Tutto ciò che in un Paese diventa culturalmente diffuso ed accettato – in altre parole ″popolare″ – finisce sempre per rispecchiare lo stato sociale del Paese stesso e per essere fonte di studio sociologico. È un meccanismo inevitabile. Se succede in situazioni di pace, come quella in cui riversa il Paese nostrano, allora a maggior ragione succederà nei Paesi in situazione di guerra. E quale manifestazione popolare, più di uno sport come il calcio moderno, riflette maggiormente lo stato sociale di un popolo?
Da giugno a fine agosto ha avuto luogo in Medio Oriente l’ennesimo capitolo del sanguinoso conflitto tra Israele e Palestina. Più di 2000 i morti e più di 500 gli sfollati, per la maggior parte in territorio palestinese. Questa guerra ha fortemente condizionato anche lo sport mediorientale, soprattutto il calcio.
Durante un raid effettuato ad agosto da Israele è morto Ahed Zaquot, ex centrocampista della nazionale palestinese, che però non risultava vicino ad alcun movimento politico. Qualche anno prima del riconoscimento ufficiale della sua selezione da parte della FIFA, avvenuto nel 1998, aveva affrontato con la sua nazionale una selezione di stelle francesi, tra cui un Michel Platini già ritiratosi. Reuters Khaled Zaher, un giornalista palestinese, l’ha definito come «probabilmente il miglior centrocampista» della storia della sua nazionale.
Nella seconda metà di agosto, Abu Obeida, portavoce di Hamas, ha affermato che la sua organizzazione non avrebbe esitato a colpire luoghi affollati come gli stadi di calcio. Conseguentemente è arrivato, da parte del comando delle forze armate israeliane, il divieto di svolgimento di manifestazioni che raggruppassero all’aperto più di mille persone, e quindi il conseguente blocco fino a data da destinarsi della Ligat ha’Al, il massimo campionato di calcio israeliano.
A fine agosto, durante un’amichevole tra gli israeliani del Maccabi Haifa ed i francesi del Lille nella città austriaca di Bischofshofen, alcuni ragazzi con in mano bandiere palestinesi hanno invaso il campo aggredendo i giocatori israeliani. Gli addetti ai lavori, colti di sorpresa, sono riusciti a ristabilire la calma ma l’arbitro ha preferito interrompere la partita a cinque minuti dalla fine.
Due giorni dopo si è dimesso lo spagnolo Óscar García Junyent, meglio conosciuto come Óscar, ovvero il tecnico del Maccabi Tel Aviv. L’allenatore ha motivato tale scelta con «l’attuale situazione legata alla sicurezza nel Paese». Secondo la stampa israeliana, avrebbe pesato molto il timore della moglie causato dal lancio di razzi dalla striscia di Gaza.
Quello ″specchio″ chiamato calcio…
Matteo Calautti