Dopo la caduta si era trasferito a Mosca il generale jugoslavo Kadijevic, che presiedette alle prime fasi delle guerre di digregazione della Jugoslavia e, pare, accarezzò anche l’idea di un colpo di stato militare per salvare il paese. E’ morto nei giorni scorsi a 88 anni. Non era mai stato indiziato dal tribunale dell’Aja. Un bilancio in bianco e in nero.
A 88 anni si è spento a Mosca Veljko Kadijevic, generale e ministro della difesa negli anni dello smembramento violento della Jugoslavia. Era nato da madre croata e da padre serbo in una cittadina croata alla frontiera con l’Erzegovina. Uomo “di confine”, si dichiarò sempre jugoslavo. Quando divenne ministro della difesa, nel maggio dell’88, la disintegrazione del paese si stava già avviando: il governo di Branko Mikulic perdeva la fiducia dell’Assemblea federale a causa del debito stratosferico (l’inflazione superò il 200%) mentre Milosevic, al Parco dell’amicizia di Belgrado e davanti al “popolo che fa politica”, lanciava il nazionalismo grande-serbo minacciando che “la crisi può essere superata facendo cadere un po’ di teste”.
E purtroppo sarà proprio così, in un precipitare degli eventi in cui le tre grandi risorse identitarie comuni della Jugoslavia socialista – il carisma [post-mortem, ndr] di Tito, il ruolo guida della Lega dei comunisti e la compattezza delle forze armate (l’ “esercito popolare jugoslavo”, la JNA) – verranno erose velocemente. L’ultima ad esserlo fu appunto la JNA, battuta nella “guerra dei dieci giorni” in Slovenia, coinvolta nella vergogna degli attacchi a Vukovar e Dubrovnik e sempre più serbizzata nei ranghi e nelle strategie belliche. Kadijevic tentò di salvare lo status quo cercando l’aiuto militare sovietico con il misterioso viaggio notturno a Mosca dal suo omologo Jazov (futuro congiurato del golpe contro Gorbaciov) nel marzo del 1991 in cui, sembra, accarezzò l’idea di un colpo di stato militare per frenare la disintegrazione ormai imminente. Fu anche uno dei fondatori della “Lega dei comunisti – Movimento per la Jugoslavia” (quando la Lega federale era ormai defunta nel congresso del gennaio 1990) che presto sarebbe divenuta la Sinistra Unita (JUL) guidata da Mirijana Markovic, moglie di Milosevic.
In realtà anche la JNA, nata dall’epopea unitarista della guerra partigiana di liberazione, divenne presto “un esercito senza stato” (vojska bez drzave, dal titolo del libro che Kadijevic pubblicò nel 1993) per poi fratturarsi in tante bande l’un contro l’altra armate. Il tutto mentre Kadijevic seguiva il declino impotente del governo di Ante Markovic, a cui lui pure apparteneva. La sua esperienza politica si concluse ai primi di gennaio del 1992 in concomitanza con l’eccidio di Podrute (Croazia) in cui due Mig jugoslavi abbatterono un elicottero militare italiano in volo su incarico della Comunità europea. L’episodio fu letto come un regolamento di conti nell’esercito in cui ormai non c’era più posto per i vecchi militari jugoslavisti come lui, sostituiti dai falchi guidati dal generale serbo Blagoje Adzic. D’altronde di lì a poco si rifondava la Repubblica federale jugoslava (ristretta a Serbia e Montenegro) e la Bosnia avrebbe cominciato a bruciare.
Kadijevic nel 2001, caduto Milosevic, andò a vivere a Mosca e si naturalizzò russo nel 2008, sfuggendo alle richieste della Croazia che voleva giudicarlo per crimini di guerra, anche se il Tribunale penale internazionale dell’Aia – da lui ritenuto “un tribunale politico” – non lo incolpò mai di nulla. Nel 2007, in un nuovo libro autobiografico, non solo difese a tutto tondo l’operato suo e della JNA, ma accusò apertamente Stati Uniti e Germania di aver contribuito alla distruzione del paese balcanico. Il titolo del libro, non a caso, è Kontraudar, “Contrattacco”.