GRECIA: Grexit strategy? L'eurogruppo decide le sorti di Atene

Oggi, si direbbe, è il Big Day, il giorno in cui l’eurogruppo si riunirà nuovamente – dopo gli incontri tenutisi la scorsa settimana – e deciderà della sorte della Grecia. Dentro o fuori. O, come molti “smorza-entusiasmo” dicono, “a metà”.

Le prime riunioni dell’eurogruppo (il Consiglio UE dei ministri degli affari economici dei 19 paesi euro) si sono, sostanzialmente, risolte con un nulla di fatto: quando sembrava essere giunti ad un accordo su un testo – che pareva scritto dal conte Mascetti di “Amici miei” per le “supercazzole” in esso contenute -, ecco arrivare la telefonata di Tsipras a Varoufakis, atta a bloccare tutto. Il testo recitava: “Le autorità greche hanno dato il loro accordo per lavorare costruttivamente con le istituzioni per esplorare le possibilità di estendere e concludere con successo l’attuale programma prendendo in conto i nuovi piani del governo”.

Come a dire: prendiamo tempo, ragioniamoci ancora su e sottraiamo la Grecia da un più che probabile default. Invece, al Primo Ministro greco non andava proprio giù quella parolina, “estendere”, riferita all’attuale programma. E così oggi si arriverà senza un piano preciso, senza un accordo, con i nervi tesi e, dunque, con le posizioni dei leader ancora più radicalizzate. Probabilmente, alla fine avranno ragione gli “smorza-entusiasmo” e si arriverà a un compromesso che accontenti entrambe le parti, ce lo auguriamo; ma proviamo ad analizzare cosa accadrebbe nel caso non si raggiungesse un accordo.

E se la Grecia uscisse dall’euro?

In questi mesi, la “Grexit” è stata più volte ventilata, ma mai presa seriamente in considerazione; sia perché lo stesso Tsipras la escludeva a priori, sia perché era un qualcosa di troppo grosso, di troppo rivoluzionario per poterlo realisticamente immaginare.

Ora, però, lo scenario è cambiato; i “contro” sono ancora molti, a cominciare dal conseguente indebolimento dell’euro, dovuto non tanto all’uscita della Grecia in sé – economicamente poco rilevante, appena il 2% del PIL europeo -, ma agli effetti indiretti che sicuramente scaturirebbe, primo fra tutti la dimostrazione che il motto “whatever it takes”, basato sull’assunzione che nessun paese dell’Euro sarebbe stato lasciato fuori, è morto e sepolto, che quindi l’euro è fallibile e che la faustiana pretesa di riuscire a gestire una moneta senza metterla sotto l’ombrello di un potere caratterizzato da quei mezzi e da quei modi propri dello Stato, senza la delega, da parte degli Stati, dei propri poteri di sovranità economica, ma con il semplice coordinamento delle varie politiche economiche nazionali non ha funzionato ed è stato solo un bellissimo sogno.

D’altra parte, se oggi l’eurogruppo accontenterà la Grecia, come potranno Commissione e Consiglio UE – in un prossimo futuro – chiedere agli altri paesi il rispetto dei trattati e degli impegni? Perderebbe credibilità tutta una politica di riforme strutturali, di un euro solido come base per crescita e investimenti. Il contagio sarebbe certo, come certo sarebbe il conseguente  indebolimento dell’Euro.

Quali sarebbero invece i “pro” per l’Europa? Scrive Franco Debenedetti su Il Foglio: “Ogni cosa ha il suo costo-opportunità, e ci sono costi che uno decide di non pagare.. Con la Grecia fuori, l’euro diventa più tedesco, i paesi “del sud” più esposti: potrebbero verificarsi circostanze in cui i mercati puntino sull’uscita di uno di loro, e che l’euro sia solo uno Sme 2.0. L’Euro, più debole nel breve periodo, potrebbe però diventare più forte nel medio-lungo: se si coglie l’opportunità per fare chiarezza. Smettere di forzare sul presente tradizioni passate (“mai più guerre in Europa!”), smettere di puntare su fughe in avanti (Stati Uniti d’Europa), ma rispettare per come sono scritti i trattati che chiediamo agli altri di osservare”.

A chi converrebbe l’uscita della Grecia?

Non ci sono però solo gli aspetti economici da tenere in considerazione; come già abbiamo avuto modo di raccontarvi, in questi anni il flirt tra Grecia, Cina e Russia si è fatto sempre più spinto: la Cina per interessi economici, la Russia per quelli strategici, tanto che Tsipras, dopo aver inizialmente annunciato il blocco della cessione del porto del Pireo ai cinesi, si è subito affrettato a smentire lo stop.

Dall’altra, la Russia potrebbe chiedere, in cambio dell’acquisto del debito di Atene – in caso fallisse l’accordo con l’Unione europea – che la Grecia esca dalla Nato, aderisca alla Shanghai Cooperation Organization (l’organismo intergovernativo di cui fa parte anche la Russia) e dìa in concessione le basi militari ex-Nato. Uno scenario descritto dal politologo Ian Bremmer, fondatore dell’Eurasia Group, che potrebbe non discostarsi molto dalla realtà. Gli Stati Uniti si faranno dare scacco matto? O metteranno Angela Merkel di fronte alla dimensione politica che la decisione di abbandonare il paese ellenico potrebbe avere, costringendola a fare dietrofront?

Chi è Flavio Boffi

27 anni, dottorando in Studi Politici a La Sapienza, laureato in Relazioni Internazionali all'Università degli Studi Roma Tre. Collaboro con East Journal da giugno 2014, dopo aver già scritto per The Post Internazionale e Limes.

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