L’inizio di un nuovo anno non è solo un periodo di buoni propositi – il più delle volte difficili da realizzare – ma è anche tempo di tirare le somme di quello appena passato. E questo ai russi piace tanto. Diversi giornali se ne occupano; Nezavisimaja Gazeta dedica un intero numero ai bilanci del 2014.
Il 2014, aprendosi con i Giochi Olimpici di Sochi, avrebbe dovuto affermare sul piano internazionale l’autorità e il peso della Russia e di Putin; si è concluso invece con un processo di “inorientamento” della Federazione, sempre più attanagliata da una profonda crisi economica con presagi di recessione.
La cerimonia di chiusura dei Giochi Olimpici Invernali di Sochi è coincisa con la fuga del presidente ucraino Janukovič da Kiev in Russia su un aereo militare russo. Il che ha sancito apertamente il trionfo di euromaidan e dei suoi sostenitori, e la diffusione di un sentimento antirusso in Ucraina. Cosciente di stare perdendo un partner importante per i suoi commerci e soprattutto un’area strategica sul Mar Nero, Putin, sfidando la geopolitica, ha annesso la Crimea, dopo che questa con un referendum discutibile si era detta pronta ad abbracciare la Federazione. Accettando la sfida, Stati Uniti e Unione Europea hanno ribattuto imponendo le ben note sanzioni. Nonostante possa sembrare che queste vadano in definitiva a ledere più all’economia europea che a quella russa, non si può dire che parte della crisi che sta attanagliando la Russia non dipenda anche da queste limitazioni commerciali.
Le sanzioni hanno risvegliato in Russia l’attenzione sull’economia; è emerso chiaramente come l’edificio russo ponga le sue fondamenta principalmente sul settore energetico (che produce il 30% del PIL e corrisponde ai due terzi dell’export) e sul mercato finanziario occidentale (dai cui finanziamenti dipendono molte aziende e banche russe). Questi due ambiti dell’economia sono ampiamente controllati dal blocco euro-atlantico, con il quale Putin ha intrapreso un aspro confronto: lo sviluppo economico e lo stesso umore della politica e della popolazione nel 2015 ne sarà certamente influenzato. La produzione energetica, ad esempio, nei prossimi anni si bloccherà perché mancheranno le tecnologie di estrazione occidentali in Siberia.
La caduta di valore del rublo ha significato un aumento del prezzo delle merci importate e una maggiore inflazione; inoltre ha abbassato di conseguenza il potere di acquisto e il tenore di vita della popolazione, in particolare della classe media. Anche le aziende poi, già di per se indebitate con le banche per 650 miliardi di dollari, difficilmente solveranno i loro debiti, non solo a causa della perdita di valore del rublo, ma anche della mancanza di crescita. A stento molte di queste riusciranno a sopravvivere. Per quanto riguarda la Banca Centrale russa, dall’inizio della svalutazione della moneta ha perso 80 miliardi di dollari.
Putin ha compreso che giocare secondo le regole del mercato vuol dire seguire sostanzialmente le regole dell’Occidente; il che conduce a sconfitta certa (la produzione negli Stati Uniti intanto, nell’ultimo trimestre, è cresciuta del 5%). Pertanto, la scelta di deviare il suo corso verso Oriente è da interpretare solo alla luce della questione economica, e non da ricollegare ideologicamente ad una tradizione di ortodossia, autocrazia e mancanza di democrazia, che potrebbe suggerire una maggiore identità con i sistemi asiatici.
Per quanto riguarda le proteste – anche alla luce dell’ultima condanna del blogger Naval’nij –, queste non si sono ancora trasformate, nel 2014, da dispute e critiche virtuali, in concrete opposizioni e resistenze politiche. La teoria marxista-leninista un secolo fa propugnava l’idea che la lotta politica nasce principalmente da una lotta economica per il miglioramento delle condizioni di vita. E la crisi ne sta potenzialmente creando le condizioni.
Parte del contenuto e i dati riportati nell’articolo si basano su un editoriale di Konstantin Remčukov per Nezavisimaja Gazeta.
Questo articolo è una sintesi precisa e puntuale della situazione reale, ma purtroppo i russi ancora non sono in grado di vedere la situazione per quella che è. Sono tutti pienamente convinti che tutte le colpe della crisi siano da imputare solo ed esclusivamente agli Stati Uniti e all’Europa che – secondo loro – avrebbe dovuto “schierarsi” dalla loro parte e non dalla parte degli USA. Prima che i russi (non solo qualche blogger illuminato) capiranno che forse questa volta il loro amato Putin ha sbagliato qualche calcolo passerà ancora molto tempo…
Gent. Alice
le faccio una domanda, magari sa risponderci… secondo lei la convinzione che la colpa sia da imputarsi a fattori esogeni è dovuta solo alla propaganda putinista oppure c’è altro? Esiste, cioè, un idea “antioccidentale” diffusa nella società russa? e a cosa si deve? Grazie
Matteo
Gentile Matteo,
la propaganda putinista sta facendo del suo meglio per dimostrare che la colpa della crisi sia solo dell’Occidente; ma in realtà – secondo me – le radici dell'”antioccidentalismo” russo hanno radici più profonde che affondano ancora ai tempi della nascita dell’URSS. Le relazioni della Russia con l’Occidente non sono mai state distese: prima durante la Seconda Guerra Mondiale si sono visti attaccare nel cuore del paese – durante l’assedio di Leningrado – dall’esercito tedesco; poi hanno vissuto quarant’anni di guerra fredda nei quali la propaganda unita al sentimento patriottico, che è parte integrante della cultura russa, hanno disegnato l’Occidente come un mostro. Questo “mostro” è riuscito in un certo senso a sconvolgere la stabilità che dava l’Unione Sovietica, a causa di – un russo direbbe “per colpa di…” – Gorbaciev: in quel momento tutto quello che loro avevano è stato inghiottito dai terribili anni Novanta che hanno portato criminalità e insicurezza. Poi è arrivato Putin e tutto sembrava andare per il meglio: tutti in vacanza in Italia e in Grecia, una volta al mese una gita in Finlandia o in Estonia. Proprio appena i russi cominciavano a ricredersi e a capire che forse l’Occidente non è poi così male… ecco la crisi in Ucraina e tutto ritorna come prima, anzi, peggio di prima.
Ci tengo a precisare una cosa, che anche in Europa però si viene costantemente bombardati dall’idea che in Russia si viva male, che Putin sia un dittatore e altre cose simili. Vivendo qui, ho capito che la verità sta nel mezzo, ma questo mezzo non ho ancora capito dov’è.
Mi sembra che questa analisi parta con il piede sbagliato. Cioè sottintenda che le scelte politiche di Putin e dei suoi padrini mafioso-plutocrati, siano le uniche e vere interpretazioni delle richieste storiche del popolo russo. Di più, anche la domanda sull’alternativa “fattori esogeni istillati dalla disinformacija” contro “idea “antioccidentale” insita (geneticamente? storicamente?) nella società russa” risulta, secondo me, fuorviante.
Procediamo con ordine: “la diffusione di un sentimento antirusso in Ucraina” è conseguenza della vittoria degli “euromaidan” o del fatto che Putin ha cercato per la seconda volta di modificare il corso politico a Kyiv cavalcando un secessionismo che fino a quel momento era deboluccio? Capisco che può sembrare il noto problema se è nato prima l’uovo o la gallina, ma non tener conto di questa ambiguità ci fa confondere elementi di paranoia, complesso di cittadella assediata con lo scontato ricorso al “nemico esterno” per giustificare le difficoltà indotte da una politica sconsiderata.
“è emerso chiaramente come l’edificio russo ponga le sue fondamenta principalmente sul settore energetico (che produce il 30% del PIL e corrisponde ai due terzi dell’export)” viene riportato come elemento dato, oggettivo. In verità questo è il risultato delle scelte della cricca mafiosa degli oligarchi che sono i primi sostenitori di Putin e del suo regime. Questi signori, dopo essersi arricchiti con le sconsiderate privatizzazioni dell’epoca Eltsin, adesso intendono sfruttare fino in fondo l’unico settore che produce entrate sicure da depositare in Svizzera o a Londra. E gli altri settori possono andare tranquillamente a ramengo.
Circa la “via cinese” direi che per mancanza di fondi, al momento è solo una pia illusione, come, alla fine, si è rivelato il South Stream: Putin ha lasciato i suoi fans nei Balcani in braghe di tela senza pensarci due volte, perdendo sicuramente una larga parte della residua credibilità e influenza nella regione. D’altronde la Gazprom è più interessata a sfruttare le sue attuali rendite di posizione che impegolarsi in equilibrismi geopolitici dall’incerto futuro. Senza contare che su quest’ultima pende la spada di Damocle di un “reclamo” colossale da parte della Commissione EU sulla base di un’indagine pluriennale su prezzi discriminatori e altri abusi di mercato che risale al 2004. Ciò potrebbe portare a cambiamenti nel modello di business di Gazprom e enorme multe.
Non che lo Stato russo stia meglio: sono scaduti i termini per il pagamento ai soci Yukos dei famosi 50 miliardi di dollari e questi signori si stanno preparando ad aggredire proprietà russe ovunque nel mondo. E poi i costi astronomici della russificazione della Crimea, e il gonfiarsi delle spese militari russe? Ci siamo dimenticati che l’implosione dell’Unione Sovietica partì dall’incapacità di reggere crescenti investimenti in campo militare, un mostro che arrivava a divorare il 70/80% del bilancio statale?
In conclusione di fronte a questa situazione fallimentare del regime putiniano, la domanda interessante sarebbe: quando la società civile russa si renderà conto del baratro economico e sociale in cui Putin la sta trascinando?
disamina critica ed equilibrata