Lucian Blaga è stato il poeta romeno che ha saputo coniugare insieme modernismo, amore per il mondo tradizionale del villaggio e la grande filosofia occidentale. Nato nel 1895 in un villaggio della Transilvania meridionale, ha studiato filosofia a Vienna, entrando in contatto con gli ambienti più fertili della cultura mitteleuropea permeata della filosofia di Nietzsche.
Nelle raccolte poetiche della maturità Blaga si avvicina al mondo del villaggio romeno individuando nelle tradizioni millenarie della sua terra un forte valore metafisico. La campagna non è tuttavia un luogo idilliaco: il pessimismo esistenziale dell’autore trova una propria sublimazione nell’eterna fissità del mondo rurale transilvano, simbolo di un’antica conciliazione con una realtà superiore non più raggiungibile dall’uomo. Memorabili questi versi tratti dalla poesia L’anima del villaggio (trad. personale):
Bambina mia, appoggia le tue mani sulle mie ginocchia.
Io credo che l’eternità sia nata nel villaggio.
Qui ogni pensiero è più tranquillo
e il tuo cuore palpita più lentamente,
quasi non ti batta nemmeno nel petto
ma sia, invece, da qualche parte nel profondo nel suolo.
La persecuzione da parte del regime comunista
Con l’instaurazione della dittatura comunista, alla fine della guerra, Blaga venne costretto ad abbandonare l’insegnamento universitario (era professore di filosofia presso l’Università di Cluj) e si vide interdetta la possibilità di pubblicare lavori originali. Il poeta transilvano, infatti, si era rifiutato di accettare la retorica celebrativa del realismo socialista chiudendosi in un silenzio forzato, continuando a scrivere di nascosto e svolgendo l’umile mansione di bibliotecario presso la Biblioteca Universitaria di Cluj.
In un rapporto della Securitate, la polizia politica di regime, leggiamo che, «con la sua formazione intellettuale borghese occidentale, con le sue concezioni borghesi idealiste e con il lungo tempo passato all’estero, [Lucian Blaga] non [è] per niente integrabile nel nostro regime democratico-popolare»; il rapporto prosegue: «a causa del suo rifiuto di inquadrarsi nella nuova letteratura del realismo socialista, è considerato un resistente e gode di simpatie nelle cerchie degli scrittori e degli intellettuali borghesi del nostro paese».
Il mantenimento della “sincronizzazione”
Cosa rimaneva da fare all’intellettuale “resistente”? Una soluzione poteva essere proprio il rifugio nella traduzione letteraria per poter mantenere così un contatto sia con l’Occidente sia con i propri lettori. L’isolamento culturale in cui cadde la Romania comunista aveva provocato un allentamento dei rapporti con la letteratura europea contemporanea: la cosiddetta “sincronizzazione” dello spazio romeno era pericolosamente interrotta.
La traduzione del Faust di Goethe
A proposito delle traduzioni così ha scritto Tudor Vianu, sommo critico e sostenitore di Blaga: «una traduzione ben condotta apre prospettive nuove verso un mondo sconosciuto, fa risuonare nel nostro animo corde che non hanno mai vibrato. Una traduzione deve essere un viaggio in terra straniera».
Per questo “viaggio” Blaga scelse un’opera capitale della letteratura occidentale: il Faust di Goethe; la traduzione, pubblicata nel 1955, fu un grande successo personale. Secondo Blaga «un poeta che traduce da un altro poeta non ha nessuna forma di possibilità di trasformarsi nel puro specchio del proprio oggetto». La traduzione del Faust, infatti, non è nelle intenzioni del poeta soltanto un modo per far leggere ai romeni la parola del grande tedesco, ma è anche l’estrema possibilità per far sentire di nuovo la propria voce. Si tratta sicuramente di un “viaggio”, l’unico possibile fuori dalla Cortina di Ferro, per tentare di preservare la lingua della vera poesia dalla degenerazione che subivano allora le lettere romene.