INTERVISTA: Berlusconi e Scorpioni, incontro con Jasmina Tesanovic

di Francesco Lubinu

da Virtual Vita Nuova

1. Chi è Jasmina Tesanovic?
Sono una donna che ogni tanto scrive. È stato così per tutta la vita, non ho fatto altro che scrivere, oltre che vivere la mia vita. Annotare come in un diario il flusso del tempo e del nostro stare nella storia. Per di più sono una donna che ha due teste, una che agisce senza pensare e l’altra che pensa dopo aver agito. Da qui il mio cosiddetto coraggio, di cui a volte non so rispondere adeguatamente. Il tratto più ovvio nella mia personalità, che noto perfino io, è la “ghiandola dell’ingiustizia”. Mia madre diceva che da quando ero molto piccola non c’era modo di trattare con me se non con delle spiegazioni sul cosa sia giusto e perché. Per il resto ero una bambina normale e questo tratto nella mia generazione si chiamava testardaggine.

2. Il ruolo della cultura come opposizione alle politiche nazionalistiche: riflessioni e figure emblematiche.

A dir la verità, la cultura nel senso più lato della parola, quindi non l’arte né la letteratura, ma la cultura della vita quotidiana è l’unico metodo efficiente per combattere il nazionalismo. Ed è il modo più lento e difficile. È per questo che le rivoluzioni non durano e nemmeno gli atti individuali di eroismo o correttezza politica. Le figure emblematiche sono quelle che scegliamo noi: gente che vive la cultura, che si esprime attraverso la cultura del quotidiano, del proprio momento storico. Quindi scegliamo quello che ci è a portata di mano, che ci fa star bene, che ci rende visibili e potenti. Adesso è qui il problema: se a portata di mano non abbiamo altro che modelli di un certo tipo, è difficile che scegliamo un mondo diverso da quello in cui viviamo. Recentemente, in una favela malfamata di San Paolo, Brasile, un ragazzo scrittore e musicista locale mi ha detto; la favela è un mondo a sé, dal quale io non voglio uscire, però la favela è un mondo patriarcale retrivo e violento. Cerco con la mia musica e i miei libri di portare nella cultura della favela modelli non solo locali, ma anche internazionali che non esistono nella società e nelle scuole brasiliani. Mi chiedo se forse gli abitanti delle favelas allora un giorno non saranno più acculturati di quelli fuori dalle favelas.

3.Potrebbe chiarire il filo conduttore politico presente nei suoi lavori?

Non lo so se lo posso chiarire dall’interno. Forse è più visibile dall’esterno. Da quelli che mi leggono. Comunque io posso azzardarmi a dire che ho sempre scritto dal punto di vista personale del dolore e del malessere che una società patriarcale, quindi misogina, omofoba e nazionalista, produce sui membri della comunità: guerre, incesti (materiali oppure ideologici, sfruttamento, violenza ecc). I miei libri non sono molto felici e facili da leggere. Come persona io sono molto più amabile. Diciamo che vivo la realtà con meno dolore di quando mi metto a pensarla e decostruirla.

4.Nel suo libro, Processo agli Scorpioni, si evidenzia la personalità carismatica del loro leader, e pare che tutti fossero sottomessi al suo volere. Questo senso di sottomissione all’autorità è circoscritto o esteso alla società civile in toto?

Ma certo. Guardate cosa succede adesso in Italia con Berlusconi. Lui fa quello che fa, non è una sorpresa. La vera sorpresa per tutto il mondo è il popolo italiano; l’ultima dichiarazione di Iva Zanicchi è il simbolo più doloroso per me dello stato d’animo italiano: sembra una delle donne degli Scorpioni, criminali di guerra che hanno comprato e ricattato le loro donne, o una degli elettori di Milosevic, di Stalin… La cito: “Certo che quel benefattore di Berlusconi aveva bisogno di carne fresca e giovane, mica delle vecchie babbione come me…!”

5.Qual’è il significato simbolico dello scorpione?

Nella situazione particolare della Serbia era il tipo d’arma che usavano. In senso universale potete pensare quello che volete. Era lì il bello, far paura a livello realistico e a livello simbolico.

6. La Serbia, ai nostri occhi, è divisa tra il suo desiderio di entrare nell’UE e una politica che mira a preservare l’entità di uno stato centralizzato. Un commento su questa dicotomia?

È vero, ma non solo la Serbia. Direi che anche altri paesi che sono già entrati nell’UE hanno ancora questi dubbi..
La mia paura è che ora che la Serbia entri nell’UE, questa come tale non esisterà più, perché l’UE soffre di mali suoi propri che deve risolvere, per esempio il razzismo e i presidenti come Berlusconi. Per fortuna esiste però ancora l’UE: almeno esiste una specie di controllo per gli eccessi, anche se spesso è solo simbolico e debole.

7. Cosa secondo lei è necessario in primis cambiare per procedere verso una Serbia “europea”?

Prima si dovrebbe cambiare la corruzione interna in Serbia, la svendita dello stato in bancarotta ai cittadini oltre ogni sospetto, cioè la mafia locale. Nello stesso tempo anche un taglio netto con il passato si dovrebbe non tanto dichiarare ma effettuare, cioè scacciare dai posti di potere tutti coloro che ovviamente hanno le mani sporche di sangue e denaro. Perfino del nostro premier assassinato nel 2003 Djindjic. In questo momento, un paio di iniziative del genere si stanno portando avanti in Serbia, ma senza scalpore, senza grandi esiti, perché da noi anche l’opposizione è divisa e in litigio settario e personale. In po’ come accade anche in Italia/

8. Sappiamo che il simbolo è l’elemento fondante della cosiddetta Weltanschauung, ovvero la visione del mondo di una società. Quali sono i simboli della società che Jasmina Tesanovic vorrebbe? E quali simboli esistenti sostituirebbe?

Prima di tutto l’inno nazionale serbo per anni è stato imposto senza nessun diritto legale, finchè la gente non si è abituata e senza nemmeno sapere quando sia stato legalizzato. Ci sono altre belle canzoni che potevano parlare dello spirito di un popolo senza usare Dio, guerre e chiesa come portatori di luce e di futuro.
Poi la costituzione, che è stata imposta con l’inno e con altri simboli, dichiara la Serbia patria di Serbi invece di dire cittadini di Serbia. Queste idee etniche e nazionaliste non sono nemmeno quelle di Milosevic e di Mladic, il generale del genocidio di Srebrenica; è un nazionalismo nuovo, del nuovo millennio, sulla tomba della ex Yugoslavia multietnica e internazionalista. Io non sono “Yu nostalgica”, ma non sono nemmeno nostalgica della Serbia del 1389, della battaglia di Kosovo. La Weltanschaung, lo Zeitgeist, lo spirito dei nostri tempi bisognerebbe trovarlo nelle nostre vite: “Il futuro è già qui, ma non è egualmente distribuito” (Gibson). E il presente che vive mia figlia per esempio, senz’altro non è quello della Serbia del 1389, ma quello di una ragazza che parla tante lingue, gira liberamente per il mondo ed ha i mezzi di potere nelle proprie mani per essere indipendente da tutti gli stati, volendo. Che non rischi la vita per poter essere una donna libera in un mondo libero. Quindi incluse tutte le leggi dei diritti umani delle donne della piattaforma d’azione di Pechino del 1995. Ecco, chiedo forse troppo per mia figlia? Ma ditemi , quale madre chiederebbe di meno?

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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