Béla Bártok è stato senza dubbi il più grande compositore ungherese e una delle più grandi personalità della musica del XX secolo. Nagyszentmiklos, la cittadina dell’Impero austro-ungarico dove nacque nel 1881, era un luogo caratterizzato dal plurilinguismo, dove numerose etnie convivevano una accanto all’altra. Alla sua nascita l’etnia maggioritaria nella cittadina era quella tedesca (gli şvabi di Romania), seguita da quella romena, dagli ungheresi e dai serbi. Questo naturale mescolamento tra popolazioni influenzò profondamente le idee artistiche del compositore, che fu uno straordinario poliglotta: il padre era di origine slovacca e la madre tedesca, entrambi poi parlavano il romeno. Nel 1918 il Banato passò alla Romania e Nagyszentmiklos adottò il nome di Sânnicolau Mare.
La creazione di una nuova musica nazionale ungherese
Il giovane Bartok venne mandato a studiare dapprima a Bratislava e poi a Budapest, dove si iscrisse al Conservatorio. Nell’ambiente cosmopolita della metropoli ungherese venne in contatto con il fertile ambiente culturale locale, dove erano attivi filosofi come Lukács e poeti come Endre Ady. Quest’ultimo, nato anch’egli nell’attuale Romania e destinato a divenire amico con il poeta romeno Octavian Goga, affascinò il giovane Bártok per la ricercata unione nella sua poesia di elementi occidentali e tradizione ungherese. Il compositore, profondamente coinvolto dai sentimenti anti-tirannici di Endre Ady, scrive in una lettera a un amico romeno: «gli ungheresi, i romeni e gli slavi di questi paesi devono allearsi perché sono fratelli nell’oppressione. Noi non avevamo avuto ancora un poeta che osasse scrivere qualcosa di simile». Bártok fare qualcosa di simile anche a livello musicale: creare una musica profondamente ungherese ma totalmente aperta alle avanguardie occidentali, a Strauss, a Debussy, a Stravinskij e alla Scuola di Vienna, insomma, all’Europa.
Le ricerche sul campo e il superamento della dimensione nazionale
Nel 1905, quando in Ungheria era già noto come il “Čajkovskij di Budapest”, conobbe l’amico di una vita, il compositore Kodály, con cui condivideva la passione per il canto folclorico. Bártok iniziò a collezionare canti popolari ungheresi estendendo successivamente le proprie ricerche scientifiche all’area della Transilvania e al canto popolare romeno. Visitò il Bihor, il Maramureş, alcune delle regioni più ricche in Europa per lo studio del folclore. Ma da queste ricerche non nacquero solo dei poderosi volumi di etnomusicologia ma anche un nuovo stile musicale: Bartok adopera gli strumenti musicali tradizionali in modo originale, spesso adottando sonorità percussive e ritmi tipici del folclore. La Transilvania gli ispira, tra le altre opere, le Danze romene, scritte nel 1915, dove compaiono motivi romeni originali. Vennero eseguite nel 1920 a Cluj, segno che l’acquisizione della Transilvania da parte della Romania non gli impedì di avere contatti con questo paese (accanto a un decisa freddezza verso la dittatura fascista magiara).
Antinazionalismo e antifascismo
Mi considero un compositore ungherese: il fatto che alcune melodie nelle mie composizioni si ispirino o si basino sul folclore non è una giustificazione per considerarmi come compositorul român […] Il mio reale principio-guida — di cui sono stato pienamente cosciente sin da quando cominciai a comporre — è la fratellanza tra i popoli, fratellanza al di là di guerre e conflitti. Cerco nel miglior modo possibile di servire questa idea nella mia musica e per questo non rinuncio a nessuna influenza, sia slovacca, romena o araba o quale che sia la sua origine.
Bártok si schiera contro i nazionalismi europei esaltando, attraverso lo studio della musica popolare, l’universalità della cultura umana. La sua grande curiosità intellettuale lo spinse addirittura a compiere un viaggio a Biscra, in Algeria, per conoscere sul campo il folclore arabo. Mantenne frequenti contatti con gli amici romeni, primo tra tutti con George Enescu, e fu testimone, attraverso la sua musica, della terribile tragedia che colpì la Mitteleuropa. Decise perciò di abbandonare per sempre l’Europa dell’Est nel 1940 e morì negli Stati Uniti in povertà, lontano, sconfortato nel vedere la propria patria inabissarsi dalla dittatura nazi-fascista a quella comunista.