Adesso che Debaltsevo è caduta, assicurando alle forze separatiste appoggiate da Mosca il pieno controllo delle regioni di Lugansk e Donetsk, il presidente russo torna a parlare di pace. Gli accordi di Minsk, siglati il 12 febbraio scorso, prevedevano un cessate-il-fuoco e il ritiro delle truppe a partire dal 15 febbraio. Tali accordi non sono mai entrati in vigore a causa dell’azione dei separatisti filorussi decisi a prendere Debaltsevo, snodo fondamentale e strategico sulla linea tra Donetsk e Lugansk. Ma ora che Debaltsevo è presa, il Cremlino torna su quegli accordi impegnandosi a rispettarli (e a farli rispettare dai separatisti). Meglio tardi che mai?
La parola di Putin non vale niente
Non proprio. Anzitutto occorre ricordare che a Minsk il presidente Putin aveva chiesto dieci giorni (e non tre, come sono stati poi decisi) prima dell’inizio del cessate-il-fuoco. In quei dieci giorni avrebbe potuto tranquillamente spingere i separatisti fino alla presa di Debaltsevo restando nella legalità formale degli accordi. Ma della legalità al Cremlino si curano poco (come Crimea insegna) e Debaltsevo se la sono presa lo stesso, consapevoli che nessuno, in Europa, avrebbe detto alcunché. La Russia sta facendo il bello e il cattivo tempo: è lei che decide quando si fa la pace e per quanto tempo, è lei che decide quando si combatte, è lei che con una mano firma un cessate-il-fuoco e con l’altra invia rinforzi ai separatisti. Tutto questo sotto gli occhi, ben chiusi, dell’Europa che finge di credere ancora alle promesse da marinaio di Putin il quale, giusto un anno fa, rassicurava: “non vogliamo annetterci la Crimea“, e tutti abbiamo visto come è andata.
L’Europa tra appeasement e realismo
Gli accordi di Minsk, caduti a Debaltsevo, dimostrano la scarsa volontà europea a tutelare gli interessi ucraini e riconoscono a Mosca una posizione di forza sancita anche dalle posizioni in campo. L’Europa cerca con Mosca un appeasement che, è bene riconoscerlo, tutela largamente i suoi interessi. Almeno quelli di Germania e Francia, che con la Russia hanno importanti accordi energetici, commerciali e commesse militari, ma anche quelli dell’Italia e di buona parte dell’Europa centro-orientale. La Gran Bretagna è l’unica che spinge per un intervento più deciso nei confronti di Mosca: memore di Chamberlain o troppo piegata sugli interessi americani?
Durante la Conferenza di Monaco del 6 febbraio scorso la Germania ha posto il veto all’invio di armi all’Ucraina malgrado le pressioni degli Stati Uniti. Una scelta improntata al realismo da parte di Angela Merkel, donna che parla il russo, cresciuta nel cuore della Guerra Fredda, e assai più capace di penetrare la logica politica russa di quanto non possa fare il suo omologo americano. Il cancelliere tedesco sa bene che una Russia minacciata non si ritrae ma raddoppia la posta. E in palio non c’è il Donbass ma l’Ucraina intera, obiettivo strategico fondamentale per la Russia.
Pensavamo fosse una guerra, invece era un calesse
La dichiarazione di Putin – rilasciata durante un’intervista alla televisione di stato – che una guerra tra l’Ucraina e la Russia è “improbabile” è la beffa oltre al danno. Il danno è che la Crimea non tornerà all’Ucraina, che si trova così amputata di un suo territorio in barba a ogni trattato internazionale, a partire dagli accordi di Helsink che sanciscono l’inviolabilità dei confini (ma, si è detto, la legalità non è di casa al Cremlino ultimamente). La beffa è che quella combattuta fin qui nel Donbass, evidentemente, non è una guerra tra Russia e Ucraina: Mosca insiste nel negare il suo coinvolgimento nel Donbass quando è ormai evidente, sia per la qualità degli armamenti in mano ai separatisti, sia per il diretto impegno russo in sede diplomatica, che la Russia in questa guerra la fa da padrona.
L’Ucraina è finita
Ora, al netto delle critiche al Cremlino, bisogna essere realisti: l’Ucraina come la si conosceva dal 1991 non c’è più. Le cause del conflitto e degli enormi cambiamenti lungo le frontiere orientali dell’Europa non sono però tutte ascrivibili all’azione di Mosca. I facili parallelismi con un passato non molto lontano (Monaco ‘38) tanto abusati negli ultimi mesi, non solo non aiutano a capire, ma forniscono una spiegazione semplicistica ad una situazione molto più complessa ed eterogenea.
La politica delle sanzioni (per non parlare della possibile fornitura degli armamenti, che, con la dilagante corruzione all’interno dell’esercito e con battaglioni paramilitari di dubbia fede ideologica che scorrazzano un po’ per tutto il paese, non si sa nemmeno in che mani andrebbero a finire), in assenza di un concreto approccio strategico e di un dialogo “realista” con Mosca da parte di Bruxelles e Washington, continuerà ad essere piuttosto miope e per certi versi controproducente. Il tanto auspicato cambio di regime ai vertici del Cremlino, inoltre, sembra pura fantasia. Il dissenso all’interno del circolo governativo (che effettivamente è presente) difficilmente riuscirà a trasformarsi in una vera e propria alternativa a Putin, anche perché i mesi di crisi sono serviti al presidente per fare una certa selezione tra gli uomini più vicini. Inoltre la guerra, al momento vincente, sta rafforzando la posizione di Putin.
Una buona maggioranza della popolazione nonostante l’aggravarsi della crisi economica è con lui, indiscutibilmente anche grazie al controllo statale sui media nazionali. E poi, chi ha detto che un eventuale sostituto di Putin, considerate le attuali relazioni con l’Europa e gli USA e la situazione interna alla Russia, sarebbe un partner più affidabile? La verità è che ci sono elementi strutturali rimasti irrisolti dagli anni Novanta sia a livello internazionale sia all’interno dell’Ucraina stessa.
Cosa resta della popolazione ucraina?
Se si ha davvero a cuore la popolazione dell’Ucraina (cosa che i commentatori internazionali e i leader mondiali non mancano mai di sottolineare davanti alle telecamere), l’Europa e gli USA dovrebbero iniziare a ripensare (o a pensare per la prima volta) il ruolo dell’Ucraina all’interno delle relazioni Russia-UE-NATO e più in generale la strategia di sostegno alle rivoluzioni colorate nello spazio post-sovietico, destinate purtroppo al fallimento se affrontate senza un piano politico coerente e lungimirante per il periodo post-rivoluzionario.
Le tensioni geopolitiche che hanno fatto dell’Ucraina il campo da gioco per le opposte potenze hanno avuto, quale esito, una guerra che ha scavato un solco difficilmente sanabile tra due comunità, quella ucraina e quella russa, che fino a ieri non si percepivano né diverse né ostili ma oggi la linea del fronte è un confine, un taglio, che rischia di uccidere il paese. La cultura ucraina, che come dice il nome è la cultura di chi sta “presso il confine” rischia concretamente a scomparire poiché l’identità ucraina non è unicamente quella espressa a Leopoli o Kiev, connessa con i modelli culturali e le categorie mentali dell’Europa, ma anche quella di Kharkiv e Donetsk, certo più affine al mondo russo. L’identità ucraina sia la fusione (e non la somma) di questi due elementi culturali. Se questi elementi vengono scissi, l’identità ucraina per come la conosciamo finisce. L’Ucraina centro-occidentale, da sola, non sarebbe “più” ucraina, ma meno.
Massimiliano Di Pasquale ha descritto molto bene questa doppia anima dell’Ucraina, dicendo che a ovest è chiaro che ti trovi in Europa, mentre a est si avverte la cultura russa. Ma nel mezzo c’è un’identità mescolata, e tracciare un confine netto tra queste due “anime” è impossibile. Perché il confine in questione, quello tra Russia ed Europa, è un confine mobile attorno a cui si coagulano identità differenti dando vita a quella che è (era?) la cultura ucraina: tracciare un confine militare, fatto di morti, sangue, odio, rischia di spezzare questo equilibrio. Il confine che univa diventa un confine che divide, la cerniera si fa cesura. E l’Ucraina muore.
Senza alcuna volonta di difendere la politica russa, devo però constatare che l’Occidente ha un atteggiamento schizofrenico ormai nei confronti del resto del mondo. Se il Kosovo cerca di separarsi dalla Serbia, tutti a parlare del principio di autodeterminazione dei popoli ed altre belle fregnacce; se la popolazione russa della Crimea e delle regioni orientali dell’Ucraina, cerca di separarsi dall’Ucraina e ricongiungersi alla Russia tutti a parlare dell’inviolabilità dei confini e dei trattati in merito. Continuando così l’opinione pubblica conterà così poco che i nostri governanti ci faranno andare gaiamente verso la Terza guerra mondiale.
adesso la crimea fa una bella vita..imprenditori chiudono, e i militari arrivano. Molto meglio di prima..niente da dire..
L’assoluto pessimismo e l’irragionevole ottimismo possono offuscare la prospettiva storica in cui comunque dobbiamo collocare gli avvenimenti contemporanei e le nostre interpretazioni.
Sicuramente oggi Putin gode del upper hand, ma il giudicare abusato il riferimento a Monaco 1938, non ci deve far dimenticare che dopo un Chamberlain è venuto un Churchill (come dopo un Daladier, un De Gaulle), forse è utile tener ben a mente che dopo Budapest 1956 e Praga 1968 è arrivato il crollo del Muro 1989. Un certo atteggiamento, permettetemi, pompieristico che vorrebbe essere equidistante dalle opposte propagande e attento ai problemi della gente comune, di fatto risulta succube delle ragioni del più forte, del più manesco. E l’imparziale disanima qualche volta non porta da nessuna parte.
La vostra analisi da politologhi da per scontata una definitiva permanenza del putinismo. accantonando un pò troppo sbrigativamente la questione del destino di Putin e se incarni veramente gli interessi del popolo russo, o se invece non stia trascinando la Russia, dopo venticinque anni, in una nuova catastrofe.
Io che politologo non sono, mi posso permettere di stare dalla parte della ragione e sperare.
L’Ucraina muore per chi la vuole fare morire. Putin ci prova ma deve fare i conti con il proprio popolo: come nelle migliori tradizioni dittatoriali, è sempre il dittatore che fa una brutta fine! Deposto Putin e instaurata la democrazia – perché questo è l’inevitabile corso della storia – il Cremlino dovrà ritirarsi subendo la sua Waterloo. Non si scappa dalla storia. E gli ucraini non fanno e faranno la parte degli …. spettatori, perché li abbiamo fin troppo sottovalutati ed umiliati: è più facile che muoia l’Italia piuttosto, dissanguata nei suoi valori storici, istituzionali, politici, economici, giuridici, etici e civili …
Caro Saverio,
credo che confrontare il Kosovo con l’Ucraina dell’est sia sbagliato per un semplice motivo, ovvero per il fatto che in Kosovo era in atto un genocidio da parte Serba.
Detto ciò ovviamente riconosco delle peculiarità storiche e sociali all’est Ucraino, infatti credo che un potere decentralizzato sia l’unica soluzione valida in Ucraina.
Cordialmente
Mišo
L’analisi è verosimile, peccato che l’artefice di tutto questo è il sistema mafioso e autoritario mantenuto dal capo clan. Come possiamo noi occidentali giustificare e comprendere le politiche imperialistiche di questi banditi? Tutti questi saggi, parlano sazi di democrazia, a panza piena si permettono di fare analisi sulla qualità della propria libertà e dei propri diritti?! Le stesse conquiste che gli permettono di sputare sulla ricca tavola imbadita, pagata a caro prezzo, con il sangue degli altri, non loro!
indipendentemente da chi ha provocato questa situazione il risultato è che russofoni e ucraini non riusciranno piu a convivere
e con quel po di economia rimasta gli ucraini non riusciranno nemmeno a pagare gli interessi sui prestiti ottenuti
Non è la prima volta nella storia che il confine dell’Ucraina si sposta. Certamente le guerre alimentano l’odio. Ma qui la partita è tutt’altro che chiusa. In verità si deve vedere se in Putin prevarrà la convinzione che gli europei continueranno a mettere la testa sotto la sabbia e che quindi potrà alzare la posta, oppure quella per cui non sia il caso di tirare troppo la corda ma convenga bensì di consolidare i risultati raggiunti congelando la situazione come in Transnistria. E’ evidente che ogni atto del governo di Kiev politicamente (e dico politicamente non militarmente) ritenuto ostile da parte della Russia sarà pretesto per riprendere l’iniziativa militare.