di Massimiliano Ferraro
Buone nuove in Asia Centrale. L’agenzia di stampa Interfax ha recentemente annunciato la nascita della prima democrazia parlamentare di questa tormentata regione: il Kirghizistan. Dopo il violento golpe che lo scorso aprile ha rovesciato il regime di Kurmanbek Bakiev, il parlamento ha approvato in questi giorni la riforma costituzionale che ha permesso il passaggio di consegne tra il governo provvisorio, presieduto in questi mesi da Roza Otunbajeva, ed il nuovo esecutivo democraticamente eletto.
Il nuovo Primo Ministro è il socialdemocratico Almazbek Atambayev, appoggiato da una coalizione di forze di centrosinistra di cui fa parte anche il partito Respublika di Omurbek Babanov. Atambayev è stato un acceso sostenitore della controrivoluzione di aprile, che ha cancellato quella filo-occidentale del 2005 che aveva portato Bakiev al potere.
Tra le tante emergenze che il nuovo esecutivo dovrà affrontare c’è quella di ristabilire l’ordine, spegnendo i focolai di violenza etnica che hanno attraversato il paese negli scorsi mesi. Un altro tema scottante è la presenza di truppe straniere sul territorio kirghiso. Il Kirghizistan occupa una posizione strategica per la lotta al terrorismo islamico ed è l’unico stato al mondo in cui sia gli Stati Uniti che la Federazione Russa posseggono una base militare.
Dalla base americana di Manas partono ogni giorno i voli di rifornimento delle truppe schierate in Afghanistan, mentre nella base di Kant la Russia ha a disposizione centinaia di militari per ribadire la sua storica influenza nella regione.
Proprio questa tormentata neutralità del Kirghizistan ha segnato di fatto la fine politica dell’ex presidente Bakiev, reo di essere stato troppo sensibile alle pressioni di Mosca per ottenere la chiusura della base Usa. Ma oltre alle due superpotenze storicamente rivali, un altro grande paese sembra smanioso di dire la sua in Asia Centrale. È la Cina, che secondo Wikileaks avrebbe offerto 3 miliardi di dollari al governo del Kirghizistan per ottenere l’immediato smantellamento di Manas.
L’inizio della delicata presenza militare degli Stati Uniti sul territorio kirghiso risale a circa vent’anni fa, quando il crollo dell’Unione Sovietica incoraggiò Washington a creare una sorta di cuscinetto di contenimento, utile proprio per contrastare l’avanzata cinese nella regione.
La situazione che attende il nuovo premier kirghiso non è quindi delle più semplici. Troppo spesso le potenze straniere hanno utilizzato il paese come campo neutro per le loro prove di forza, pregiudicandone gravemente la stabilità interna. Il rischio concreto è che questo mix di ingerenze esterne finisca per trasformarsi in una zavorra decisamente troppo pesante per lo sviluppo di questa giovane ed ancora fragile democrazia.
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