ROMA – Sembravano scorrere tranquille le prime settimane del nuovo governo greco, tra reazioni internazionali che oscillavano fra l’entusiastico e il “chi va là”. Invece, quest’ultime sono diventate ben presto aspri moniti, in opposizione all’agenda economica del governo.
Il nuovo premier Alexis Tsipras e il suo ministro dell’Economia, Yanis Varoufakis, pochi giorni dopo il loro insediamento, sono partiti alla volta delle maggiori capitali europee, in primis Londra, Parigi e Roma; qui, il Primo ministro greco ha centrato l’obiettivo del suo tour europeo, ovvero ottenere il sostegno dei più importanti capi-governo per affrontare con più forza i negoziati con la Troika.
Le tappe successive sono state, invece, ben più complicate: prima Berlino, poi Francoforte e, infine, Bruxelles. Qui l’aria si è decisamente raffreddata e le parole pronunciate prima dal ministro dell’Economia tedesco Schäuble e, poi, dal presidente della Bce, Mario Draghi, non hanno lasciato spazio a dubbi riguardo la contrarietà dei “grandi” d’Europa al piano greco.
Al termine dell’incontro tenutosi tra Schäuble e Varoufakis, il ministro tedesco – incontrando la stampa – ha sentenziato: “Siamo stati d’accordo sul fatto che non siamo d’accordo”. Una battuta che conferma la distanza tra Germania e Grecia sul campo economico. “Alcune misure annunciate dal nuovo governo ellenico non vanno nella direzione giusta”, ha detto Schäuble. “Possiamo certamente aiutare Atene a trovare più tempo, ma le cause del problema risiedono in Grecia e devono essere rimosse”.
Il ministro Schäuble ha poi spiegato che la Grecia deve affrontare i problemi “con le tre istituzioni con cui ha sottoscritto il programma: la Bce, la Commissione Ue e il Fmi”. E così Tsipras ha fatto, ma la Banca centrale europea ha sospeso il finanziamento alle banche greche, revocando loro la possibilità di consegnare in garanzia titoli del debito pubblico di Atene in cambio di liquidità e aprendo un nuovo drammatico capitolo nella crisi greca. «Non è al momento possibile accordarci pacificamente su una revisione del programma», concordato dal precedente governo greco con i creditori internazionali.
La giornata, a dire il vero – cominciata con un incontro fra Mario Draghi e Varoufakis – aveva da subito dato segnali poco rassicuranti. Dall’incontro, infatti, era emerso che la Bce intendeva limitare chiaramente le aspettative del governo di Atene di poter ottenere concessioni e fondi dall’istituto di Francoforte, in assenza di un accordo con i partner europei. La Bce, in particolar modo, si è dimostrata contraria ad alcuni punti presenti nel programma del nuovo governo, primi fra tutti il taglio del debito e la trasformazione dei titoli greci acquistati dalla Bce nel 2010-2012, oltre 6 miliardi di euro, in titoli “perpetui” sui quali Atene pagherebbe di fatto solo gli interessi.
“La Troika è finita”
La reazione negativa della Bce e delle “alte sfere” europee al programma del nuovo governo greco era prevedibile. Tsipras, infatti, non si è scomposto e ha sentenziato che “la Troika è finita. Tutti possono stare sicuri che il governo di Atene negozierà e porrà fine alla Troika”. “Abbiamo un impegno con le regole dell’Unione Europea” – si legge in una nota – “anche se non siamo d’accordo con esse. Ma le rispettiamo e rispetteremo la regola che riguarda i bilanci senza deficit”.
Tsipras, insomma, sta cercando di tenere, come si suol dire, due piedi in una scarpa: da una parte, andare avanti sul tracciato della lotta all’austerità; dall’altra, non tirare troppo la corda e tentare una mediazione con i partner europei, i quali impugneranno ancora per molto tempo il coltello dalla parte del manico.
La Bce è dunque il diavolo?
D’altra parte, è da sottolineare come il rifiuto, da parte della Bce, di accettare titoli di stato greci come garanzia in un momento in cui il governo di quel paese sostiene di non voler più pagare il debito è alquanto comprensibile: ad oggi, quei pezzi di carta con su scritto “pagherò” e firmati “il governo greco” assomigliano molto a banconote del Monopoli.
Aggiungiamo anche il fatto che la Grecia, per quanto l’Europa – in questi anni – abbia commesso diversi errori di valutazione, non è “alla frutta” a causa dell’austerity: “La pressione fiscale – come ha ricordato Mario Draghi, in una lettera rivolta a un eurodeputato di Syriza – era al 34,2% nel 2013 e rimane ben al di sotto della media dell’area euro” (in Italia era al 44,3% nel 2013).
“Il principale problema per la Grecia nei prossimi anni – si spiega in un paper del think tank Centre for European Policy Studies – non è di ripagare il debito all’Ue e ai suoi stati membri. Il debito è già stato ristrutturato due volte nel 2012: prima in marzo con il Private Sector Involvement, che ha imposto agli investitori perdite tra il 50 e il 70 percento; poi in dicembre con l’accordo tra i governi per rinviare i rimborsi sul debito al 2020 e oltre, instaurare una moratoria sugli interessi e tagliare i tassi”. Risultato: il valore nominale del debito è passato dal 230 al 175 percento del PIL. Tutto ciò non è stato, ovviamente, gratuito per i colleghi europei – compresi noi: gli italiani, che hanno “prestato” alla Grecia più di 650 euro ciascuno, e hanno visto ridursi di circa il 40% il valore reale del loro credito.
C’è poi da analizzare un altro aspetto: il debito greco – secondo l’agenzia Bloomberg – è detenuto per il 62% dai Governi europei, per il 17% dai privati, per il 10% dal FMI, per l’8% dalla BCE e per il 3% dalla Banca centrale greca. Le scadenze del ristrutturato debito ellenico partiranno tra il 2020 e il 2024, per concludersi nel 2054, mentre quelle dei titoli posseduti dalla Bce sono ravvicinate. Se sul resto del debito è possibile una soluzione, la cancellazione della esposizione della BCE porterebbe ad una perdita secca e alla violazione dei Trattati UE per il no bail out degli Stati membri: la regola secondo la quale non ci può essere una monetizzazione, da parte della Bce, del debito pubblico degli Stati membri.
Che Tsipras stia giocando a una partita in cui spera di perdere o, comunque, di non vincere? Se, infatti, la Grecia rinunciasse totalmente agli aiuti della Troika, finirebbe probabilmente nel baratro e la realtà dei numeri svelerebbe il “bluff” portato avanti in questi anni, che vuole una Grecia in ginocchio unicamente a causa del memorandum – e non per la scarsa diversificazione dell’economia, per il gigantismo del settore pubblico, e così via.
La vittoria reale, per Tsipras, si concretizzerebbe convincendo le istituzioni europee a trovare un accordo che accontenti tutti, nel quale la Grecia rinunci a parte delle sue rivendicazioni, ma, in cambio, porti a casa dei risultati positivi da dare in pasto ai media greci e, quindi, alla popolazione, la quale, con buona pace di tutti, rimarrà sempre la vittima prediletta di questo gioco degli estremi.
La Grecia ha molti problemi, però i problemi specifici della Grecia hanno solo aggravato un problema che ha una dimensione continentale, e non riguarda solo la Grecia, bensí degli squilibri dovuti ad un’errata costruzione dell’Unione monetaria.
I prestiti fatti alla Grecia sono serviti al 90% per pagare tassi d’interesse nei confronti di creditori esteri. Particolarmente esposte erano le banche dei Paesi centrali (Germania, Olanda) e francesi. Quindi i 650 euro che ogni italiano ha versato al governo greco dovremmo farceli restituire da chi li ha veramente ricevuti, ovvero alle banche, le quali se fanno investimenti remunerativi si tengono i profitti, mentre se li fanno sbagliati vengono salvate dallo Stato.
Le politiche di austerità non hanno affatto risolto i problemi della Grecia, il PIL è collassato del 25% ed ha fatto esplodere il rapporto debito/pil. L’unico vantaggio è stato che grandi imprese multinazionali hanno potuto fare shopping a buon mercato del patrimonio dello Stato greco.