L'Europa centro orientale si spacca sulla questione ucraina. La crisi del gruppo Visegrad

Il gruppo Visegrád (V4) formato da Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, rappresenta una zona rilevante sotto tutti gli aspetti, sia per Bruxelles che per Mosca. Costretto per natura geopolitica a perseguire una linea quanto più pragmatica possibile – altalenante tra le richieste UE e russe –, il gruppo dei V4 è caduto in frantumi di fronte ad una delle sue prove più grandi: l’adozione di una strategia comune nei confronti della crisi in Ucraina.

Solidarietà per l’Ucraina? L’unica certezza è saltata

I V4 sono sempre stati impegnati nel sostenere l’Ucraina a livello bilaterale in Europa. Dallo scoppio della crisi fino a marzo 2014 tutti i membri Visegrád hanno risposto all’unisono sulla questione ucraina, dimostrando solidarietà verso il paese.

L’apice della coordinazione Visegrád si raggiunge il 28 e 29 aprile 2014, quando i V4 si incontrano a Budapest dove condannano l’annessione della Crimea ed esortano l’uso di ulteriori misure contro chi minaccia la sovranità e l’integrità territoriale ucraina. Ma con il tempo sorgerà la domanda: chi minaccia l’Ucraina?

In Repubblica Ceca il presidente Miloš Zeman ritiene che ciò che succede in Ucraina sia frutto di una guerra civile e non la causa di un intervento diretto da parte della Russia poiché, parafrasando, “ci sono meno truppe russe di quanto ce ne fossero in Cecoslovacchia nel ‘68”. Afferma pertanto che le sanzioni sarebbero necessarie qualora ci fosse una vera invasione.

Il problema di come relazionare la Russia alla crisi di Crimea permane, ma resta salda la posizione di buon vicinato verso l’alleato ucraino. Tuttavia, anche questa posizione salterà ben presto. Il neo rieletto premier ungherese Viktor Orbán finirà con il rompere la solidarietà verso l’Ucraina che aveva fino a quel momento mantenuto unito il gruppo Visegrád. Il 10 maggio 2014 la politica nazionale di Orbán raggiunge il suo culmine nell’affermazione: “L’Ungheria combatterà per difendere i propri diritti all’interno dell’Ue e tra questi c’è anche l’autonomia per le etnie magiare che vivono fuori dai confini dello Stato”.

Il timore è che il premier ungherese voglia profittare della crisi ucraina per dilaniarne il territorio. Non sarebbe la prima volta infatti che Orbán sollecita a una non meglio precisata autonomia per i 150.000 ungheresi che vivono nella Transcarpazia, ma l’averlo fatto durante il discorso d’insediamento del suo terzo governo non può passare inosservato. La situazione si fa tesa e il premier polacco Donald Tusk afferma di voler discutere con l’omologo ungherese su questo argomento. Soltanto pochi mesi dopo, però, Orbán dichiara la sua intenzione a perseguire una politica illiberale, e ciò contribuirà a destabilizzare ulteriormente il gruppo.

Gas. L’Ucraina è ancora importante?

Se oggi l’intero gruppo V4 è fortemente dipendente dall’Ucraina come via di transito per il petrolio e per le forniture di gas potrebbe non esserlo in futuro. La costruzione di nuovi gasdotti Gazprom  – North Stream e South Stream – finirebbe con il privare l’Ucraina della propria posizione dominante di transito nel mercato dell’energia in Europa. Un fattore che spinge Visegrád a rivalutare il proprio approccio con il paese e i rischi che porterebbe una prolungata solidarietà.

Va inoltre considerato che Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca sono a loro volta paesi cardine per il transito di gas russo verso l’ovest europeo. Tale status è un’arma a doppio taglio. Se da un lato i V4 si sentono protetti dalla loro posizione di transito – poiché se l’afflusso di gas verso occidente venisse interrotto, andrebbe a discapito della Russia stessa – dall’altro sono potenziali strumenti adoperabili da Mosca per premere sui governi occidentali. Una situazione analoga si è presentata nel 2006 e poi nel 2009, quando la Slovacchia fu costretta a dichiarare lo stato di emergenza.

Per di più, riduzioni dell’afflusso di gas si sono già registrate nei paesi V4 a dispetto della politica assunta in materia di sanzioni e difesa regionale. Il 10 settembre 2014 la Polonia registra un calo del 20 per cento del volume di gas importato dalla Russia attraverso Ucraina e Bielorussia, ed è costretta  a interrompere il flusso inverso all’Ucraina. Il 15 settembre anche Bratislava registra una riduzione del 10 per cento di forniture gas russo attraverso l’Ucraina. Non è chiaro se il motivo sia politico o tecnico.

L’Ucraina diviene quindi poco affidabile come via di transito per il gas. Un fattore che, aggiunto ai progetti Gazprom per i nuovi gasdotti, potrebbe indurre paesi come Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria a tentare di ritagliarsi un ruolo importante nel futuro scenario energetico, anche se questo significherebbe abbandonare sia la politica di solidarietà con Kiev, sia una strategia comune nel settore energetico.

 

Foto: PolandMFA

Chi è Alessandro Benegiamo

Nato a Lecce nel 1989, ha collaborato a East Journal dall'agosto 2014 all'aprile 2015, occupandosi di Repubblica Ceca e Slovacchia

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