ROMA – La Grecia è l’unico paese dell’Unione Europea a non aver ancora attuato il reddito minimo garantito ed è tra i più lenti nell’adottare programmi idonei ad affrontare la disuguaglianza sociale e di aiuto ai cittadini che vivono in condizioni di estrema povertà e di esclusione sociale. A rivelarlo è un rapporto dell’Ufficio Bilancio del Parlamento greco intitolato “Politiche per il reddito minimo garantito nell’Unione europea e in Grecia” e pubblicato il 25 settembre.
La mancanza di un “paracadute” è tanto più grave se si pensa che quasi 2,5 milioni di cittadini greci vivono già al di sotto della soglia di povertà, mentre, stando al rapporto, 3,8 milioni vivono sul filo di tale soglia.
“La domanda di assistenza sociale da parte dei cittadini è forte, ma quello che offre lo stato è caratterizzato da frammentazione e da problemi amministrativi. Così la rete di sicurezza sociale è pregiudicata da forti inefficienze”, sostiene l’Ufficio Bilancio del Parlamento.
Il governo ha annunciato lo stanziamento di 20 milioni di euro per l’attuazione di un piano che preveda una sorta di reddito minimo. Il progetto dovrebbe prevedere l’erogazione mensile di 200 euro per ogni persona senza reddito, che potrebbero trasformarsi in 400 euro nel caso di una coppia sposata con due figli a carico e senza redditi aggiuntivi. Purtroppo, però, tale somma non riuscirebbe a risollevare queste persone dalla loro condizione di povertà; infatti, il rapporto fissa la “soglia di povertà” in 432 euro mensili per una persona o 908 euro per una famiglia di quattro componenti, soldi che servono per pagare affitto e generi di prima necessità, come alimenti, trasporti, vestiario e istruzione base per i figli. Prima della crisi, la soglia era fissata, rispettivamente, a 665 e 1.397 euro mensili, anche perché i costi minimi per una casa (esclusi affitti e mutui) in Attica – il cui capoluogo è Atene – erano di 233 euro per una persona e 684 per una famiglia di quattro persone. Oggi la deflazione ha tragicamente abbassato i prezzi di ogni tipo di bene e, perciò, è stato rivisto al ribasso il reddito minimo che un cittadino – o una famiglia – deve possedere per sopravvivere.
Il rapporto elenca Austria, Belgio, Cipro, Repubblica Ceca, Germania, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Slovenia e Svezia tra i paesi con i programmi di reddito minimo garantito più robusti.
La maggior parte dei programmi uniscono pagamenti in contanti con quelli in natura, quali l’assistenza medica gratuita. Comunemente, ogni paese esige che i candidati siano residenti nel luogo da un numero minimo di anni al fine di beneficiare dei sussidi previsti.
In Italia, il governo Letta aveva deciso di tagliare le pensioni oltre i 90.000 euro annui per finanziare una sorta di reddito minimo garantito, estendendo così il contributo di solidarietà sugli assegni INPS più alti. Purtroppo, anche nel nostro paese, però, poco o nulla è stato fatto e un vero reddito minimo, a tutt’oggi, non sussiste. Il governatore del Friuli-Venezia Giulia, Debora Serracchiani, ha annunciato, qualche mese fa, l’avvio di un progetto-pilota per la sua introduzione nella regione governata dal vice-segretario democratico.
L’accostamento dei due paesi può essere d’aiuto per comprendere come, senza un vero sistema di welfare e di assistenza ai meno abbienti, una ripresa non solo economica, ma anche sociale e di valori, sarà ben lontana dall’essere raggiunta.
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