Dallo scorso ottobre Zagabria è teatro di un’accesa protesta da parte dei branitelji (“difensori”), i reduci della guerra di indipendenza del 1991-1995, che da mesi protraggono il proprio sit-in di fronte al palazzo del Ministero dei Veterani, in Savska ulica. Quello di cui viene accusato il ministro per i veterani, Predrag Matić, insieme al suo staff, è di aver “offeso l’onore dei branitelji” e quello della “Guerra Patriottica” (Domovinski Rat). Infatti, come recita uno striscione presente nell’accampamento dei manifestanti, questi ultimi sono stati “nel 1991 contro la Jugoslavia e nel 2014 contro gli jugoslavi” – come si suole superficialmente etichettare coloro che non curano “gli interessi della nazione”.
Il motivo iniziale per il quale i veterani decisero di protestare, il 20 ottobre, sembrava potesse essere la riforma del sistema pensionistico croato (ne parlammo qui), che avrebbe potuto danneggiare materialmente le condizioni dei veterani più giovani, che prima della guerra non avevano maturato esperienze lavorative. In realtà, le ragioni per le quali da oltre 100 giorni la loro protesta non si affievolisce sono altre: la difesa di interessi esclusivamente “nazionali”; il rafforzamento del proprio status di privilegiati; e la dimostrazione di essere ancora una forza politica trainante, in grado di vincolare l’intera società croata.
Un dettaglio da non trascurare è il fatto che dopo oltre tre mesi di protesta si sia scoperto che la manifestazione di protesta non sia mai stata autorizzata dalle autorità competenti e che de facto si tratti di un sit-in illegale.
Le richieste dei veterani e l’interesse “nazionale”
Nonostante il governo croato avesse deciso di rimandare di sei mesi l’entrata in vigore della riforma pensionistica, la protesta è continuata. La consapevolezza dei suoi leader – in primis Đuro Glogolški, presidente dell’associazione degli invalidi di guerra – era che il mantenimento delle tende davanti al ministero dei veterani avrebbe potuto fruttare loro molto di più. Infatti, Glogolški e gli altri veterani hanno avanzato le proprie richieste, precisando che la loro protesta continuerà fintanto che queste non verranno realizzate del tutto, senza lasciare spazio per alcuna trattativa.
La prima richiesta consiste nelle dimissioni del ministro Predrag Matić, di Vesna Nađ (viceministro) e di Bojan Glavašević (assistente del ministro) per la loro “incompetenza, irresponsabilità e soprattutto per il trattamento degradante e umiliante verso i veterani”. Stando alla spiegazione dei leader della protesta, il ministro sarebbe colpevole di aver mentito e imbrogliato i veterani in occasione di una modifica di legge loro riguardante e per la quale non sarebbero stati interrogati. Tale emendamento sarebbe colpevole di aver esteso le tutele a tutte le vittime civili del conflitto degli anni novanta, quindi anche ai serbi, senza alcuna distinzione di carattere nazionale. Per i veterani, però, ciò si traduce in un’equiparazione tra vittime ed aggressori ed è quindi inammissibile che “chi ha aggredito la Croazia abbia dei diritti tutelati da un ministero della Repubblica di Croazia”.
La seconda richiesta è direttamente collegata alla prima. Per evitare il ripetersi di situazioni simili in futuro, i veterani chiedono che il proprio status venga tutelato a livello costituzionale. In tal modo, divenendo legge costituzionale, ogni sua modifica dovrebbe essere sostenuta dai due terzi del parlamento e de facto diventerebbe immodificabile. Ad ogni modo, per quanto diversi leader politici abbiano cercato di ribadire la tutela dei diritti dei branitelji, questi sono determinati ad andare oltre la “difesa dell’interesse nazionale” – scopo per il quale sembra logico pensare si fossero costituiti nel 1991 – e, battendosi per un posto d’onore nella costituzione, sembrano cercare altro, ovvero la costituzione di uno “stato nello stato”, il cui vero obiettivo è difendere il proprio ruolo di privilegiati a discapito degli altri cittadini croati.
I veterani come “casta”
Lo status dei veterani gode di particolari benefici finanziari che nessuno dei loro concittadini croati può vantare. Infatti, se si prende in considerazione la relazione tra gli anni di servizio, quattro anni massimo (tanto è durata la guerra), e la pensione mensile percepita, mediamente 750 euro, è evidente l’enormità della sproporzione rispetto a chi ha lavorato tutta la vita e percepisce la pensione media croata, che corrisponde a circa 300 euro. Nonostante questi importi possano variare – sulla base del grado militare per quanto riguarda i veterani e sulla base degli anni lavorativi per tutte le altre pensioni – è abbastanza indicativo il fatto che tra le dodici pensioni più alte della storia della Croazia, a fianco di quelle degli ex presidenti Franjo Tuđman, Stipe Mesić e dell’ex presidente del parlamento Vlatko Pavletić, ci siano quelle di nove veterani, il cui importo è di circa 2.000 euro.
A queste pensioni vanno poi sommate quelle di invalidità di guerra, la cui relazione con le invalidità civili è ancora più sproporzionata. Infatti, mentre lo stesso leader delle proteste Đuro Glogolški percepisce più di 3.300 euro per la sua invalidità di guerra, un invalido croato medio ne percepisce appena 160. Allo stesso modo, le indennità per i portatori di handicap sono alquanto inique: per coloro che assistono un invalido di guerra lo stato elargisce circa 500 euro, mentre l’indennità per quelle famiglie che hanno un bambino invalido a carico è di circa 330 euro. Significa forse che le madri che accudiscono un figlio invalido valgono meno o hanno un carico lavorativo inferiore di quelle mogli che accudiscono un marito invalido?
I veterani e il potere
Quella dei veterani della Domovinski Rat rappresenta dunque se non una casta, per lo meno una lobby, la cui influenza sociale è in grado di mobilitare una grossa fetta della popolazione croata, particolarmente sensibile alle questioni “nazionali” ed in particolare quando queste si riferiscono al periodo della guerra di indipendenza. Ne consegue che dello stesso peso può essere l’influenza di carattere politico che essi sono in grado di giocare. L’intransigenza sulle richieste avanzate dai manifestanti della Savska rappresenta senz’altro una rarità per il panorama politico e sociale croato. In altre parole, non esistono altre categorie sociali in Croazia che si arrogherebbero il diritto di bloccare un’arteria vitale della capitale croata, senza alcuna autorizzazione e senza suscitare forti reazioni, se non repressive, per lo meno di forte condanna politica.
L’intento dei veterani in protesta sembra avere dunque anche un fine politico, ovvero la destabilizzazione del governo di Zoran Milanović. Il suo partito, SDP, esce sicuramente ridimensionato dalle recenti elezioni presidenziali a causa della sconfitta del presidente uscente Ivo Josipović e la vittoria della candidata HDZ, Kolinda Grabar-Kitarović. Di conseguenza, non stupisce che la stessa Grabar-Kitarović ne avesse approfittato, in piena campagna elettorale, per andare ad omaggiare i veterani in protesta apostrofandoli “eroi” e sostenendo la loro campagna volta anche a ribadire il carattere di “guerra di aggressione” piuttosto che “guerra civile”, oltre che la loro richiesta di diritti costituzionali. Allo stesso modo, non stupisce che gli stessi veterani abbiano salutato la vittoria elettorale della Grabar-Kitarović con fuochi d’artificio (anch’essi non autorizzati) e che questa abbia effettuato la sua prima visita ufficiale, poche ore dopo il risultato delle elezioni, proprio alle tende della Savska.
Da sempre, infatti, la retorica nazionalista del HDZ è in grado di mobilitare ampi strati della popolazione, specialmente tra gli ex combattenti, come per esempio avvenne in occasione del ritorno del cirillico a Vukovar. A loro volta, i veterani hanno storicamente dimostrato fedeltà al partito che fu di Tuđman.
Quello tra il HDZ e la lobby dei veterani sembra dunque un rapporto di mutua fiducia, l’uno in grado di sfruttare l’altro per i propri obiettivi, siano essi di interesse “nazionale”, economico o politico.
In conclusione, l’oltranza con la quale Đuro Glogolški e gli altri leader respingono qualunque dialogo con il governo, la libertà con la quale essi blocchino illegalmente da mesi una strada della capitale e la fermezza con la quale essi siano in grado di opporsi politicamente, sono sintomi di un paese ostaggio di una ristretta cerchia di persone che, arrogando a sé il diritto della “difesa nazionale”, non fa che aumentare le disuguaglianze della società croata, nonché complicarne ulteriormente la definitiva rottura col passato.
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