Da SARAJEVO – La Bosnia ed Erzegovina è ancora a rischio di cadere in una spirale di disintegrazione, secondo l’ultimo rapporto, intitolato “Bosnia’s Future“, dell’International Crisis Group (ICG). L’Unione europea sta chiedendo al paese di soddisfare condizioni politicamente impossibili (come il trovare una soluzione alla questione Sejdic-Finci). La Bosnia ed Erzegovina ha invece necessità urgente di trovare un nuovo fondamento costituzionale, per risolvere la schizofrenia che ancora colpisce le istituzioni di Dayton, in cui la Bosnia era pensata allo stesso tempo come uno stato di tre popoli costituenti, e di tutti i suoi cittadini. Con il paradosso secondo il quale se i cittadini sono tutti uguali in quanto individui i tre popoli non lo sono, e viceversa. E stavolta il cambiamento, secondo l’ICG, può venire solamente dall’interno e dal basso, e non può essere imposto dall’alto e dall’esterno. E’ tempo, conclude il rapporto, di trattare la Bosnia come un paese normale, e che i cittadini bosniaci prendano in mano il proprio futuro, iscrivendosi ai partiti politici per creare una genuina competizione interna ad essi.
Tre comunità politiche, non tre popoli o tre etnie
Il termine “popoli costituenti” (o “costitutivi”) utilizzato nella Costituzione, la cui membership è personale e volontaria, così come l’usuale categoria ascrittiva di etnie, cui si partecipa invece per nascita in un determinato contesto culturale, secondo l’ICG non rispecchiano la realtà della Bosnia ed Erzegovina. Essa è invece caratterizzata da tre comunità politiche, gravitanti attorno alle tre maggiori città, Sarajevo, Banja Luka e Mostar, ciascuna con caratteristiche identitarie prevalenti ma ugualmente aperta a partiti non-etnici e membri delle minoranze (da cui l’insofferenza di Banja Luka per i “serbi di Sarajevo”, o quella di Mostar per i “falsi croati” come Željko Komšić, eletto nel 2010 membro croato della presidenza di Bosnia per il partito socialdemocratico a prevalenza bosgnacca).
Chiunque in Bosnia guarda a Sarajevo, a Banja Luka o a Mostar come proprio centro di attività politica e capitale figurativa…. L’appartenenza ad una comunità politica è strettamente volontaria. Tuttavia, il senso di lealtà è esclusivo: nessuno è lasciato fuori, non ci sono minoranze o doppie identità”
Riconoscere questo fatto, secondo l’ICG, significa anche riconoscere che “la crisi bosniaca è politica, non etnica o identitaria”. Essa deriva piuttosto dal fatto che ciascuna comunità ha un progetto politico diverso per il paese, la cui competizione dà forma al gioco politico bosniaco. Sarajevo vorrebbe rafforzare lo stato centrale e passare ad un sistema civico basato sui diritti individuali di ciascun cittadino (dimenticando che ciò significherebbe la prevalenza dell’elemento bosgnacco sugli altri popoli e minoranze). Banja Luka vuole rafforzare le garanzie della propria autonomia e (ri)portare la Bosnia verso una struttura sempre più confederale. Mostar, infine, si sente sottorappresentata e vorrebbe un ruolo paritario con le altre due “capitali” figurative.
Far uscire allo scoperto chi tira le fila: un direttorio alla svizzera per la Bosnia
La Bosnia ed Erzegovina ha un’economia impossibile, in cui i livelli di disoccupazione giovanile riportata dai dati raggiungono il 60%. La realtà, sostiene l’ICG, è che la maggior parte dell’economia è sommersa ed informale, e legata ai network di clientelismo dei diversi partiti politici, che si dividono le spoglie del sottogoverno e dell’economia parastatale, in un contesto in cui la pubblica amministrazione resta altamente politicizzata. Ciò spiega anche la passività dei cittadini bosniaci, secondo l’ICG, rispetto ad una classe politica di cui si lamentano ma da cui restano dipendenti per la propria sussistenza, di fronte a risultati economici non certo soddisfacenti.
Al vertice di tale sistema di clientelismo politico-economico sta la Šestorka, il gruppo dei sei leader dei maggiori partiti politici del paese, due per ogni comunità politica. La Šestorka resta una coalizione informale di leader auto-selezionatisi tramite opachi processi interni ai partiti politici, e che spesso non ricoprono cariche ufficiali, dividendosi sfere d’influenza sul complesso politico-economico bosniaco al riparo da ogni accountability.
L’economia clientelare e la struttura informale del potere in Bosnia si sono dimostrate molto resistenti. Ogni tentativo di riforma si è arenato davanti a strutture governative impotenti e gruppi politici che hanno tutto l’interesse a mantenere in piedi il sistema anziché riformarlo. L’unica maniera di migliorare la situazione, secondo l’ICG, è quella di formalizzare e istituzionalizzare tale sistema, facendolo uscire allo scoperto ed esponendolo alla responsabilità diretta verso i cittadini.
La partitocrazia bosniaca può essere resa più trasparente e democratica tramite un sistema politico che fonda governo e presidenza dello stato secondo un modello simile a quello del Consiglio Esecutivo Federale della Svizzera. Tale modello prevede un’elezione diretta (garantendo la responsabilità verso i cittadini) e una coalizione obbligatoria (assicurando la partecipazione dei gruppi minoritari), e fornisce ai leader dei partiti l’incentivo a prendere parte personalmente alla competizione politica per essere seduti laddove si prendono le decisioni chiave (a differenza dell’attuale governo statale, che ha ben pochi poteri reali). Il maggiore partito di ogni comunità politica eleggerebbe un co-presidente con potere di veto, mentre ciascun membro del consiglio presiederebbe su un ministero. “Il consiglio dei ministri comprenderebbe così i politici più popolari e sempre almeno un ministro, co-presidente, scelto dai votanti di ciascuna comunità”. In questa maniera, la Bosnia potrebbe riformare anche la Camera alta ed abbandonare il sistema di quote etniche, a favore di una legislazione anti-discriminazione basata sui diritti individuali.
Una nuova struttura territoriale
La Bosnia “è una federazione fortemente decentralizzata, e tale resterà”, secondo l’ICG. E’ tempo di riconoscere che “non c’è possibilità reale per un big bang adesso”, e che “la Bosnia farebbe meglio a mettere da parte le questioni più controverse e focalizzarsi sulle riforme più condivise”. Diverse soluzioni sono possibili a tale scopo, secondo l’ICG.
In primis, una futura riforma territoriale, che faccia della Bosnia una federazione compiuta, basata sull’autonomia territoriale anziché etno-comunitaria, potrebbe basarsi sui contorni del piano “Prud-III”, concordato nel 2009 tra i leader dei maggiori partiti delle tre comunità politiche bosniache (Tihić dell’SDA, Dodik dell’SNSD e Čović dell’HDZ). La Bosnia avrebbe così tre livelli di governo, di cui quello intermedio caratterizzato da quattro regioni. In alternativa, ai croati potrebbe essere garantita una terza entità, anche territorialmente non contigua, per l’autogoverno nelle competenze culturali nei comuni in cui sono maggioranza (ma ciò è oggi politicamente inaccettabile per i bosgnacchi). Oppure, l’entità a maggioranza croata e bosgnacca, la Federacija BiH, potrebbe essere dissolta, semplificando la Bosnia in uno stato federale a tre livelli, con un livello intermedio composto da dodici unità: i dieci cantoni della Federacija, la Republika Srpska e il distretto di Brčko. Un’ultima alternativa potrebbe essere quella di sostituire ai “popoli costituenti” tre comunità inclusive, eventualmente basate sull’autodefinizione linguistica dei propri membri come indicatore dell’identità comunitaria, come nel caso di Belgio e Svizzera. Diverse soluzioni sono disponibili per trasformare l’attuale sistema ibrido in una federazione territoriale standard:
Anziché un’intricata federazione di entità e popoli, il paese sarebbe una normale federazione di entità territoriali…. Le quote etniche potrebbero essere sostituite da una rappresentazione regionale e dalla protezione dei diritti umani e fondamentali.”
Riconoscere l’esclusività dei progetti politici alternativi per arrivare ad un compromesso accettabile
In ogni caso, conclude il rapporto dell’ICG, i membri delle tre comunità politiche devono riconoscere che i propri progetti politici per il paese sono mutualmente esclusivi, e che solo un compromesso può portare la Bosnia verso una riforma costituzionale. “Nessun progetto costituzionale può avere successo se non considera i cittadini così come sono, ed essi sono in grandissima maggioranza divisi in tre comunità”.
I “patrioti bosniaci” di Sarajevo dovrebbero comprendere, anche in base all’esperienza jugoslava, che l’unità non può essere forzata e che la pressione a conformarsi all’ideale civico non fa altro che rafforzare le identità comunitarie e particolaristiche. La comunità politica di Banja Luka, oggi in posizione di forza nella difesa ad oltranza dello status quo di Dayton, dovrebbe riconoscere che la stessa Republika Srpska ha bisogno di una Bosnia funzionante per poter prosperare, e che la sofferenza dei bosgnacchi durante il conflitto di vent’anni fa non è stata ancora presa sufficientemente in considerazione dalle sue istituzioni, continuando ad avvelenare le sue relazioni con Sarajevo. Infine, la comunità di Mostar dovrebbe riconoscere che l’uguaglianza costituzionale del popolo croato in Bosnia è una finzione legale, non sostenuta dai dati demografici (i croati oggi in Bosnia non superano il 15%), e non pretendere l’uguaglianza in ogni aspetto o una sovracompensazione, ma concentrarsi sui propri interessi pratici: l’autogoverno e la presenza ai tavoli decisionali.
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foto: EuNews
Perché i liberaldemocratici quando si parla di Jugoslavia sostengono la necessità di organizzarla in modo federale dando ampie autonomie ai vari popoli mentre per la BeE ritengono meglio centralizzare il paese?
Per par condicio i croati in bosnia dovrebbero diventare una minoranza. Solo bosgnacchi e serbi dovrebbero essere constitutivi. I serbi in croazia non erano constitutivi e se lo erano non lo sono dal 1990.
Inoltre con tre entità le due entità bosgnacca e croata potrebbero coalizzarsi contro quella serba, quindi è fuori discussione la creazione di una entità croata.