo viaggiante (i cosiddetti “giostrai”) è un mestiere che appartiene esclusivamente al mondo sinto. Inoltre suddividere i vari gruppi esclusivamente da un punto di vista linguistico è non solo errato, ma anche dannoso. I sinti non definirebbero loro stessi mai come rom (termine che ha esattamente la valenza indicata dall’articolo). Prevalente è l’aspetto lavorativo più che linguistico, ed ancor di più la prospettiva del “girare”, ossia, “chi si ferma, non è più sinto”, e diventa appunto “fermo”. Non viene neppure riconosciuto più dalla comunità di appartenenza, che, nel caso italiano è divisa per mestieri e per provenienza, sia regionale che provinciale. L’aspetto del comportamento e del “fare bene”, ha un peso fondamentale. Si tratta quindi di comunità più fluide di quanto si pensi. Il termine “etnia”, in antropologia non lo si usa più da decenni. I rom inoltre, al contrario di quanto si pensi, prediligono la vita in appartamento e in casa. La “kampina”, ossia la “carovana” o “roulotte”, è parte integrante dell’identità sinta, che vede appunto nel viaggio la base della propria identità, e non solo per esigenze lavorative… ci sono ifatti anche comunità di “camminanti” o “stagionali”, gente che gira con le giostre, ma che lo fa per un determinato periodo… non parlano sinto e neanche il gergo. Spinelli poi è un autore da prendere con le pinze…in quanto per lui gli unici veri “Rom” sono quelli Abruzzesi….guarda caso il suo stesso gruppo…. anche sulla cosiddetta “elemosina” (più correttamente “manghel”) è utile fare un distinguo. Per i Rom si tratta fondamentalmente di una pratica femminile che prevede solo l’aspetto della raccolta e non dello scambio. questa seconda pratica è tipica invece dei sinti e prevede, nella migliore tradizione del commercio e dell’offrire un servizio, la vendita di calze o centrini, o altre cose. Ora quasi in disuso per i sinti, è sempre stata considerata, al contrario dei rom, una pratica di ripiego, non fonte primaria di reddito, ma solo per “arrotondare” in caso di necessità e nei momenti in cui non si gira più; per gli spettacolisti, la principale fonte, resta sempre la giostra o le altre attrazioni.

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