Cirillo e Metodio sono come i Rolling Stones, dinosauri del rock biblico, mostri della dottrina, sempre in tour tra una città e l’altra, cantandole ai missionari cattolici e facendo proseliti ovunque. La loro missione lascerà un segno profondissimo nella cultura slava e possiamo dire che senza di loro gli slavi oggi non sarebbero come sono.
Start me up, le origini
Costantino, meglio noto con il nome monastico di Cirillo, e suo fratello Metodio nacquero all’inizio del IX secolo a Tessalonica da famiglia di estrazione militare, forse di origine slava. Di certo Tessalonica era allora una città dalla forte presenza slava. Una presenza che si attesta dal VIII secolo quando gli slavi migrarono fino in Grecia durante la loro lunga diaspora nel continente europeo. Le cronache bizantine dell’epoca ricordano l’arrivo degli slavi come un “maremoto” che spinse la popolazione greca alla fuga verso sud: a quell’epoca risale la fondazione di Monemvasia (la cui coltivazione di vino, poi detto “malvasia”, conquisterà l’Europa), cittadina destinata ad accogliere i profughi greci della Macedonia terrorizzati dai nuovi barbari. Ma una forma di convivenza si rivelò presto possibile e i greci continuarono a gestire la vita pubblica di città ormai ampiamente “slavizzate”. Tra queste Tessalonica, dove il bilinguismo greco e slavo era all’ordine del giorno.
Gimme shelter, la Grande Moravia
Cirillo, che compì i suoi studi monastici a Costantinopoli, fu allievo di Fozio il quale, divenuto poi patriarca, affidò a lui e al fratello Metodio il delicato compito della conversione degli slavi. A Costantinopoli si era ormai capito che le sorti dell’impero dipendevano da quello: farsi amici quei barbari e portarli nella propria sfera di influenza. All’epoca i bizantini credevano che la lingua slava fosse una sola, e non avevano tutti i torti visto che diramazioni sviluppatesi dallo slavo comune non erano ancora nettamente differenziate. Ma Cirillo, per sicurezza, studiò anche il cazaro e il bulgaro, lingue turche utili nei Balcani orientali e nelle pianure della Pannonia.
Andarono così, tra un passaggio in calesse e l’altro, cercando riparo nei fienili come nei monasteri, fin nel cuore delle terre slave giungendo infine in Moravia, regione dell’attuale Repubblica Ceca che all’epoca era il centro del primo regno slavo, quello della Grande Moravia. Un regno strano, messo insieme da un faccendiere franco di nome Samo, “primo re degli slavi”. In Moravia si aveva una gran paura dei franchi, il cui impero confinava con le terre morave, e re Svatopulk era impegnato a respingere i tentativi di penetrazione culturale del clero tedesco attivo in missioni di conversione che preparavano la strada alla sottomissione del regno o, in caso di opposizione, alla sua distruzione.
Gli slavi sapevano qual era la sorte dei pagani: essere assoggettati e convertiti a forza oppure venire passati a fil di spada con tanto di benedizione papale. Era successo ai sassoni, sterminati da Carlo Magno, e loro sapevano di essere i prossimi. Come fare per mantenere la propria indipendenza? Convertirsi al Cristianesimo era necessario, ma quello dell’impero bizantino li avrebbe messi al riparo dalle mire tedesche salvaguardando la loro libertà. Fu così che si rivolsero a Costantinopoli che mandò loro Cirillo e Metodio i quali diedero agli slavi strumenti culturali con cui opporsi alla penetrazione tedesca: primo su tutti, la scrittura.
I can’t get no satisfaction. Il glagolitico, primo alfabeto slavo
Una volta giunti in Moravia i fratelli Cirillo e Metodio cominciarono a formare discepoli ma per farlo dovettero anzitutto elaborare una forma di scrittura con cui “tradurre” le Scritture in lingua slava. Il glagolitico fu il primo alfabeto slavo (da “glagol”, verbo). La derivazione delle quaranta lettere che lo compongono è tutt’ora un mistero. Il glagolitico non somiglia ad alcun alfabeto noto anche se alcuni studiosi ci vedono qualche vaga somiglianza con l’ebraico (che Cirillo, ovviamente, conosceva). Utilizzato in Moravia, e poi anche in Bulgaria e Macedonia, l’alfabeto glagolitico venne soppiantato dal più semplice cirillico che, a dispetto del nome, non fu inventato da Cirillo ma dal suo discepolo Clemente. L’opera di Clemente e Naum completò quella di Cirillo e Metodio mettendola a frutto. Non a caso i due sono venerati come santi nei paesi slavi: i santi della scrittura. Il glagolitico sopravvisse fino al XV secolo in alcuni monasteri della Macedonia e a Praga dove l’imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo IV, fondò un monastero per accogliervi benedettini croati che ancora conservavano l’uso dell’antico alfabeto.
Simpathy for the devil, in difesa della lingua slava
L’opera di Cirillo e Metodio fu fondamentale per lo sviluppo delle culture slave. La possibilità di leggere i testi nella propria lingua consentì agli slavi di sviluppare, nel tempo, una cultura e una coscienza nazionale. Un alfabeto e una scrittura comune cementificarono il sentimento di prossimità degli slavi anche quando le distanze tra i nascenti gruppi nazionali andavano ormai approfondendosi. Era quella lingua il “paleoslavo”, o “slavo liturgico”, da non confondersi con il “protoslavo” o “slavo comune” di cui abbiamo già parlato. Se il latino fu la “lingua madre” delle lingue romanze, il paleoslavo fu piuttosto un “fratello maggiore”, terreno comune da cui tutte le lingue slave trarranno una base linguistica e grammaticale.
Ma all’epoca furono molti i vescovi cattolici a opporsi a Cirillo e al suo alfabeto. Secondo loro la Bibbia andava letta solo nelle lingue “sacre”, latino, greco ed ebraico, quelle che comparivano nell’iscrizione della Croce. Molti secoli prima di Lutero, Cirillo difese il diritto degli slavi a leggere la Bibbia nel proprio idioma e per questo temette l’accusa di eresia. Dalla Moravia, passando per la Pannonia all’epoca ancora slava, i due fratelli andarono a Roma e qui ottennero il nulla osta del papa che “consacrò i libri slavoni” innalzando la lingua slava a lingua liturgica. Una volta a Roma, Cirillo morì lasciando al fratello il compito di terminare l’opera di evangelizzazione. Metodio accettò allora la carica di legato pontificio presso gli slavi.
Paint it black, la vittoria germanica
Malgrado la benedizione di Roma l’opera di Metodio andò incontro al completo fallimento. L’affermazione del potere germanico in Europa andava di pari passo con la “germanizzazione” della Chiesa, e i vescovi tedeschi divennero sempre più influenti. Non solo, questi vedevano nelle terre slave un proprio “terreno di caccia”, una possibilità per guadagnarsi nuove terre. La Grande Moravia venne assoggettata e spartita tra principi tedeschi. Metodio venne incarcerato. Quando la Santa Sede lo venne a sapere fece pressione per la sua liberazione e, una volta ottenuta, lo mandò dai serbi e dai bulgari. In Moravia, Boemia e Pannonia l’opera di Cirillo e Metodio fu sistematicamente distrutta impedendo la liturgia in lingua slava, veicolo di pericolosi particolarismi.
Il nuovo pontefice, Giovanni VIII, sancì il divieto a tradurre in slavo i testi sacri e Metodio finì per diventare un elemento sospetto dal punto di vista dottrinale. Quando nel 885 d.C morì, l’opera sua e quella del fratello parvero dissipate per sempre.
Wild horses, l’eredità di Cirillo e Metodio in Bulgaria
Ma non fu così. I loro discepoli, riunitisi sulla tomba del maestro Metodio, decisero di proseguirne l’opera. Apprendiamo dalle Vite di Clemente e Naum, i due discepoli più importanti, quale fu la reazione pontificia: una repressione subitanea e feroce che portò in catene duecento diaconi e sacerdoti venduti sulla piazza di Venezia dai mercanti di schiavi. Per loro fortuna l’imperatore di Costantinopoli si interessò della loro sorte, riscattandoli e inviandoli in Bulgaria. Fu qui che l’opera di Cirillo e Metodio diede i suoi frutti.
In Bulgaria governava Boris, di origine turca come tutta la nobiltà. Temendo di perdere la propria indipendenza e consapevole di doversi convertire per non soccombere, il khan Boris si rivolse ai tedeschi e al clero cattolico. Bisanzio reagì con una “spedizione navale e terrestre grandiosa quanto inattesa”. La Bulgaria, passata così nell’orbita bizantina, divenne la meta prediletta dei discepoli di Cirillo e Metodio. Questi “intellettuali profughi” metteranno a punto l’alfabeto glagolitico inventandone una versione semplificata, il cirillico. La scuola di Preslav fu il luogo in cui fiorì la vita intellettuale della Bulgaria che, grazie all’alfabeto cirillico, poté sviluppare una propria tradizione culturale autonoma “slavo-bizantina” utile ai disegni indipendentisti del regno bulgaro. A Ocrida, all’epoca importante centro religioso della Bulgaria, operava Clemente, discepolo di Cirillo e Metodio, cui è attribuita l’invenzione dell’alfabeto cirillico anche se, probabilmente, essa è da ascriversi all’opera dei dotti di Preslav.
Dalla Bulgaria l’eredità di Cirillo e Metodio si propagherà nei Balcani e in Russia. Un’eredità fondamentale per l’Europa, senza di loro forse gli slavi sarebbero stati assoggettati alla cultura dominante, germanizzati o latinizzati. Per rendere omaggio al loro apostolato Giovanni Paolo II li promosse, nel 1981, anno del tredicesimo centenario dello stato bulgaro, a “protettori d’Europa“. Dell’Europa tutta, e delle sue magnifiche diversità.
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