di Matteo Zola
Tra nove mesi Jean-Claude Trichet dovrà dire addio alla presidenza della Banca centrale europea (Bce) e, anche se sembra prematuro, già si concorre alla successione. Appare però ovvio che Berlino goda di un diritto di prelazione. Certo, qualcuno criticherà questa Europa franco-tedesca, con Parigi e Berlino che fanno il bello e cattivo tempo mentre gli altri Paesi membri devono stare a guardare (o a subire, a seconda dei punti di vista), ma la Germania tutti torti non li ha nell’avanzare qualche pretesa.
La Bance centrale europea, chi comanda
Facciamo prima un passo indietro e cerchiamo di capire cos’è la Bce. Istituita dal Trattato di Maastricht nel 1998 (non a caso il suo primo presidente fu l’olandese Wim Duisemberg) la Bce è anzitutto incaricata dell’attuazione della politica monetaria dell’Unione, vale a dire controllo dell’inflazione, tassi d’interesse, e allargamento dell’eurozona. Lo scopo è quello di influenzare il credito e la finanza, al fine di raggiungere obiettivi prefissati di politica economica, di cui la politica monetaria fa parte. La politica economica ha come obiettivi finali occupazione e sviluppo. La Bce è quindi fondamentale nell’Unione di oggi, così “economica” e poco “politica”.
Ancora un’osservazione sulla Bce. Essa si costituisce delle 27 banche centrali dei rispettivi Paesi che compongono l’Unione, ma a partecipare alle decisioni di politica monetaria sono solo quei Paesi che adottano l’euro come valuta. Questo è il cosiddetto “eurosistema” da cui è tagliata fuori, tra gli altri, la Gran Bretagna. Le banche centrali nazionali sono le uniche a poter detenere capitali della Bce, e ogni Paese possiede delle quote: la Germania, con la sua Deutsche Bundesbank, detiene il 18,94 % del totale; la Francia il 14,22% mentre la Gran Bretagna il 14,51% ma non può partecipare alla ripartizione dell’utile poiché non appartiene all’eurosistema.
E l’Italia? Sorpresa, è il terzo Paese dell’eurosistema con il 12,50%, il quarto in assoluto.
Weber o Draghi?
Tutto questo è utile a far capire come, dopo un olandese e un francese, la Germania scalpiti per avere un suo uomo al timone della Bce, e sulla stampa tedesca la polemica già infiamma. Il giornale Bild, noto per i suoi gossip (che ne fanno il quotidiano più venduto d’Europa), ha fatto il nome di Alex Weber, attuale numero uno della Bundesbank. Il governo tedesco ha però spiegato ieri che «l’esecutivo federale non ha preso ancora alcuna decisione» su un eventuale candidato tedesco alla successione del banchiere francese. «Il governo federale respinge questa interpretazione», ha precisato con troppa foga il portavoce della Merkel. Alla presidenza della Bce è candidato anche il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi.
Weber è personaggio controverso in Europa dopo che nel 2010 ha criticato la sofferta decisione della Bce di acquistare titoli pubblici pur di evitare uno sconquasso del mercato obbligazionario della zona euro in piena crisi debitoria greca.
Il governo francese, che in questa circostanza potrebbe avere un ruolo decisivo nella decisione del consiglio europeo, nutrirebbe non pochi dubbi sul presidente della Bundesbank. Altri governi della zona euro sarebbero nella stessa posizione.
Berlusconi contro Draghi, e quindi a favore
Draghi potrebbe dunque essere in pole-position malgrado il freddo appoggio del governo italiano alla sua candidatura. Draghi infatti non piace né a Berlusconi né a Tremonti, poiché troppo critico con le politiche del governo. Non a caso, quando la sfiducia votata a dicembre sembrava dovesse andare in porto, si era fatto il nome di Draghi come primo ministro di un governo tecnico. Berlusconi gridò al “progetto eversivo”, ma poi ebbe la fiducia e di Draghi non si parlò più. Ostile a Draghi è soprattutto la Lega Nord, che ha in Tremonti il suo vero leader.
Lo scontro tra Berlusconi e Draghi raggiunse il suo apice quando il governatore della Banca d’Italia smentì i dati del governo, affermando che 1,6 milioni di lavoratori italiani non hanno nessun tipo di sostegno in caso di perdita del lavoro. Berlusconi ribattè: “dati precari e falsi”. Era il giugno 2009. Un anno dopo vennero le critiche alla manovra correttiva del governo per il deficit di bilancio del giugno 2010, quando Draghi puntò il dito contro la corruzione quale freno alla ripresa economica. E Berlusconi non la prese bene.
Gli antichi dicevano “promoveatur ut amoveatur“, promosso affiché sia rimosso. L’appoggio di Berlusconi a Draghi, reso noto pochi giorni fa, potrebbe essere interpretato in tal senso.
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