“Oggi il popolo greco ha fatto la Storia e ci ha dato un chiaro, forte, incontestabile mandato. La Grecia sta voltando pagina (…).Non ci sono né vincitori né vinti. Gli unici sconfitti sono le élite e gli oligarchi. I greci che lavorano e che sperano hanno vinto”. Queste le parole del nuovo presidente del consiglio, Alexis Tsipras, nella notte più lunga e più bella per la sinistra greca – e non solo. Con il 36,34% di voti – a un soffio, dunque, dalla fatidica soglia del 37%, a partire dalla quale scatta il premio di maggioranza -, Syriza è difatti divenuto il primo partito in Grecia e ha portato il suo leader a sedere sulla poltrona più importante del gabinetto di governo. Molti si aspettavano una vittoria della sinistra, pochi avrebbero scommesso su un distacco di quasi 10 punti percentuali dal principale antagonista, Nea Demokratia, dell’ex premier Antonis Samaras.
Le elezioni hanno esternato in modo cristallino i sentimenti di un popolo frustrato da anni di austerità priva di senso umano, di esperimenti sociali, di applicazioni, sulla pelle dei cittadini, di formule economiche sballate, che hanno portato a un aumento esponenziale della povertà – le famiglie greche hanno perso, dall’inizio della crisi, circa 170 miliardi di euro (-23%) – e della disoccupazione – il tasso in Grecia è al 27% e quello giovanile viaggia sull’ordine del 60%. Nonostante ciò, pochi, come detto, si aspettavano una vittoria netta della sinistra “radicale”. E invece, soprattutto dal 2009 – anno in cui Syriza, alle elezioni parlamentari, raggiunse solamente il 4,6% dei consensi – ad oggi, Tsipras ha saputo fare di quella che era poco più che una disordinata accozzaglia di partitini litigiosi e divisi dalle virgole del vetero-comunismo, un partito di sinistra moderno, post-marxista, che non rifiuta la democrazia né gli assunti storici del pensiero liberale. Certo, in esso convivono diverse anime, anche reazionarie, ma sono saldate dalla capacità del leader di dare una visione comune – e di sinistra – per il futuro del paese. Nella sua invocazione alla giustizia sociale e al concetto di solidarietà europea (che si traduce anche nella rivendicazione di una sovranità economica per la Grecia) Syriza si presenta come un esempio di socialismo patriottico e democratico, depurato dal settarismo e dal radicalismo ideologico (e divisivo) della sinistra massimalista. Insomma, non un partito di sinistra “radicale“. A meno che oggi qualsiasi sincera espressione della sinistra riformista non debba essere marchiata a fuoco con lo stigma del “radicalismo”.
L’alleanza con il diavolo
Ed è da questa base che bisogna partire se si vuol capire l’alleanza post elettorale con ANEL, il partito di centro-destra staccatosi, nel 2012, da Nea Demokratia in polemica con le politiche di austerity portate avanti da Samaras; non avendo ottenuto i 151 seggi necessari per poter governare da solo, Syriza ha dovuto cercare un alleato di governo che gli permettesse di poter contare su una una maggioranza in Parlamento. La scelta è ricaduta, appunto, su ANEL – quindi su quella che noi definiremmo “destra sociale” – lasciando fuori formazioni politiche di sinistra e, dunque, più vicine politicamente, come Pasok e To Potami.
Giusto o sbagliato?
In molti hanno storto il naso, giudicando la scelta contraria ai principi morali della sinistra. In realtà, era probabilmente l’unica decisione possibile da prendere: né il Pasok (principale alleato di governo di Nea Demokratia), né To Potami (partito del conduttore televisivo Stavros Theodorakis) potevano venir presi seriamente in considerazione, se al primo posto dell’agenda politica Syriza voleva realmente apporre la rinegoziazione del debito greco e del memorandum. D’altra parte, è grazie a questa battaglia che il partito ha vinto ed è questo quello che i cittadini ellenici si aspettano dal nuovo governo. Rimanevano, dunque, il KKE – il partito comunista greco – e ANEL: il primo si è smarcato fin da subito dal valzer delle alleanze, mentre il secondo si era, già prima delle elezioni, dimostrato disposto a combattere contro questa Unione Europea al fianco di Syriza. E’ stata una scelta politica di Tsipras, non certo un obbligo, ma resa necessaria dalla volontà del nuovo presidente del consiglio di risollevare le sorti del popolo greco, questione da anteporre a qualunque discorso sulla purezza politico-ideologica di un governo.
Certo, differenze tra i due partiti ci sono e rimangono – sarebbe strano il contrario: ANEL, con il suo leader, Panos Kammenos, è fortemente liberista, xenofobo e con venature antisemite. Ma queste differenze non fermeranno le riforme sociali che Syriza ha posto nel programma. Il messaggio è: prima si combatte insieme l’austerità, poi si cercheranno altri alleati con cui proseguire il cammino – Syriza ha conquistato 149 seggi su 300, dunque basterà trovare un paio di deputati disposti a collaborare per andare avanti senza l’appoggio di ANEL. Un governo di minoranza – previsto dal sistema politico greco – se, da una parte, avrebbe permesso a Syriza di cercare semplici intese programmatiche con gli altri partiti senza, però, allearsi ufficialmente con nessuno, dall’altra avrebbe reso il governo più instabile e soggetto a ripetuti ricatti provenienti, in quel caso, non più solo da un partito, ma da tutti, dai più piccoli ai più influenti, ciascuno alla ricerca di un po’ di potere per sé. Arrivare al tavolo delle trattative con la troika in una situazione del genere avrebbe reso inutile ogni sforzo e vanificato il voto stesso.
Politica estera
La compagine governativa sarà composta principalmente da uomini vicini a Tsipras, come il ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis – 54enne, dichiaratamente comunista, volto duro da pugile ed ex docente di economia in Texas dopo una carriera tra Gran Bretagna e Australia -, ma il comando della Difesa spetterà proprio al leader di ANEL, Panos Kammenos. La scelta non è casuale: la politica estera di Syriza, nonostante sia stata messa in secondo piano – soprattutto da parte dei media europei – durante la campagna elettorale, è uno dei temi più scottanti e sul quale si testeranno le capacità del governo. Soprattutto perché la Difesa è il settore che, in questi anni di tagli, non ha mai subito alcun tipo di ridimensionamento – così volevano la Germania e la Francia, com’è noto, che hanno costretto la Grecia ad acquistare considerevoli equipaggiamenti militari per finanziare le industrie tedesche e francesi in cambio degli aiuti economici.
Da tempo, comunque, la Grecia deve tener conto delle rinnovate ambizioni della Turchia “neo-ottomana” di Erdogan, che occupa circa un terzo dell’isola di Cipro e rivendica una specie di condominio nel mare Egeo.
Come premier, Tsipras dovrà gestire i rapporti con Ankara difendendo i diritti del suo paese, ma nel fare questo rischia di toccare dei fili scoperti presenti nel suo partito, che ha sempre considerato con indifferenza i conflitti regionali non compresi nello schema classico “anti – imperialista”. Con Kammenos al governo sarà più semplice tacitare i malumori “internazionalisti” ed avere una voce più forte in Europa riguardo le sanzioni comminate da Bruxelles ai danni della Russia, sulle quali Tsipras sembra riporre diversi dubbi.
Elezioni greche, pardon, europee
Ad ogni modo, tralasciando per un attimo gli aspetti particolari del nuovo governo, l’elemento di novità di queste elezioni è stato sicuramente la loro dimensione europea; in un’inedita dialettica tra centro e periferia Tsipras ha portato il voto di un paese periferico e marginale, con appena dieci milioni di abitanti, senza risorse né peso economico, al centro della scena politica europea presentando questa tornata elettorale come una svolta per l’intero continente. Proiettato nella dimensione europea, il voto ellenico ha assunto, per i greci, i caratteri del passaggio storico e dell’occasione da non mancare. Tsipras ha investito le elezioni di un significato metapolitico facendo sentire i greci al centro del continente e non più emarginati, vittime sacrificali della stabilità europea.
Così facendo ha neutralizzato le spinte del centro, che già nelle scorse elezioni del 2012 furono decisive nel condizionare il voto greco verso un “usato sicuro” che garantisse continuità alle misure economiche decise dalla troika e sancite dal Memorandum. Questo gioco di corrispondenze – certo non amorose – tra centro e periferia è forse l’elemento di novità più interessante di queste elezioni. Elezioni che, piaccia o no, sono un profondo segno di discontinuità per la Grecia e promettono di avere ripercussioni sul resto d’Europa.
Tsipras, pragmatico e concreto. Non un santino
Come anche l’alleanza con ANEL dimostra, Tsipras è un politico concreto e pragmatico, non un rivoluzionario in preda al sacro fuoco dell’ideologia. Il compromesso tra mondo delle idee e prassi politica è necessario a governare. E’ puerile cercare in lui un santino da adorare ma non è meno ingenuo accanirsi contro le contraddizioni. C’è, nella feroce critica a priori di queste ore, la stessa rabbia infantile di quando si scopre che Babbo Natale non esiste.
Proprio in virtù del pragmatismo che fin qui lo ha caratterizzato, Tsipras farà quanto in suo potere per tenere in piedi un governo con molti nemici, un partito con molte anime, e un paese che non ha votato in massa per Syriza ma che, comunque, deve trovarsi rappresentato dall’operato del governo. Un paese a cui non interessa granché dell’Unione Europea e che, se Tsipras dovesse mantenere le sue promesse di riscatto e benessere, gli darà la fiducia necessaria a proseguire nelle riforme. E’ la paura che ha fin qui spinto molti ellenici a votare per “l’usato sicuro”, paura della Germania e delle sue minacce, paura che l’opposizione della piccola Grecia al Golem di Bruxelles possa solo peggiorare la situazione. A Tsipras il grave compito di dimostrare il contrario. Intanto la Commissione Europea si dice “pronta a confrontarsi con il governo greco”. Non che avessero molta scelta – come chiosa il Guardian, – è stato (almeno quello) democraticamente eletto.
Ridicolo il fatto che da noi, da Vendola in giù (salvo Forza Italia pare) tutti entusiasti della vittorio del Nostro.
Ma quando metterà in discussione, tra le altre cose, anche la restituzione dei nostri crediti?
Mi pare si tratti di 40 miliardi di Euro!
vedremo allora chi si professerà entusiasta.