L’Islanda intende ritirare la sua candidatura a far parte dell’Unione europea, ha annunciato il ministero degli esteri di Reykjavik giovedì 12 marzo, ma l’opposizione denuncia una mossa “incostituzionale” e chiede un referendum. Nel frattempo, i Pirati sono diventati il primo partito sull’isola.
“Non considerateci più un paese candidato. Per favore.”
“Il governo d’Islanda non ha intenzione di riprendere i negoziati d’adesione“, che erano stati sospesi a seguito dell’elezione di un governo conservatore nel 2013, si legge nella lettera consegnata dal ministro degli esteri Gunnar B. Sveinsson al collega lettone Edgars Rinkevics in rappresentanza della presidenza del Consiglio UE. “Resta ferma posizione del governo che l’Islanda non debba essere considerata un paese candidato all’adesione all’UE, e considera appropriato che l’UE aggiusti le proprie procedure di conseguenza”.
La nazione nordica aveva fatto domanda di adesione all’UE nel 2009, dopo che la bancarotta finanziaria aveva lasciato l’isola nella crisi nera, e dopo l’elezione di un governo di socialdemocratici e verdi. I negoziati d’adesione erano iniziati l’anno successivo ed erano proceduti spediti, con 27 capitoli aperti su 35 (di cui 11 già chiusi), dato che l’Islanda fa già parte dell’Area economica europea (EEA) di circolazione delle merci e dello spazio Schengen di circolazione delle persone.
Ma l’elezione nel 2013 una coalizione conservatrice ed euroscettica tra il Partito dell’Indipendenza (conservatori) e il Partito del Progresso (agrari/liberali), gli stessi ad aver portato l’isola alla bancarotta 5 anni prima, aveva portato alla sospensione dei colloqui negoziali, in attesa di una presa di decisione più chiara. Prima delle elezioni la coalizione di destra aveva promesso di portare la questione della continuazione dei negoziati alla cittadinanza stessa tramite un referendum.
L’opposizione chiede un referendum e si appella alle istituzioni UE
Non sembra tuttavia che sulla questione sia ancora detta l’ultima parola. Da una parte, vari costituzionalisti islandesi segnalano che la lettera del governo potrebbe non avere alcun significato formale, in quanto non sostenuta da una risoluzione dell’Alþingi, il parlamento islandese. E d’altronde, nel testo della lettera il governo si mantiene sull’ambiguo, chiedendo che sia l’UE a non considerarla più un paese candidato, anziché affermando di ritirare formalmente l’atto di candidatura. Secondo il leader dei socialdemocratici all’opposizione, Arni Pall Arnason, “il governo non osa affrontare il parlamento né i cittadini su questa questione, ma cerca di tendere una trappola all’UE affinché accetti un cambiamento [unilaterale] dello status dell’isola”.
L’opposizione ha scritto una lettera alle istituzioni UE, spiegando che il mandato affidato dal Parlamento islandese al governo nel 2009 può essere revocato solo da un nuovo voto parlamentare. Una mossa (che ricorda vagamente la vicenda della lettera dei deputati repubblicani all’Iran, contro Obama) che il ministro degli esteri Sveinsson ha bollato come un “colpo di stato“, dimostrando come anche tra i ghiacci del nord possano surriscaldarsi gli animi. Bruxelles ha confermato di aver ricevuto entrambe le lettere, ma per ora la Commissione europea non si è espressa sulla questione.
Islandesi in piazza per il proprio diritto a decidere. Anche se la maggioranza resta contraria
Circa settemila cittadini islandesi (su un totale di 320.000 in tutta l’isola) sono scesi in piazza domenica 15 marzo a Reykjavik per protestare contro l’iniziativa del governo di ritirare la candidatura all’UE senza un referendum popolare sulla questione. Si è trattato della più ampia dimostrazione di piazza in Islanda dalla bancarotta finanziaria del 2008.
La maggioranza degli islandesi resta contraria all’adesione all’UE, secondo i sondaggi, ma i dimostranti hanno spiegato di voler conoscere i termini finali del negoziato prima di decidere se accettare o meno. Le maggiori divergenze tra Islanda e UE restavano sulle questioni della pesca nel mare del Nord. Nel 2014 l’UE aveva raggiunto un accordo sulle quote di pesca dello sgombro con Norvegia e isole Faroe, che era però stato denunciato dall’Islanda. Il paese nordico sta tornando ai livelli economici pre-crisi, e si appresta a breve a levare le restrizioni alla libera circolazione dei capitali introdotte al tempo della bancarotta.
Il vizietto del governo Gunnlaugsson, quella voglia di scavalcare il Parlamento
Il governo di Reykjavik ci aveva già provato a febbraio, presentando ai deputati una risoluzione per metter formalmente fine ai negoziati. Ma la risoluzione si era arenata in un comitato, dopo aver suscitato ampie proteste: più del 20% dei cittadini islandesi avevano firmato una petizione per domandare alla maggioranza di governo di mantenere la propria promessa elettorale di una consultazione popolare in materia.
Il governo di Sigmundur David Gunnlaugsson ha tuttavia annunciato di “non aver intenzione di tenere un referendum sulla questione dei negoziati d’adesione all’UE, poiché si tratterebbe di un voto su una questione a cui il governo già si oppone.” Al contrario, il governo Gunnlaugsson ha annunciato di essere a favore di un referendum in futuro in caso i negoziati d’adesione dovessero essere ripresi.
In passato, Malta aveva sospeso la propria candidatura tra il 1996 e il 1998, durante un periodo di governo laburista, prima di riattivarla ed entrare nell’UE nel 2004. Al contrario, Svizzera e Norvegia hanno sospeso le proprie sine die a seguito di referendum popolari negativi nel 1992 e 1994, ma non hanno mai formalmente ritirato l’atto di candidatura.
Partito Pirata al 23%, verso un nuovo scenario politico a Reykjavik?
Intanto nei sondaggi elettorali volano i consensi per il Partito Pirata, ormai primo partito nell’isola. Secondo i sondaggi MMR, i pirati raddoppiano i consensi rispetto a solo un mese fa (dal 12,8 al 23,9%), passando di poco il Partito dell’Indipendenza al governo (23,4%). Seguono l’Alleanza Socialdemocratica (15,5%), opposizione, e il Partito del Progresso (11%), maggioranza. Quindi Verdi/Sinistra (10,8%) e i liberali europeisti di Futuro Luminoso (10,3%). Al momento, i due partiti di maggioranza raccolgono il sostegno di solo un terzo dei potenziali votanti.
Il Partito Pirata islandese è stato fondato nel 2012, e alle elezioni del 2013 ha raccolto il 5,1% dei voti ed eletto 3 deputati, primo partito pirata al mondo ad entrare in una legislatura nazionale. “Ad essere onesta, non so perché godiamo di tanta fiducia, ne siamo sorpresi noi stessi. Prendiamo il risultato con umiltà e lo consideriamo un segnale per il governo e per le politiche arbitrarie del Partito dell’Indipendenza”, dice la leader del Partito Pirata islandese (PPIS), Birgitta Jonsdottir. “La politica tradizionale non ha mostrato progressi, e la popolazione è stanca di aspettare il cambiamento. E’ bene che i cittadini stiano rigettando questa corruzione e hubris [arroganza]”.
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