di Silvia Biasutti
“Nel sonno non siamo profughi”, di Paul Goma, è il titolo di uno dei romanzi più affascinanti e scanzonati della letteratura moldava, il cui titolo originale è “Din Calidor” (trad. “Dalla veranda”) che uscì per la prima volta in Francia nel 1987 per i tipi della Albin Michel. In Italia il romanzo è uscito per la Keller nel settembre 2010 con la traduzione dal romeno di Davide Zaffi.
Goma rivive nel romanzo gli anni incantati della sua infanzia nel villaggio di Mana, in Bessarabia, dando corpo con le parole ad affreschi autobiografici di straordinaria sensibilità. Siamo negli anni Trenta e Quaranta del Novecento, nella veranda di una casa di campagna se ne sta seduto un bambino (Goma), è il figlio dei maestri del Paese e nipote del sindaco, un nonno perspicace e amatissimo. La metafora della veranda è il filo rosso che accompagna l’intera narrazione, la quale intreccia i piccoli accadimenti quotidiani di una famiglia e della sua comunità rurale con le vicende storiche che hanno contrassegnato la metamorfosi politica e sociale della Bessarabia.
E’ con una naturalezza propria dell’età infantile che Goma interpreta il rapimento del padre per mano dei russi, la condizione di orfano che, seppur temporanea, cambia la percezione del proprio posto all’interno della comunità. I fatti atroci della storia, come l’occupazione sovietica e lo smembramento della Bessariabia si intrecciano con le prime esperienze sessuali, con la scoperta del mondo femminile e delle dinamiche familiari. Goma dipinge sapientemente un paesaggio contadino attraverso i ricordi d’infanzia, dove la vita di un bambino e della sua comunità è intrisa di quella semplicità confortante che viene travolta da complesse vicende politiche decise da ignoti, lontani nel tempo e soprattutto nello spazio. Emerge così quel sentimento tipico delle popolazioni che vivono alle periferie degli imperi, dove il corso della storia giunge con tempi dilatati e i mutamenti faticano a prendere corso. Ecco che nel villaggio sopraggiunge l’imposizione del cirillico, i soldati russi entrano nelle case, compiono razzie, prelevano gli uomini e spaventano le donne. Sullo sfondo, un bambino osserva dalla sua veranda la storia scorrere lungo le vie infangate del paese.
Da quel calidor aperto su due lati, il fuori è ravvicinato e non definitivo, è un luogo aperto all’aria e alla luce, all’ombra e al caldo interiore, esposto alle aggressioni, ma mai mortali, perché si può sempre fare un passo indietro, al riparo. La veranda detta pertanto il ritmo degli avvenimenti e rincuora come il calore di un abbraccio materno lo scorrere della vita. In questo palcoscenico anche ciò che è crudele viene stemperato da una narrazione poetica che, in procinto di chiudere il sipario, ci ricorda che la biografia di Goma è segnata dalla fuga dal proprio villaggio, in un viaggio anche simbolico, che segnerà l’inizio della sua condizione di profugo e la fine di un’infanzia spensierata. E’ con questi ingredienti che “Nel sonno non siamo profughi” Goma ci regala un memoir di alta levatura, intenso e scevro da ogni retorica.
Niente di meglio che la storia raccontata dai suoi protagonisti. Molto interessante. Brava 🙂