David Simonds

RUSSIA: Sanzioni, petrolio, svalutazione. Un'economia spompata

Prima di tutto i numeri. La moneta russa, il rublo, era scambiata ai primi di febbraio del 2014 a circa 47 rubli per un euro, mentre ai primi di febbraio di quest’anno il cambio è a 76 (3 febbraio 2014 – 3 febbraio 2015), con un deprezzamento del 60%. Il petrolio (raffinato e non), che rappresenta più del 54% delle esportazioni russe, è passato da un valore al barile sul mercato di New York da circa 91$ di inizio febbraio 2014 a 53 $, con un decremento di oltre il 40%. Il tasso di interesse, stabilito dalla Banca Centrale Russa, che un anno fa si attestava al 5,5%, è salito all’attuale 15% (contro lo 0,25% degli Stati Uniti e lo 0,05% dell’Europa). Le riserve della Banca Centrale Russa ammontavano a 498 milioni di dollari al 31 gennaio 2014, e attualmente ammontano a 376, con un decremento di circa il 25%. Il tasso di inflazione su base annua ha toccato, in gennaio 2015, il 15%. Ma ci sono anche dati, che seppur in peggioramento, sono estremamente positivi: il rapporto debito/Pil, che in Italia supera il 130%, si attesta al 13,4% per il 2014, ed il deficit, che per l’Italia è prossimo al 3% fissato come limite da Bruxelles, è lo 0,5% in Russia.

Il Rublo crolla, si salvi chi può

La crisi ucraina, l’annessione della Crimea, il conflitto in Donbass, le sanzioni occidentali, il crollo del prezzo del petrolio. Ecco alcuni degli elementi che hanno spinto il rublo a deprezzarsi fortemente rispetto alle altre monete. La Banca Centrale Russa ha provato prima a trattenere a livelli stabili il cambio attraverso l’utilizzo delle proprie riserve, ma ha presto compreso che tale politica sarebbe stata letale nel lungo termine. Ha così deciso di alzare drasticamente il tasso di interesse, sperando di attrarre gli investimenti stranieri e di tenere sotto controllo la speculazione sulla valuta, ma anche in questo caso non sembra che la misura possa durare a lungo. Insomma appare che il mandato affidato alla Banca Centrale Russa da Putin sia quello di mantenere il più possibile la stabilità del tasso di cambio anche a fronte di misure eccezionali, senza allarmare i cittadini: una missione impossibile nel contesto economico in cui si trova la Russia.

Il petrolio a buon mercato: un buco nel bilancio per la Russia

Poco più di due mesi fa, quando già il petrolio viaggiava a circa 70 $ al barile, veniva firmato da Putin il budget annuale della Federazione Russa per il 2015, ed in quel documento ogni previsione era effettuata utilizzando 100 $ al barile come riferimento medio del prezzo del petrolio. Un elemento non da poco se si considera che più della metà degli introiti statali russi dipendono dal prezzo degli idrocarburi (anche il prezzo del gas si è dimezzato negli ultimi mesi). Annualmente l’abbassamento del prezzo del petrolio di un dollaro, corrisponde ad una perdita per lo Stato russo di circa due miliardi di dollari: non proprio bruscolini. Inoltre non sembra, stando alle previsioni, che il prezzo del petrolio sia destinato a scostarsi molto, nei prossimi mesi, rispetto alla forchetta 50 $/60 $, si parla quindi di almeno 80 miliardi di introiti in meno nel solo 2015.

Tra downgrade delle agenzie di rating e pessimismo internazionale

Alla fine di gennaio Standard & Poor’s ha declassato la capacità di credito della Russia, tagliando il rating a BB+, per la prima volta da dieci anni sotto il livello d’investimento, con tanto di outlook negativo. Certo, la definizione “spazzatura” sembra esagerata, ma di certo conferma quanto era già noto da varie settimane, e cioè che la situazione è critica e che in caso di scelte economiche errate, politiche sconsiderate e prezzi degli idrocarburi bassi, il default di Mosca non è impossibile. Nulla di nuovo verrebbe da aggiungere.

Diverso il caso del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale che nei loro bollettini di gennaio certificano una crisi molto profonda destinata a rimanere tale a lungo: l’FMI parla di un calo del Pil nel 2015 del 3,0% e dell’1% nel 2016 (a fronte di una previsione nel bollettino di ottobre 2014 di +0,5% nel 2015 e +1,5% nel 2016), mentre la Banca Mondiale parla di una diminuzione del Pil nel 2015 del 2,9%. Le analisi di entrambe le organizzazioni internazionali non sono tenere e presentano un forte rischio di impoverimento soprattutto per le fasce deboli e medie, oltre a sottolineare il più grosso limite dell’economia russa, mai seriamente affrontato: il basarsi quasi esclusivamente sui propri idrocarburi.

Le sanzioni, illusione o realtà? Accesso al credito e fuga degli investitori

Diciamoci la verità, inizialmente le sanzioni erano un modo per far comprendere al mondo che la Russia era stata “cattiva” e che le potenze occidentali la reputavano tale. In concreto il divieto di viaggio sui propri territori nei confronti di alcuni esponenti del regime, unito al congelamento di qualche conto, scalfiva ben poco l’economia russa.

Poi, anche a seguito dell’annessione della Crimea, le sanzioni si sono fatte di maggiore impatto, e così, insieme a limitazioni per alcune aziende particolarmente forti, quali Kalshnikov, Rosneft, Gazprom, Transneft è stato imposto un divieto di accesso al credito di lungo termine per gran parte delle banche russe, intaccando seriamente la funzionalità di tutto il settore bancario e creditizio russo.

Le sanzioni hanno anche colpito pesantemente l’immagine della Russia, spingendo gli investitori stranieri a ritirarsi, ed hanno portato i Russi, o i pochi che ne hanno avuto la possibilità, a spostare i loro capitali, in moneta pregiata, all’estero. Non è un caso che lo spread, che in Italia ha fatto tanto parlare di sé e che ora è  prossimo ai 125 punti base, sia a oltre 1250 in Russia.

Ed ora, che fare? I tagli lineari non basteranno

A fine gennaio il Primo Ministro russo Medvedev ha firmato il piano annuale di riduzione della spesa. In ogni settore statale, ad eccezione della difesa e delle spese per il welfare, il taglio dovrà essere del 10%. Inoltre tramite il Fondo Sociale di Stato e la Banca di Sviluppo Statale son stati messi a disposizione delle banche in crisi circa 550 miliardi di rubli che dovrebbero tamponare la crisi del settore. Probabilmente a fronte del continuo isolamento finanziario russo e di prezzi degli idrocarburi ai minimi servirà ben altro per risollevare le sorti economiche della Russia. Intanto il Ministro degli Esteri greco Kotzias si è recato, l’11 febbraio, dal suo omologo russo Lavrov per parlare anche di un eventuale prestito a favore della Grecia qualora l’Europa non accettasse le condizioni poste da Atene sulla ristrutturazione del proprio debito. Forse a Mosca farebbero bene a pensare più alla loro economia che a quella di altri paesi, ma si sa: Putin ha sempre un coniglio nel suo cilindro.

Chi è Pietro Rizzi

Dottorando in Relazioni Industriali presso l’Università degli Studi di Bergamo, collabora con l’OSCE/ODIHR come osservatore elettorale durante le missioni di monitoraggio in Est Europa. Redattore per East Journal, dove si occupa di Ucraina, Est Europa e Caucaso in generale. In passato è stato redattore ed art director del periodico LiberaMente, e si è a lungo occupato di politica come assistente parlamentare e consulente giuridico per comitati referendari. Ha risieduto, per lavoro e ricerca, a Kiev e Tbilisi.

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3 commenti

  1. Per vedere il coniglio di Putin basta aprire Google Earth e mettere in evidenza il confine russo. La Russia deve convertire la sua economia per un mondo che avrà sempre meno bisogno di idrocarburi. La differenza di base con tanti altri produttori di fonti fossili è che la Russia ha letteralmente un’infinità di altre risorse. Di sicuro è un passaggio molto complicato per i russi, ma chi si immagina una Russia in ginocchio ha da un lato la memoria corta e dall’altro una visione parziale dell’economia. Il denaro non è materia, non è energia, è informazione sul “credito” che viene riconosciuto a chi possiede la moneta. Importantissimo, per carità, ma poi le cose si fanno con materia e energia. Alla Russia queste cose direi che non mancano.

  2. Vorrei aggiungere una considerazione di fondo e alcune precisazioni.
    Correttamente viene individuata nella mono dipendenza dal settore energetico la debolezza strutturale non solo del bilancio statale russo, ma anche dell’intera struttura industriale della Russia postsovietica.
    Questa dipendenza non è un dato di fatto ineludibile, è la precisa scelta di una cricca mafiosa di oligarchi, cresciuta cannibalizzando l’unico settore ricco e facilmente mungibile della struttura economica russa pre anni ottanta. Questi oligarchi cresciuti alle spalle di Elsin, hanno pilotato la successione di Putin ora difendono con le unghie e con i denti le loro rendite di posizione di ologopolisti sia all’interno (“disinteressandosi” e mandando a ramengo qualsia altro settore) che all’esterno, promovendo in ogni modo, a carico della comunità russa, i propri privati interessi. E finora Putin è stato il garante di questa situazione.
    Che questi signori e i loro manutengoli, intendano investire, diversificare o razionalizzare alcunché, mi sembra una pia illusione, una favoletta propagandistica buona per pensionati a 150 euro al mese.
    Che qualche ministro, tra un investimento immobiliare a Londra ed il conto in Svizzera, si preoccupi che i tagli del 10% non si applichino a Welfare e difesa è una specie di barzelletta: il welfare è già stato ampiamente ridimensionate alla chetichella (non vi ricordate gli scioperi nello scorso dicembre contro i tagli alla sanità?) mentre quello della difesa si sta mangiando tutti i tagli presenti e futuri.
    Farà enormemente piacere ai soliti pensionati sapere che il Fondo Sociale di Stato, già intaccato per sostenere la russificazione della Crimea, adesso servirà a salvare le banche di fatto già in coma dopo che chi ha potuto ha portato via fino all’ultimo centesimo.
    Dato che “il denaro non è materia, non è energia, è informazione sul “credito”” i soliti pensionati tireranno felici la cinghia pensando che i loro nipoti vivranno nel paradiso di pura materia ed energia.

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