BOSNIA: Sarajevo, cultura e guerra. Il trionfo della volontà (parte III)

Cosa succede alla vita culturale di un paese in guerra? A seguire l’ultima parte dell’articolo di Vedrana Seksan dove vengono descritti i giorni dell’assedio sarajevese e il tentativo di resistere con la cultura alla distruzione. La scelta di presentare traduzioni della pubblicistica bosniaca nasce dall’esigenza di ricordare le voci del passato per ripensare il presente, in altri luoghi e in altre case.

“Il trionfo della volontà” -parte III- di Vedrana Seksan (Tratto da Dani 4/2008) Traduzioni: Giovanna Larcinese

JOAN, SUSAN, ANNE. A Sarajevo hanno iniziato a venire stranieri che ci amavano, che cercavano i loro cinque minuti di celebrità o che speravano di trovare la felicità in una giovincella. E’ venuta tra noi Joan Baez rilasciando un’intervista per Dani: “credo che la musica sia molto importante per il respiro dell’anima e tra le varie ragioni questo è il motivo per cui sono qui. Una di queste canzoni, Bread and Roses, dice: dateci il pane,  ma anche le rose. Il mondo ha inviato un po’ di pane, ma non si vive solo di questo. La musica è buona per l’anima e questa credo sia la principale ragione per cui sono qui”.

Susan Sontag è tornata di nuovo, questa volta per inscenare “Aspettando Godot” e un qualche infelice americano è caduto nel ghiaccio sottile sposando una sarajevese. Ad Eurovision ha vinto la cantante Iskra, Fazla è stato brillante, il sedici  si è aperto il primo  giardinetto di guerra ed è continuata la manifestazione “Estate al Teatro Kamerni”, una delle poche che abbiamo ancora oggi.

A maggio dello stesso anno abbiamo avuto la prima Miss Sarajevo assediata. Inela Nogić portava uno striscione con su scritto “Non permettete che ci uccidano” mentre era già chiaro da tempo che ci avrebbero ucciso finchè gli procurava piacere. Aspettavamo Godot. E la sua première che si tenne al Teatro dei Giovani.

Ad ottobre dello stesso anno si è tenuta la mostra della fotografa Annie Leibovitz, “Ritratti Sarajevesi” e l’incredibile e irripetibile primo Sarajevo Film Festival. Ci ricorderemo tutti i film, perché li abbiamo visti tutti. “Fino alla fine del Mondo” di Wim Wenders, dei tre colori il“Film blu” di Kieslowski, “Gli amanti di Pont Neuf” di Leos Carax, “Howard’end” si James Ivory e “Dracula” di Francis Ford Coppola: ci hanno dato l’illusione di come tutto fosse a posto se si era abbastanza veloci da scappare dai cecchini che sparavano per la città all’incrocio con l’istituto d’igiene. Come se non fosse niente, nema problema, come se stessimo vivendo in una città normale!

L’illusione scompariva velocemente se una persona vedeva le mostre di Milomir Kovačević “Testimoni dell’esistenza” o i film, come mai prima – e neppure poi – che ha prodotto la casa filmografica SAGA, da cui si deve differenziare la MGM (Man, God, Monster) di Mirza Idrizović, Ademir Kenović e Pijer Žalica. Non c’era elettricità, non c’era acqua, non c’era cibo, non c’erano neanche più pattini da ordinare. C’era solo lo spirito sarajevese in quantità. E la birra dalla birreria Sarajevska in cui siamo affogati nei festeggiamenti dell’ultimo dell’anno.

BUON 1994!. Juan Antonio Samaranch ha dichiarato di come non fossimo soli, mentre nella sua prima visita a Sarajevo il diplomatico russo Curkin si è espresso su quanto fosse “sexy la guerra”. Hanno iniziato a venire come magneti. Sarajevo era il migliore trade mark al mondo. Era l’anno in cui tutti noi ne avevamo davvero abbastanza. L’anno in cui  è caduta la prima granata sul mercato Markale. Nel quale il gruppo di grafica TRIO ha creato le cartoline che, dal primo proiettile all’inizio di questo testo, è l’unico souvenir che ho conservato dalla guerra.

Il quindici febbraio il nostro presidente Alija Izetbegović ha annunciato “sta arrivando la primavera” e a marzo hanno riniziato a circolare i tram.

E tutto questo è successo sotto la spinta dello spirito sarajevese e della resistenza spirituale che hanno lentamente cominciato a soffiare e fino al 1995 sono diventati qualcosa di cui anche noi abbiamo iniziato a scherzare. Sicuri che non sarebbe continuato.

Sarebbe indecente non menzionare il Quartetto Sarajevese di archi; le modelle dell’agenzia di moda “Front” che negli abiti dello stilista Jean Paul Gautier sono dimagrite per poter posare nelle rovine sarajevesi come set; le rock band SHC, Big Daddy, Lezi Majmune!, i Sikter, Moron Brothers, Grafiti, DonGuido&Misionari, Protest, Meantime, tutte band di cui solo alcune sono sopravvissute al periodo della guerra; le mostre di Affan Ramić o Mehmed Zaimović, il centro artistico “Obala”, la rivista “Il fantasma della libertà” e “Life”, la radio “Zid”, il film di Tvrtko Kulimović “Morte a Sarajevo” prodotto dall’archivio delle Forze Armate ed RTV BiH; i Nadrealisti…

In un’occasione Nermin Tulić, attore  e direttore del Teatro dei Giovani di Sarajevo, ha affermato di quanto gli manchi la guerra perchè “in guerra siamo stati tutti persone migliori”. Lo siamo stati davvero? Si, e in ogni caso, più istruiti. Attraverso centinaia di mostre, quaranta premiere a teatro e decine di nuovi spettacoli, progetti mediatici come RatArt e testi postumi fenomenali di Karim Zaimović nelle vignette, ma anche Tennis Magazin, nel tempo in cui le specialità di riso e maccheroni per ristoranti erano offerti per 50 marchi – sembra proprio che emerga questo.

P.S.

I pattini non li ho più comprati, neppure quando hanno restaurato il complesso olimpico Zetra, non ho mai preparato un esame nella Biblioteca Nazionale, non porto lo skate e non mi agghindo più prima di uno spettacolo (al quale vado sempre più di rado). L’unica cosa che ancora faccio, a volte, (mi perdonino i rappresentanti e tutti coloro ai quali potrebbe dar fastidio) quando ascolto il nuovo inno bosniaco, ad esso associo le parole “Una sei e Unica”.

E all’assedio penso come al periodo più bello della mia vita. 

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