Le ultime riprese del giornalista Yasser al Jumaili prima di essere ucciso sulle milizie della guerra civile siriana, sono ora un documentario
Era il 20 novembre 2013 quando una macchina obbligava il cameraman freelance Yasser Faisal al Jumaili, l’altro operatore e reporter Jomah al Qasem e l’autista a fermare l’auto in cui viaggiavano, a Ibril, in Siria. Stavano andando ad intervistare un esponenete di spiscco del Fronte al Nusra, che viaggiava nell’auto di fronte, insieme a due scorte. Il convoglio armato blocca l’auto dove viaggia Yasser, tagliandogli la strada. Un uomo soltanto, armato, scende e spara direttamente a Yasser. Un altro uomo a questo punto scende anche lui e inveisce colpi di kalashnikov sul corpo del giornalista, già morto.
Gli altri passeggeri sono indenni, a Jumah al Qasem, l’altro reporter, viene in mente di scappare ma è pieno giorno e sono nel nord della Siria, il terrirorio è arido, semi desertico, non c’è un posto dove nascondersi, non c’è un albero che copra la vista degli assassini, la visibilità è totale. Poi le parole dei due uomini armati, sorprendentemente in inglese, “why did you shot him in the car? I told you not to shoot him in the car”, “why didn’t you get him out and shoot him?”, in toni accesi. Tirano fuori il corpo di Yasser dall’auto, perquisiscono le sue tasche, ma prendono soltanto il telefono satellitare e dei soldi; poi guidano gli altri passeggeri che erano in macchina con Yasser per circa un chilometro, alla fine del quale fanno loro segno con le mani di scendere dall’auto, possono andarsene.
A raccontare questa storia è Jomah al Qasem stesso, nel documentario fatto da al Jazeera e uscito il 6 dicembre scorso, intitolato “Syria: the last assignment“ dove sono state montate le interviste fatte ad altri collaboratori di al Jazeera stessa, con l’ultimo materiale che al Jumaili aveva filmato prima di essere ucciso. Quel materiale che è stato recuperato dopo la sua morte e che ha impiegato quasi un anno per uscire dalla Siria. Le immagini che al Jumaili aveva girato sono audaci e oneste, come il suo progetto di filmare i gruppi armati della guerra civile: tredici giorni ad intervistare, riprendere, parlare, dietro le linee con il Fronte al Nusra, con l’Esercito Siriano Libero, con la Brigada al Tawhid, con Ahrar al Sham e infine con l’ISIS.
Un viaggio iniziato in Turchia, dove arriva da Baghdad per entrare in Siria, e dove infatti passa il confine a Bab al Hawa, nascosto in una macchina perchè cittadino iracheno, a cui non sarebbe stato possibile passare in un luogo dove solo turchi e siriani riuscivano ad entrare. La prima tappa, nella zona di confine con la Turchia, al Jumaili e al Qasem la fanno con alcuni esponenti di Ahrar al Sham, un gruppo di islamisti anti-governativi. Immagini di terra bruciata e rossiccia, case danneggiate dai bombardamenti e ora abbandonate, pezzi di lamiera, gli elicotteri vuoti dell’aeroporto di Taftanaz liberato dai ribelli, scorrono sul video lente: una pace malinconica e triste che fa seguito a scontri feroci. Yasser e Jumah raggiungono poi Idlib, dove incontrano e filmano esponenti del Fronte al Nusra, gli affiliati in Siria di al Qa’ida. Al Nusra racconta di come facciano pattugliamento notturno alla ricerca di ladri e “troublemakers”, combina guai, di come montino checkpoint per controllare che le auto che arrivano non portino esplosivo a bordo; i combattenti raccontano e Yasser filma non solo le loro parole, il leader che parla, ma anche la risposta dei combattenti quando è anunciato al walkie-talkie un possibile attacco aereo, la preparazione della contraerea.
I due reporter incontrano poi alcuni ribelli dell’Esercito Siriano Libero sulla montagna di al Zawiya, in una cava che fà da punto di vedetta per gli altri combattenti e per i civili a valle. Salgono poi fino ad Aleppo, dove riescono a seguire la brigata al Tahwid e i preparativi per la battglia di Sheikh Najjar contro le forze governative. La battaglia è feroce, gli attacchi aerei sono giorno e si sente qualcuno che dal walkie talkie di un combattente dice “stanno sparando nelle case”. Yasser e Jumah arrivano incontrano poi i miliziani dell’ISIS ad Aleppo e Manbij, dove riescono ad entrare nell’ufficio centrale per le relazioni con il pubblico, dove si vedono stipati scatoloni di brochures informative, libri e bandiere dello Stato Islamico appena stampate. Due combattenti parlano della distribuzione dei volantini, poi uno ne carica in macchina uno scatolone. La tappa successiva vede i due reporte vicino ad Irbil, a Jabal Arba’in, di nuovo con al Nusra. Sono sulle linee di guerra, a 150 metri dalle linee governative, nascosti in case diroccate con i sacchi di sabbia alle finestre, da dove sparano i cecchini. Non sanno che sarà l’ultima tappa per Yasser, tra Taftanaz e Aleppo ci sarà l’agguato.
Gli uomini delle milizie sono ripresi così da vicino che se ne riesce a vedere la normalità, la banalità anche; Yasser al Jumaili ci ha mostrato senza veli, senza filtri, la vita dietro le linee, senza spettacolarizzazioni ma soprattutto, per una volta, si vede come sono invece che come vogliono essere visti dall’esterno, Yasser scopre gli ingranaggi; nelle riprese non c’è marketing, non c’è fascino, nè quello romantico dei combattenti duri e puri, nè quello macabro, spaventoso dei video delle decapitazioni. E forse proprio questa banalità, questo realismo che passa così forte dalle immagini, è la cosa che ha dato più fastidio a chi poi ha ucciso Yasser.