L’Iran ha il diritto di sviluppare il nucleare a scopo civile. La comunità internazionale hail diritto di controllare che non sviluppi la bomba atomica. Se Teheran rispetta la tabella di marcia le verranno tolte quasi tutte le sanzioni. Un accordo win-win, un grande passo in avanti per rendere il Medio Oriente più sicuro. Questo, in sostanza, hanno detto Mogherini e Obama, Zarif e Rohani a commento dell’intesa-quadro sul nucleare iraniano raggiunta la sera del 2 aprile, che dovrà essere definita in ogni sua parte entro il 30 giugno. All’Iran però questo passo costa caro, più di quanto non dicano i sorrisi in conferenza stampa o i caroselli di auto che hanno invaso Teheran poche ore dopo. I dettagli del negoziato dati alla stampa fanno piuttosto pensare a una vittoria zoppa.
Compromesso sì, ma al ribasso
La diplomazia del gruppo 5+1 (Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania) e della Ue rinchiude qualsiasi ambizione nucleare non pacifica dell’Iran in una solida gabbia di controlli incrociati. Alcuni punti erano stati ampiamente previsti, ad esempio la riduzione del numero di centrifughe in funzione (da 19mila a 5mila, e solo di prima generazione IR-1), il limite all’arricchimento dell’uranio e al suo stoccaggio (massimo 3,67% e 300 kg), il ridimensionamento del programma di ricerca e sviluppo e l’obbligo di aprire agli ispettori internazionali tutte le strutture interessate. Questa parte dell’accordo in effetti permette all’Iran di avere il nucleare civile e di interrompere l’isolamento iniziato con la rivoluzione di Khomeini del 1979.
Le note dolenti riguardano quello che Zarif e il suo entourage hanno dovuto concedere: ed è tanto, tantissimo. Volevano che l’accordo durasse al massimo 10 anni, invece molte sue parti hanno validità di 15, 20, 25 anni. Un’enormità. Volevano mantenere intatte tutte le strutture, invece resterà solo Natanz, le altre (Arak, Fordow) saranno convertite e non ne potranno costruire di nuove per 15 anni. E ci sono clausole persino più dure, che qualcuno a Teheran potrebbe ritenere persino umilianti: gli ispettori vigileranno su tutto il ciclo di produzione dell’uranio, dalle miniere all’arricchimento fino all’ingresso del materiale fissile nei reattori, per 25 anni. Questo significa che ogni grammo di uranio, ogni bolla d’accompagnamento dei mezzi che lo trasportano, qualsiasi dettaglio che riguardi anche solo da lontano il nucleare sarà tracciato. Qui la gabbia di controlli diventa un’Alcatraz. Una condizione davvero intrusiva e difficile da accettare per Teheran, che giustamente Obama ha definito “il Paese più controllato al mondo”. Nemmeno la Corea del Nord è così scandagliata dall’intelligence americana.
Nessun vero accordo sulle sanzioni
Ma gli iraniani hanno festeggiato per strada cantando il loro inno davanti al ministero degli Esteri tutta la notte. Quello che hanno più a cuore infatti è la rimozione delle sanzioni, la retorica intransigente e anti-occidentale dell’epoca di Ahmadinejad ha lasciato ormai il posto a preoccupazioni economiche ben più pressanti. Il “Grande Satana” non puzza più di zolfo ma profuma di dollaro. Gli iraniani potranno attirare investimenti, commerciare liberamente e dispiegare appieno la loro economia, che ha tutte le potenzialità per assicurare all’Iran un ruolo egemone nella regione. La ripresa forse toccherà più la classe media, ma il fardello che pesava sull’intera popolazione era pesante: inflazione al 40%, decine di miliardi derivanti dall’export di petrolio congelati, disoccupazione alta. Si calcola che solo le sanzioni introdotte dal 2010 abbiano reso il peso dell’economia iraniana minore del 20% di come sarebbe potuto essere in condizioni normali.
Un altro fattore importante è la lotta alla corruzione e al malaffare. La docente iraniana Farian Sabahi spiegava in un’intervista radio: “A Teheran si trova di tutto, anche la Apple: ma a prezzi maggiorati, perché c’è chi lucra sull’aggiramento delle sanzioni facendo passare i prodotti da Turchia e Azerbaijan. La società è stufa, i poveri sono sempre più poveri e solo un’élite si arricchisce”. Di queste triangolazioni, grazie ai limiti imposti alla finanza iraniana e alle banche, approfittano settori dei Pasdaran (le guardie della rivoluzione create nel ’79 oggi influenti anche in politica) e influenti politici di diversi schieramenti.
Sul nodo delle sanzioni comunque restano ancora molti dettagli da definire, come dimostrano dichiarazioni contrastanti. A 48 ore dall’accordo Zarif sosteneva che sarebbero state tolte tutte e subito dopo la firma definitiva. A raffreddare gli entusiasmi ci ha pensato il ministro degli Esteri francese Fabius, avvertendo senza giri di parole che su questo punto l’accordo in realtà non è ancora stato trovato. In effetti il comunicato ufficiale redatto dai negoziatori è piuttosto sfumato: si sa soltanto che le sanzioni verranno tolte gradualmente se l’Iran rispetterà i patti. Il segretario di Stato Usa Kerry ha dato come tempistica indicativa dai 4 ai 12 mesi dopo giugno. Non è quanto chiesto in origine dall’Iran, che voleva la rimozione totale e immediata delle sanzioni, ma averle inserite nell’accordo è un buon compromesso fra le diverse posizioni.
I missili dimenticati che preoccupano i conservatori
Questa tempistica potrebbe nuocere al presidente Rohani e ai riformisti nel confronto politico interno. I primi effetti della rimozione delle sanzioni infatti non saranno immediati. Rohani ha già iniziato a presentare l’accordo come un enorme successo, portando l’attenzione proprio sulla futura ripresa economica, che però rischia di avere tempi diversi da quelli della politica. Il mandato di Rohani scade fra 2 anni e manca poco meno di un anno alle prossime elezioni, quando gli iraniani sceglieranno il nuovo parlamento e rinnoveranno l’Assemblea degli Esperti, l’organo deputato a nominare il successore di Khamenei a Guida Suprema.
I conservatori potrebbero quindi puntare a sminuire la portata dell’accordo sul nucleare. Autorevoli esponenti hanno già iniziato a criticarlo con durezza. Hossein Shariatmadari, uno dei punti di riferimento del campo conservatore e consigliere di Khamenei, ha commentato sprezzante: “L’Iran ha scambiato il suo cavallo da corsa con una briglia spezzata”. In particolare ha focalizzato l’attenzione sui destini del programma missilistico iraniano. L’accordo abbozzato a Losanna infatti prevede che l’Iran garantisca la massima libertà di movimento agli ispettori per verificare possibili dimensioni militari di tecnologie in fase di approntamento e in qualche modo collegate col nucleare. I missili balistici iraniani (gli Shahab) rientrano nella categoria perché potrebbero eventualmente montare una testata nucleare. Quindi l’Iran potrebbe essere costretto, stando alla lettera dell’accordo, a rivelare importanti dettagli della sua industria militare o addirittura a vedersi imporre uno stop alla produzione di questi armamenti. In ogni caso questo punto è una potenziale ipoteca sulla forza contrattuale dell’Iran da qui a giugno: i negoziatori occidentali possono sfruttarlo per imporre le loro richieste. Magari proprio sulle sanzioni.