Le genti slave che arrivarono in Europa nel VII° secolo dopo Cristo non avevano una rigida divisione tra i sessi, e non esisteva una subalternità socialmente codificata della donna nei confronti del’uomo. Anche il pantheon paleoslavo annoverava molte divinità femminili legate al culto della terra e della fecondità. Divinità non secondarie per genti dedite all’agricoltura più che alla guerra. Secondo alcuni storici la “libertà” sociale della donna nei popoli slavi dell’alto Medioevo si deve alla profonda influenza esercitata dalle genti scizie e sarmate. Addirittura per questi popoli si ipotizza la presenza di donne guerriere da cui discenderebbe il mito delle amazzoni.
Le amazzoni sono un popolo di donne guerriere diffuso dalla mitologia greca, il loro nome deriverebbe da “a-mazòn” ovvero “senza seno”, asportato per poter meglio combattere e imbracciare l’arco.
Erodoto, nel suo celebre Storie, già nel V° secolo avanti Cristo, evocava con dovizia di particolari quelle donne guerriere che, collocate sulla piana del Don, si univano ai giovani sciti prendendoli come amanti giusto il tempo della fecondazione. Erodoto descrive quella che racconta essere la loro storia: sconfitte dai Greci, sarebbero emigrate fino alla palude Meotide (l’attuale mare d’Azov) ove si sarebbero unite ad un gruppo di Sciti dando origine ad un unico popolo: i “Sauromati”, i sarmati appunto.
Il mito delle Amazzoni
Il mito delle Amazzoni sarà un grande topos letterario dell’alto medioevo. Con ogni probabilità è giunto in Europa proprio insieme ai sarmati, popolazione seminomade di cavalieri che, spinti in Pannonia dalle migrazioni dei goti, si fusero con le popolazioni slave presenti nella bassa Moravia, ove poi si sviluppò il primo grande regno slavo della storia. Il mito e la storia incrociano più volte sarmati e slavi. Una certa mitografia fa risalire ai sarmati l’origine dei polacchi, e certo influenze ve ne furono, ma storicamente ha la stessa validità dei galli progenitori dei francesi. Il mito delle amazzoni lo ritroveremo nel VIII° secolo dopo Cristo nell’Historia Longobardorum di Paolo Diacono e ancora nel X° secolo il viaggiatore arabo tortosano Ibn Ya’qub parla di donne guerriere nelle sterminate pianure della Rus’.
L’elemento mitologico trova riscontri nelle cronache dell’alto Medioevo: Cosma di Praga, padre della storiografia boema, nel XII° secolo narra di donne ceche che “desideravano ardentemente possedere armi ed eleggevano capitani all’interno del gruppo. Stavano in guerra né più né meno dei maschi e come questi cacciavano nelle foreste. Né facevano differenze tra abiti maschili e femminili”. In tempi successivi riscontriamo come le donne fossero ammesse nella successione nobiliare in Polonia. La libertà sessuale era assai ampia. Sempre Ibn Ya’kub racconta del privilegio delle donne serbe nello scegliersi lo sposo e, più spesso ancora, di disporre di sé prima del matrimonio. Vedremo nella prossima puntata quanto ampia fosse la libertà sessuale delle donne slave assai diversa da quella che ci costumava nel resto d’Europa. Una “libertà” della donna che la lenta ma progressiva cristianizzazione ha fortemente ridimensionato ma di cui sopravvive tutt’oggi qualcosa nei movimenti femministi contemporanei. Un’eredità delle (chissà quanto mitiche) amazzoni?
Massimiliano Di Pasquale, nel suo Ucraina terra di confine, racconta di Asgarda, un gruppo di centocinquanta ragazze che si proclamano discendenti delle Amazzoni. Kateryna Tarnovska, leader del movimento, dichiara che lo scopo è emancipare l’Ucraina dal retaggio totalitario, liberando i sogni e desideri delle donne. Donne che vivono secondo una regola comune, e le cui figlie vengono “educate” dal gruppo una volta raggiunta l’età di tre anni. L’acqua è l’elemento sacrale. Asgarda, nome dell’associazione, fa riferimento alla mitologia nordica. Un pasticcio culturale? Non proprio se ricordiamo che il primo regno russo, quello kieviano, è stato fondato da guerrieri vichinghi. Tutto si tiene, nel passato nel presente delle donne slave.
La donna disprezzata e vendicativa. Il mito delle rusalke
Naturalmente, non erano tutte rose e fiori nemmeno nell’alto Medioevo. Un mito più di tutti restituisce la volubilità della condizione femminile: quelle delle rusalke.
Le giovani che, disperate, si sono gettate nell’onda rapida dei fiumi, si mutano in rusalke, piccole onde che un giorno potrano vendicarsi dell’amante infedele attirandolo nei gorghi. È il tema di un celebre scena drammatica di Puskin: “Da que momento in cui, fuori di me, ragazza disperata e disprezzata, mi gettai nelle acque del profondo Dniper mi trovai rusalka fredda e possente, ogni giorno penso alle vendetta, ed ora, a quanto pare, è giunta la mia ora”.
La parola rusalka (rusałki, rusálke, rusalije, pусалки) è un termine generico per indicare le divinità, gli spiriti e i demoni femminili associati ai fiumi e ai laghi nella mitologia slava. Le varie tradizioni slave connotano differentemente le rusalke, variandone caratteristiche fisiche e funzioni. In Russia sono note come beregine (da bereg, che significa sponda, riva). Nei Balcani vengono chiamate samovile dai bulgari e vile da serbi e croati. Il loro aspetto era attraente, giovane ed erotico: lunghi capelli intrecciati e occhi verdi, nude o vestite solo di fiori, il loro scopo era attrarre l’uomo infedele nelle spire dell’acqua. In taluni casi erano rappresentate come donne metà pesci, come le sirene della mitologia classica. Per inciso, il simbolo della città di Varsavia, legato al mito fondativo, è appunto una sirena. In generale venivano associate all’acqua e alla primavera, e potevano influire sulla fecondità delle donne, sui raccolti, sulla pesca, curare malattie, ma anche causare la morte.
Le rusalke erano dunque figure pericolose: la notte uscivano dall’acqua sedendosi sui rami dei platani e chiamando gli uomini di passaggio. Se questi erano infedeli, venivano travolti dalle acque e uccisi. La donna tradita, divenuta rusalka, poteva liberarsi dalla sua condizione demonica quando l’amante infedele veniva infine punito.
La rusalka oggi
Alle rusalke sono ancora oggi dedicate feste. In Ucraina vengono ricordate con una festa all’inizio della primavera, connessa alla fecondità. È interessante notare come il mito delle rusalke racchiuda una serie di significati, in parte sopravvissuti nel folclore e nella mentalità slava, che fanno della donna un essere magico, legato alla ri-generazione della natura, ma al contempo demoniaco. Un essere capace di vendicarsi se viene tradito il patto amoroso. Un essere che può dare la morte pur legandosi alla vita, che agisce dominata dall’odio perché ha conosciuto l’amore.
È forse temerario affermare che questo mito sopravviva – per estremo – in movimenti come le Femen (che nude, appunto, attraggono con l’inganno erotico ma il cui scopo è una rivendicazione sociale) o nelle Pussy Riot, in cui l’elemento erotico presente fin nel nome si lega a un ben più radicale messaggio politico. Il patto che è stato rotto è appunto quello sociale, il riconoscimento della sostanziale uguaglianza tra i sessi da parte della società maschilista e patriarcale tipica di alcuni paesi slavi.
Certo queste sono anche, e soprattutto, espressioni di una realtà commerciale e la critica sociale è solo un elemento di marketing. Uscendo dai casi di cronaca, invero un po’ estremi, esiste nella donna slava un richiamo all’autonomia che si scontra con il paternalismo di società mascoline e muscolari. Sono le donne che spesso emigrano, per supportare con le loro rimesse la fragile economia famigliare, anche al costo di lasciare i figli alle cure dei nonni o del padre rimasto in patria. Una scelta di grande coraggio e sacrificio che conferma, se ce ne fosse bisogno, la grande caparbietà delle donne – non solo slave.
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La storia del mito delle rusalke è veramente affascinante.
La loro influenza nel mondo slavo di oggi di cui parli mi sembra quasi inevitabile…anche se probabilmente tutto rimane un po’ leggenda!
In ogni caso, quando si parla di rusalke, dopo Puskin, mi viene subito in mente il film russo del 2007, “Rusalka” appunto (https://www.youtube.com/watch?v=8ToV9bNQV7s)
Antonin Dvorak nel 1901 compose l’ opera lirica, Rusalka,una bellissima ninfa delle acque che si innamora di un principe umano. Chiede ad una strega una pozione per poter amare il principe. La strega acconsente ma ad alcune condizioni. Dovrà perdere la voce e la maledizione nel caso il principe la tradisse. Ciò avviene e Rusalka viene condannata ad errare finchè non avrà ucciso il suo amato. Il principe va in riva al lago e chiede perdono a Rusalka e vuole baciarla, ma essa lo avvisa che sarà un bacio mortale. Il principe accetta la sorte e muore fra le sue braccia. Opera ambientata in una splendida natura e dove la vicenda e i personaggi sono tratti dalla tradizione popolare slava.