GRECIA: Elezioni in vista. Illusioni di un mondo che verrà

ROMA – In questi giorni, tiene scacco nei servizi d’informazione di tutta Europa le notizie provenienti dalla Grecia che agitano le acque dei mercati e fanno tremare la zona euro. Dopo la mancata elezione del presidente della Repubblica, che ha obbligato la Grecia a sciogliere il Parlamento e a indire nuove elezioni – previste a fine mese -, la paura che il partito di Syriza, guidato dal suo leader Alexis Tsipras, possa vincere le elezioni e far uscire la Grecia dall’euro (ipotesi più volte smentita dallo stesso segretario di partito) sta alimentando le tensioni non solo in Europa, ma anche nel resto del pianeta, in quanto l’uscita della Grecia dall’eurozona indebolirebbe la moneta unica e segnerebbe un primo smacco a quel progetto da molti criticato, ma da nessuno ancora messo realmente in discussione.

 I primi a reagire sono stati ovviamente i tedeschi, con la cancelliera Angela Merkel che – secondo fonti del Der Spiegel, smentite dal governo solo qualche giorno dopo l’uscita del settimanale tedesco – avrebbe dato il suo assenso a lasciare uscire la Grecia dall’euro, aggiungendo però che “il memorandum, in ogni caso, dovrà essere rispettato”. La sinistra europea, al contrario, ha accolto la notizia del ritorno alle urne come un segnale forte da dare a questa “Europa tedescofila che si disinteressa dei popoli e della loro dignità”, come spesso gridano i vari movimenti estremismi. In Italia, giornali e partiti radicali hanno stappato bottiglie di spumante, desiderosi di vedere in Europa un soggetto di sinistra in grado non solo di vincere, ma anche di far saltare i piani dei “potenti” (visto che a loro non è mai riuscito).

Questo il quadro d’insieme; proviamo adesso ad analizzare i fatti singolarmente. Partiamo innanzitutto dalla mancata elezione del presidente della Repubblica; il premier Samaras aveva deciso di anticiparla, pur consapevole delle difficoltà, nella speranza che l’approvazione, da parte del parlamento, della finanziaria 2015 potesse dare la spinta giusta al governo per trovare nuovi consensi tra i banchi dei deputati. Non solo, ma probabilmente il premier non voleva dare a Syriza troppo tempo per svolgere la sua campagna elettorale, rischiando così una completa débacle. Certo, non si può dire che proporre Stavros Dimas, un ex commissario UE, come prossimo presidente della Repubblica sia stata una delle mosse più coraggiose e furbe che potesse compiere il premier uscente. Ma tant’è.

 Seconda questione: Syriza. Il consenso intorno al partito di Tsipras, secondo i sondaggi, viaggia intorno al 30%, una cifra sicuramente considerevole e che potrebbe ancora salire, ma che non gli garantirebbe la certezza della vittoria. Anzi, è molto probabile un’empasse politica all’indomani della chiusura dei seggi, fatto che non gioverebbe a nessuno, in primis al paese, che ha bisogno in ogni caso di essere governato. Consapevole di ciò, Tsipras ha cercato alleanze a sinistra, ma le trattative con i socialdemocratici del Dimar, guidati da Fotis Kouvellis – che i sondaggi danno sotto la soglia del 3% e quindi con l’altissimo rischio di restare fuori dal parlamento – non hanno prodotto effetti positivi. Ciò è il risultato sia della conduzione politica fin qui avuta da Tsipras e dal partito intero – molto radicale, controcorrente e critica nei confronti di qualunque partito cercasse un punto d’incontro con il governo – sia della strategia del leader, convinto del fatto che questa corsa in solitaria porterà Syriza alla vittoria.

 Ad innalzare il grado di rischio di questa mossa contribuisce però la ridiscesa in campo dell’ex premier Giorgios Papandreou, pronto a lanciare un nuovo partito in stile Ulivo per sbarrare la strada alla sinistra radicale. Se a tutto ciò aggiungiamo il fatto che la pressione della stampa europea e degli altri partiti in lizza avrà sicuramente degli effetti sulla scelta dei cittadini ellenici, ecco delinearsi un quadro che non vede il partito di Tsipras navigare verso un sicuro successo.

 E allora quest’analisi ci porta a un’altra riflessione: se le cose stanno così, se dunque il successo di Syriza è tutt’altro che scontato e se, inoltre, più volte il partito ha dichiarato che l’obiettivo è quello di rivedere il memorandum, non di uscire dall’euro, perché il mondo sta reagendo con tale durezza?

 La replica tedesca, forte ma solo riguardo il rispetto del memorandum, non ha stupito. Che questi anni di austerità fossero finalizzati, tra l’altro, a non far perdere alle banche tedesche i soldi investiti nel paese è cosa nota, e che dopo sei anni il “rientro di capitali” sia stato ormai completato è abbastanza scontato; inoltre, la Grecia contribuisce in maniera mediocre alla crescita complessiva dell’economia europea, al contrario di Spagna e Italia. Un’uscita del paese dall’euro, insomma, non porterebbe l’Europa al tracollo finanziario e anche il mancato rispetto del memorandum potrebbe essere sopperito da un prelievo forzoso trimestrale dai conti correnti dei risparmiatori greci, in stile Cipro.

 I mercati che crollano e i capi di stato che si preoccupano fanno, dunque, solo un po’ di scena finalizzata a impaurire i greci e a spostare gli ultimi capitali rimasti. Anche il “rischio contagio”, in questo caso inteso come pericolo che l’esempio greco possa convincere i cittadini degli altri paesi del Mediterraneo a ribellarsi, è molto limitato: Portogallo e Irlanda (gli altri due paesi salvati) si debbono considerare riabilitati; l’uscita dall’euro per la Grecia, inoltre, segnerebbe la sua definitiva morte e lo stralcio del memorandum (o più probabilmente una sua revisione) non porterebbe di per sé a grandi risultati. Certo, se la vittoria dovesse essere netta e se le politiche di Syriza dovessero risultare vincenti, questo potrebbe effettivamente cambiare le sorti dell’Europa intera, far scendere dal piedistallo la Germania e ridare voce a quelle idee che parlano di rigore finalizzato a combattere la disoccupazione, non ad affamare i popoli. Chi vuole credere ai miracoli, è libero di farlo.

Chi è Flavio Boffi

27 anni, dottorando in Studi Politici a La Sapienza, laureato in Relazioni Internazionali all'Università degli Studi Roma Tre. Collaboro con East Journal da giugno 2014, dopo aver già scritto per The Post Internazionale e Limes.

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