Nonostante la firma della legge che garantisce uno status speciale alle regioni del Donbass, le autorità delle due autoproclamate repubbliche non sembrano voler rinunciare all’organizzazione di proprie elezioni indipendenti, fissate per domenica 2 novembre. Anche se il loro effettivo svolgimento rimane fortemente in dubbio, il voto che andrà a definire la formazione del Parlamento delle due realtà proto-statuali nate nel Donbass potrebbe avere importanti conseguenze sul delicato processo di pace in corso nelle regioni orientali dell’Ucraina.
Come e perché?
Secondo la legge approvata dalle autorità della Repubblica Popolare di Donetsk (DPR), le elezioni si terranno all’interno dei territori controllati dai separatisti, con l’obiettivo di eleggere l’Alto Rappresentante della repubblica (Presidente) e il parlamento unicamerale composto da 100 membri. A Lugansk, parallelamente, si voterà per il Presidente e per un organo esecutivo formato da 50 deputati. I parlamenti delle due repubbliche che si sono dotate di una vaga struttura confederativa sotto il mantello comune della Novorossija, dovranno essere eletti attraverso un sistema proporzionale con una soglia di sbarramento del 5% e avranno un mandato di quattro anni. Sempre secondo le regole stabilite dalle autorità locali, i candidati in corsa per un posto nel parlamento dovranno avere più di 21 anni ed essere residenti da almeno cinque all’interno degli attuali territori delle due repubbliche.
Sebbene la poca trasparenza e l’indecisione che circonda queste elezioni renda particolarmente difficile comprendere quali forze e organizzazioni prenderanno parte al voto, il sito ufficiale del governo della DPR riporta che a Donetsk dovrebbero sfidarsi due formazioni politiche. La principale organizzazione è Donetskaia Respublika (Repubblica di Donetsk) che, nata nel 2005, rappresenta attualmente la leadership politico-militare della Repubblica Popolare. Ne fanno parte, ad esempio, i principali volti noti come Zakharchenko, Pushilin e Purghin. L’opposizione sarà invece rappresentata da Svobodniy Donbass (Donbass Libero) capeggiato da Evgeny Orlov, personaggio meno noto alle cronache degli ultimi mesi.
Le elezioni rappresentano sostanzialmente una risposta al voto del 26 ottobre che si è svolto sul resto del territorio nazionale e al consolidamento della nuova struttura di governo a Kiev, riconosciuta anche da Mosca. In un’ottica più ampia inoltre il voto a Donetsk e Lugansk significa un rifiuto, che potrebbe diventare così definitivo, del piano di pace di Poroshenko che prevede una blanda autonomia, limitata nel tempo, per alcuni (ancora non definiti) distretti delle due regioni ed elezioni locali a dicembre.
Lotta per il potere
Un ulteriore incertezza in vista dei futuri sviluppi della tregua nelle regioni orientali del paese sembra essere rappresentata da un evidente riassestamento nelle gerarchie dei separatisti, soprattutto a Donetsk. La maggior parte dei vecchi leader sono stati messi da parte. Igor Strelkov ha abbandonato il comando dell’organizzazione militare dei separatisti. Denis Pushilin, Presidente del Consiglio Supremo della DPR ha volontariamente lasciato la sua carica nel mese di luglio, stesso destino seguito dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Aleksander Boroday, sostituito dal principale sostenitore della linea dura nei confronti di Kiev, Aleksandr Zakharchenko, la cui posizione è stata ulteriormente rafforzata dai successi militari di agosto. Ultimo della lista è stato Pavel Gubarev, uno dei leader dei separatisti e fondatore dell’organizzazione politica Novorossija. A causa di una serie di cavilli legali non ha potuto presentare la propria candidatura per il voto del 2 novembre e a metà ottobre Gubarev stesso è stato vittima di un attentato durante il quale è rimasto ferito. La macchina su cui viaggiava è stata colpita da sconosciuti con una serie di colpi di arma da fuoco finendo fuori strada. Molti analisti hanno letto in quest’episodio un chiaro segnale volto a stroncare ogni aspirazione politica del leader di Novorossija. Le elezioni sembrano quindi destinate a confermare il ruolo di Aleksandr Zakharchenko e della sua linea politica, che con ogni probabilità diverrà il nuovo Presidente della DPR. A Lugansk dovrebbe essere invece confermata la leadership di Igor Plotnitsky.
Il ruolo di Mosca
Il Cremlino dovrà continuare a giocare su più tavoli. Da una parte il piano di pace di Poroshenko è stato ufficialmente sostenuto da Putin riconoscendo di fatto a Kiev il diritto di regolare e di avere l’ultima parola sulle elezioni nelle regioni indipendentiste. “Conosco le reazioni e i commenti fatti dalle autorità della Novorossija. Probabilmente non è un documento ideale, ma è un passo nella giusta direzione” aveva commentato il presidente della Federazione Russa a margine dell’ultimo incontro con il suo omologo ucraino avvenuto a Milano il 17 ottobre scorso.
D’altra parte, però, Mosca dovrà continuare a gestire i propri rapporti con i separatisti che, pur prestando particolare attenzione ai suggerimenti del Cremlino, hanno più volte dimostrato di possedere un certo grado di autonomia decisionale. Secondo Aleksey Makarkin, del Center for Political Technologies, la diplomazia della Federazione Russa sembra aver cercato di esercitare pressione sui separatisti per promuovere lo svolgimento delle elezioni locali all’interno del quadro degli accordi di Minsk e del piano di pace, ricevendo in cambio risposte contraddittorie. Una parte dell’attuale leadership della DPR, sostiene ancora il politologo, considera la legittimazione al di fuori dei paletti posti da Kiev come essenziale per il futuro prossimo delle regioni indipendentiste.
Mosca pare destinata a mantenere tutti i canali aperti, un po’ come già avvenuto con i referendum di maggio scorso. Potrebbe non riconoscere ufficialmente le elezioni, ma continuare a garantire un certo livello di protezione politica alle repubbliche separatiste cercando di assumere una posizione di mediazione con Kiev.
Un equilibrio sempre più precario
Il consolidamento politico delle nuove strutture a Kiev, Donetsk e Lugansk, pur con diversi valori di legittimità, non avrà sicuramente effetti positivi sul dialogo di pace. Zakharchenko, in vista di un rafforzamento della propria posizione all’interno delle strutture politico-militari di Donetsk, ha già minacciato Kiev prospettando una prossima ripresa dell’attività militare su vasta scala. L’esercito ucraino d’altra parte si è potuto riorganizzare, rifornire e consolidare le proprie posizioni dopo la disfatta e le perdite di agosto. Le necessarie modifiche alla legge sullo status speciale per alcuni distretti del Donbass potrebbe così non raggiungere i banchi della Verkhovna Rada, dove il sostegno popolare ha consolidato la fazione più intransigente, quella di Yatseniuk, all’interno del grande schieramento dei vincitori delle elezioni di domenica scorsa, il Blocco di Poroshenko e il Fronte Popolare. Il processo di pace sembra appeso ad un filo mentre Donetsk e Lugansk sono sempre più lontane da Kiev.
L’analisi parte dal presupposto di due autonome entità che opererebbero in campo russo: i separatisti filorussi nel Donbass e la Russia di Putin.
Una prospettiva poco realistica e assolutamente infondata. Il movimento separatista è il sottoprodotto della politica interventista russa in Ucraina e più generalmente delle scelte revisioniste di Putin.
Partendo da un precedente e sicuramente reale antagonismo fra est e ovest del paese, i russi si sono creati un perfetto grimaldello per destabilizzare il governo di Kyiv. Insomma il separatismo è un mezzo e non un fine della politica russa e la capacità operativa dei separatisti in loco è condizionata dalle aspettative e scelte del burattinaio moscovita.
Al di la della banale osservazione che senza i “soldati (e mezzi) russi in vacanza” dalla fine di agosto la situazione militare nell’est Ucraina sarebbe probabilmente molto differente (notiamo che i vociante megafoni del Cremlino, anche in Italia, ci ripetono che nel Dombass si prega che arrivino i carri armati RUSSI e/o di PUTIN…) sul piano internazionale il referente politico è e rimane la Russia, non certo sedicenti rappresentanti politici di organizzazioni terroristiche.
La crisi della dirigenza locale separatista della prima ora, crisi determinata dalla sua pusillaminità nel far fronte alle pur modeste capacità delle formazioni militari regolari e volontarie ucraine, venne risolta, a livello politico/rappresentavo dall’allontanamento, più o meno forzato, dei primi leader naive e ideologizzati, mentre a livello militare gli “eroi” delle prima “battaglie” sparivano nell’ombra e interveniva oscuro personale professionista russa.
Per cui dire che i vari Zakharchenko possano coltivare seriamente politiche autonome, alternative o, addirittura in contrasto con le scelte e gli interessi russi, non solo è irreale ma mistificante. Sarebbe come affermare che Smirnov o Shevchuk possano avere delle idee diverse dalle veline del proconsole russo.
Ma allora i “contrasti”, le “differenze” fra Donetsk/Luhansk e Mosca? La prima sensazione è puzza di doppiogiochismo: a distanza di poche ore Putin afferma che gli accordi di Minsk sono il quadro di riferimento per una soluzione pacifica e Zakharchenko minaccia di riprendere alla grande le operazioni militari. Ma non bisogna sottovalutare che anche nei circoli di potere a Mosca si agitano varie “anime” che possono sfruttare le impennate ideologiche del Donbass per cercare di influenzare le manovre nei corridoi del Cremlino. Senza contare che Putin dopo aver evocato il fantasma di un ultranazionalismo isterico ed vociante, non si può permettere di rimetterlo nell’armadio come se nulla fosse.
Circa poi la farsa delle elezioni separatiste (dopo che hai votato passi a ritirare le patate) con tanto di “osservatori internazionali” (farlocchi anche loro), vedremo se almeno questa volta avranno la decenza di non proclamare i risultati mezz’ora dopo la chiusura dei seggi.
Questa volta hanno superato ogni aspettativa: sembra che, secondo gli exit polls, per il “presidente” abbiano votato il 100,1 % degli aventi diritto.
https://twitter.com/_StradivariuS_/status/528976247679102977
Il movimento separatista e’ nato dal popolo che non ha voluto accettare la prepotente e prevaricatoria ingerenza negli affari interni di uno stato sovrano da parte dei soliti Usa. Un’ingerenza condita di un colpo di stato contro le legittime autorita’ elette da TUTTO il popolo e proseguita con la pianificazione di una guerra contro la popolazione civile con piu’ di 4.000 morti (fino ad ora). E’ notizia di questi ultimi giorni dell’ennesimo vile disumano barbaro bombardamento di edifici civili, e DI NUOVO di una scuola, con la morte di un bambino e di un adolescente e del ferimento di altri 6, da parte delle milizie governative. Che cosa avrebbe da aspettarsi la popolazione dell’est da queste autorita’ di Kiev al totale servizio degli interessi e dei piani geopolitici di una potenza straniera? Bombe, appunto, e fosse comuni di donne e ragazzi con mani legati e colpo di revolver alla nuca… nel totale silenzio della cosiddetta democratica Ue. A proposito, dove e’ la commissione di inchiesta internazionale invocata dall’ineffabile signora Merkel il giorno dopo la strage di Odessa? E questa popolazione si dovrebbe consegnare mani e piedi legati ad una tale Ue che li lascia ammazzare come cani senza sollevare un dito? C’e’ un diritto naturale all’autodeterminazione dei popoli. E di questo diritto la popolazione dell’est si sta avvalendo con evidenti ragioni.