GRECIA: Che Tsipras restituisca la dignità ai macedoni. Basta con veti e nazionalismi

La Grecia è una nuova speranza per l’Europa“. Con queste parole il nuovo primo ministro, Alexis Tsipras, ha salutato la folla che in piazza dell’Università, ad Atene, festeggiava la vittoria di Syriza lo scorso 25 gennaio. “La Grecia va avanti con speranza verso un’ Europa che sta cambiando. Noi abbiamo fatto un passo avanti per incontrare tutti gli altri popoli dell’Europa – ha dichiarato dal palco Tsipras – Combatteremo per la democrazia a livello sociale e a livello amministrativo. Ci riprenderemo la speranza, il sorriso, la nostra dignità“.

La Grecia di Tsipras vuole quindi essere un grimaldello di libertà e democrazia per i popoli d’Europa, posti su un piano di eguaglianza sostanziale, rompendo la logica del piccolo paese che deve obbedire ai diktat di quelli più grandi. Sante parole.

E’ dunque lecito attendersi che, una volta affrontate le emergenze del momento, Atene volga lo sguardo ai suoi vicini. Alla Macedonia, in particolare, piccolo paese che dal 1991 vede la propria adesione all’Unione Europea e alla Nato compromessa dalla Grecia che pone il veto a qualsiasi integrazione del paese. Le ragioni del veto greco sono motivate da un ridicolo nazionalismo, eredità dell’epoca dei Colonnelli, che condanna un piccolo paese, la Macedonia, alla crisi economica e all’isolamento politico a causa delle angherie di un paese più grande, la Grecia appunto.

La disputa con Atene riguarda il nome ufficiale del paese. Al momento della proclamazione dell’indipendenza del nuovo Stato, infatti, il governo greco sollevò tre obiezioni che ne impedivano di fatto il riconoscimento: la prima, tutt’ora irrisolta e problema principale della disputa tra i due paesi, sull’utilizzo del nome “Macedonia”, poiché il termine indica anche l’odierna regione greca Macedonia ed è ritenuto dalla Grecia parte esclusiva della propria storia e della propria eredità culturale.

Le altre due obiezioni, meno spinose, erano relative rispettivamente alla bandiera originalmente adottata dalla Repubblica macedone, in quanto la Grecia rimproverava alla nuova Repubblica di essersi appropriata di un simbolo dell’antico stato di Macedonia (il Sole di Verghina, simbolo della dinastia di Filippo il Macedone); e ad alcune clausole incluse nella costituzione della nuova Repubblica, interpretate come annuncio di possibili pretese territoriali future.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite, come compromesso tra i due stati in disputa, ha deciso di riconoscere la Macedonia con il nome di FYROM (the former Yugoslav Republic Of Macedonia) nella primavera del 1993, e, dopo l’ammissione del nuovo stato nelle Nazioni Unite con tale nome, altre organizzazioni internazionali hanno adottato la medesima convenzione, comprese l’Unione europea, la NATO e il Comitato Olimpico Internazionale.

In seguito, le dispute sulla bandiera e sulla costituzione sono state risolte: in base all’accordo ad interim firmato nel 1995 dai governi di Atene e Skopje, la Macedonia ha cambiato bandiera ed espunto ogni lessico eventualmente interpretabile come irredentista dalla Costituzione. In cambio, Atene si era impegnata a non ostacolare l’ingresso di  Skopje nelle organizzazioni internazionali (ONU in testa). Un accordo disatteso, tuttavia, a partire dal 2005, quando Atene ha ricominciato a porre il veto all’integrazione europea ed euroatlantica di Skopje. Tale rinnovata disputa sulla questione sul nome è illegale per il diritto internazionale in base all’accordo del 1995, come riconosciuto anche dalla Corte internazionale di giustizia nel 2011 nel caso dell’integrazione del paese nella NATO. Ma neanche tale sentenza ha modificato la politica estera di Atene.

Nel frattempo, 118 Stati – tra cui gli Stati Uniti d’America, la Russia, la Cina e la Bulgaria – riconoscono la nazione con il nome costituzionale di “Repubblica di Macedonia” o semplicemente “Macedonia”, nelle relazioni bilaterali in tutti i casi mentre altri paesi la riconoscono con il nome pensato dall’Onu, “the former Yugoslav Republic of Macedonia“.

E’ giunto il momento che la Grecia sia una speranza anche per la Macedonia, per il suo popolo e per la sua fragile democrazia che, colpita dalla crisi economica, vede il riemergere di conflitti inter-etnici tra slavi e albanesi. E’ giunto il momento che la Grecia restituisca al piccolo paese la libertà di costruirsi un futuro. E’ giunto il momento che la Grecia smetta i panni del nazionalismo aggressivo e risolva i suoi problemi di vicinato, a partire da Skopje. Oppure non sarà meglio della Germania che affama il popolo greco.

L’alleanza di governo tra Syriza e gli ultra-conservatori di ANEL rende più complicata la soluzione della questione macedone. Tuttavia, con 149 deputati, non sarà difficile per Syriza trovare una via che restituisca al popolo macedone “la speranza, il sorriso, la dignità”. Se così non fosse, dalla Grecia avremmo ricevuto solo un bel carico di vuota retorica, di nazionalismo mascherato da socialismo, di egoismo travestito da libertà. Speriamo che così non debba essere.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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