E’ una Bulgaria stanca quella che è andata al voto questa domenica, alle ennesime elezioni anticipate. E le urne hanno dimostrato di non sapere restituire un risultato chiaro. I partiti al governo si alternano – dovrebbe tornare al potere, questa volta, il centrodestra di Boyko Borisov – ma senza che ci si possa aspettare alcun vero cambiamento dall’élite al potere, che resta sempre la stessa. La Bulgaria dimostra oggi in maniera evidente il rischio di inceppamento della democrazia rappresentativa, che non riesce più ad essere, come in una della sua definizioni minime, metodo incruento di ricambio delle élite al potere.
Antefatto: le elezioni del 2013 e la lunga stagione della piazza di Sofia
Queste elezioni arrivano a poco più di un anno dalle elezioni del maggio 2013, anticipate di un paio di mesi per via della protesta di piazza per il caro-vita e il caro-elettricità contro il governo di centrodestra guidato da Boyko Borisov, e delle dimissioni a sorpresa di quest’ultimo.
Le elezioni del 2013 consegnano un parlamento ingovernabile. Il GERB, partito di Borisov, resta primo partito, ma non ha più una maggioranza. Si forma allora una strana coalizione tra il Partito socialista bulgaro (BSP) e il partito della minoranza turca DPS, che con appena la metà dei seggi parlamentari riesce a nominare premier il tecnocrate Plamen Oresharski. Da subito scoppiano una serie di proteste, legate alla nomina – poi revocata – a capo dei servizi segreti dell’oligarca Delyan Peevski, legato al DPS, una mossa definita da un analista come “un colpo di stato della mafia”.
La piazza di Sofia – la Taksim dimenticata – resta attiva per tutta l’estate e fino all’inverno. Una protesta lunga un anno, per una politica più pulita, e rompendo la tradizione post-socialista di diffidenza verso le manifestazioni di piazza. Il governo di socialisti e DPS prosegue il suo corso, dribblando insidie quali la questione South Stream, ma sbatte contro la débacle alle elezioni europee del maggio 2014, dove i socialisti crollano dal 26% al 19% in un anno mentre cresce il GERB (30%) e fa la sua comparsa un nuovo movimento anticorruzione, Bulgaria Senza Censura (10%). Persino il leader dei socialisti (e del PSE) Sergei Stanishev chiede le dimissioni del governo, che molla la presa a fine luglio indicendo elezioni anticipate per ottobre.
I risultati elettorali: ritorna Borisov? Ma il suo centrodestra è senza maggioranza
L’affluenza alle urne è stata bassa. Gli elettori sono poco più di 6,8 milioni su una popolazione di circa 7,5 milioni. Di questi, solo la metà ha espresso un voto. Il periodo prolungato di governi impopolari, e l’inconclusività delle proteste di massa, oltre ad una certa voter’s fatigue per la terza elezione in due anni, hanno lasciato il segno sull’elettorato bulgaro. La basa affluenza al voto ha così aiutato i partiti minori a superare la soglia del 4%: sono ben otto i partiti nella nuova legislatura di Sofia. Un parlamento frammentato, che secondo Jasper Neve indica che “l’elettorato bulgaro ha parlato: vogliamo qualcosa di diverso, ma non sappiamo cosa”.
Secondo gli exit-poll, la maggioranza relativa al nuovo parlamento bulgaro tornerebbe nelle mani di Boyko Borisov, con 90 seggi (33%) per il suo GERB. A seguire 45 seggi (16,5%) per i socialisti, 38 (14%) per il DPS turcofono, 23 (8,7%) per il Blocco Riformista, 17 (6,3%) per Bulgaria Senza Censura, 16 (6%) per il Fronte Patriottico, 11 (4,1%) per ABV (Alternativa per il Rinascimento Bulgaro, scissione socialista guidata dall’ex presidente Georgi Parvanov).
I socialisti bulgari raccolgono il peggior risultato dall’inizio dell’era post-comunista a Sofia – una “Waterloo” per Stanishev, secondo l’analista Georgi Gotev; e il PSE di Renzi e Hollande potrebbe approfittarne per chiederne la testa. Con il 3,8%, resterebbe inoltre senza rappresentanza parlamentare, per la prima volta, l’estrema destra bulgara di Ataka, già in appoggio esterno al governo Oresharski, e il cui leader Volen Siderov si era fatto notare per alcune intemperanze durante l’anno passato. Non sono mancate inoltre le mosse sospette. Sempre secondo Gotev, il DPS avrebbe spinto i suoi elettori all’astensione, pur di non risultare secondo partito, davanti ai socialisti; lo dimostrerebbe ad esempio il voto a Kardjali, città turcofona di solito politicamente molto attiva, dove il DPS ha raccolto il 70% dei consensi ma l’affluenza si è fermata al 32%.
“Con questa configurazione, non so come faremo a mettere insieme un governo”, è stato il primo commento, non proprio entusiasta, di Borisov. Perché non sarà facile per il GERB trovare altri 30 parlamentari con cui allearsi per arrivare alla metà del sostegno parlamentare. Primi indiziati potrebbero essere il centrodestra del Blocco Riformista (23) – ma il loro leader ufficioso, Radan Kanev, ha dichiarato di non vedere un nuovo premierato per Borisov – e la destra del Fronte Patriottico (16). Ma Borisov potrebbe voler tentare la strada di un governo di minoranza, anche “tecnico”, con il solo sostegno esterno di altri gruppi parlamentari. Una situazione non dissimile da quella uscita dalle urne nel 2013, seppur a parti inverse, e suscettibile di portare di nuovo la Bulgaria ad elezioni anticipate in un futuro prossimo.
La Bulgaria resta il più povero tra i paesi membri dell’UE, con una crescita economica relativamente bassa, mancanza di investimenti, deflazione e disoccupazione che hanno spinto buona parte dei giovani bulgari a cercare lavoro all’estero.
UPDATE (9/10): A conta dei voti terminata, con il 4,52% dei consensi, anche gli ultranazionalisti di Ataka passano la soglia di sbarramento, confermando la propria presenza parlamentare. Saranno otto i partiti rappresentati nel nuovo parlamento bulgaro, un record.
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