Durante la conferenza di Parigi, in cui si è delineata un’ampia alleanza per fronteggiare l’ISIS, si è deciso di inviare armi ai curdi, gli unici che nella regione hanno la capacità di opporsi ai fondamentalisti grazie alla lunga esperienza militare maturata in anni di guerriglia. Ma inviare armi ai curdi vuol dire tutto e niente: quali curdi? Gli Stati Uniti e l’Unione Europea comprendono, nella loro lista nera delle organizzazioni terroristiche, anche il PKK, il noto partito curdo dei lavoratori, di ispirazione marxista, che per anni si è opposto alla repressione turca rispondendo alla violenza con altrettanta violenza, in un circolo vizioso che ha impedito qualsiasi possibilità di sviluppo alla regione.
I turchi, nemici giurati del PKK e responsabili di avere – nei passati decenni – operato una sorta di “apartheid sociale” nei confronti della minoranza curda, sono oggi favorevoli all’invio di armi ai curdi impegnati nella lotta contro l’ISIS. Ma i curdi non sono solo il PKK.
Le formazioni curde in Siria
I curdi da sempre lottano per la creazione di uno stato curdo che nella storia non è mai esistito (salvo la breve esperienza della Repubblica di Ararat tra il 1927 e il 1930) ma che dovrebbe comprendere le aree in cui la popolazione curda è diffusa, a cavallo tra Turchia, Iraq, Siria e Iran. In questi paesi si trovano oggi i soldati curdi, impegni su più fronti nella difesa della regione, consapevoli che l’avanzata del fondamentalismo islamico in Kurdistan significherebbe l’annientamento del loro popolo.
In Siria si trovano le Unità di Protezione Popolare (YPG – Yekîneyên Parastina Gel) , braccio armato del Partito democratico curdo, una formazione d’ispirazione marxista vicina al PKK turco. Il Partito democratico curdo di Siria fa parte del NCC, il “Blocco delle forze democratiche del cambiamento” che raccoglie tutti i partiti di estrema sinistra siriani che si oppongono al presidente al-Assad. Grazie alla collaborazione con le milizie Sutoro, espressione dei cristiani siriaci, i curdi del YPG hanno finora difeso le aree a maggioranza curda dall’aggressione dei fondamentalisti di al-Nusra. Nelle loro fila ci sono anche arabi, cristiani, e donne combattenti.
I curdi in Iraq
I combattenti curdi dell’Iraq sono detti “peshmerga“, nome che risale a un secolo fa – quando i curdi si organizzarono militarmente a seguito della caduta dell’Impero Ottomano – ma che oggi si riferisce alle forze che obbediscono al governo regionale del Kurdistan iracheno. Esiste di fatto una linea di continuità tra i peshmerga del secolo scorso e quelli di oggi, ed è rappresentata da un nome: Barzani.
Mahmud Barzani fu il primo capace di organizzare una milizia curda quando, alla fine della Prima guerra mondiale, i curdi della regione si opposero al dominio britannico. A lui si unirono le tribù curde dell’Iraq e dell’Iran fino a che non fu arrestato dagli inglesi ed esiliato in India. Ma il messaggio nazionalista e religioso di Barzani aveva ormai fatto presa e durante il suo esilio fu Massoud Barzani, già luogotenente di Mahmud, a guidare le operazioni militari che portarono nel 1923 alla conquista di Dyarbakir, in Turchia.
Ma quando in Iraq – dove i curdi avevano la loro base operativa – andò in scena il colpo di stato del 1958, guidato dal maresciallo Qadim, i curdi si rivolsero contro le autorità irachene. In quel periodo Massoud Barzani, che trascorse un periodo di formazione in Unione Sovietica, divenne il leader della moderna causa nazionalista curda. Fu solo con l’avvento di Saddam Hussein che i curdi poterono uscire dalle montagne in cui si erano dovuti ritirare. Gli accordi tra Barzani e Saddam Hussein, che portarono al “manifesto di marzo” prevedevano la creazione di una regione autonoma curda. Ma una volta preso il potere Hussein cercò di arabizzare la regione scatenando la rivolta curda. Gli iraniani, allora guidati dallo scià Reza Palevi, appoggiarono i curdi e questo fu tra le cause della guerra tra Iran e Iraq in cui i curdi appoggiarono il nuovo regime teocratico di Teheran.
Il resto è storia nota: alleati americani fin dalla Prima guerra del Golfo, i curdi hanno ottenuto finalmente l’agognata autonomia con la creazione di una regione autonoma nel ricco nord Iraq. Presidente del Kurdistan iracheno è Masoud Berzani, figlio di Massoud, emerso come leader a seguito della guerra civile curda (1994-1997). Il suo Partito democratico curdo è una formazione nazionalista e populista che ha, nell’alleanza americana, il suo punto di forza.
Oggi a combattere i fondamentalisti dell’ISIS sono le forze fedeli al governo e a Barzani, ma ci sono anche gruppi armati del PUK, unione patriottica curda, d’ispirazione marxista e nemici giurati di Barzani.
Le formazioni curde attive in Turchia
Il Kurdistan turco, dove il governo di Ankara ha combattuto per anni una guerra politica ed etnica contro i curdi, è da lungo tempo teatro delle operazioni del PKK, il partito curdo dei lavoratori fondato dal noto Abdullah Ocalan (ora in carcere in Turchia). Il PKK è considerato un gruppo terroristico da Stati Uniti e UE eppure oggi, che la minaccia dell’ISIS sembra avere riunito tutte le forze curde contro il nemico comune, potrebbero essere degli utili alleati. Le truppe del PKK hanno infatti da tempo fatto base in Iraq (da cui gestiscono anche traffici illeciti) e si sono unite ai peshmerga governativi nella lotta contro l’ISIS. In Turchia i curdi hanno dato vita, negli ultimi anni, a un partito moderato, il BNP, molto forte nel Kurdistan turco, e oggi rappresentano una solida base di consenso per Erdogan che ha anche prodotto una sorta di appeasement con il PKK
L’opportunismo dell’occidente
E’ difficile negare che l’ISIS sia un prodotto indiretto dell’intervento americano in Medio Oriente. Il fondamentalismo, pur avendo radici antiche, ha trovato nuova linfa nell’opposizione a quella che ritiene essere una “perversa occidentalizzazione” delle società islamiche. La condotta militare americana – non proprio specchiata – ha poi dato argomenti al proselitismo dei fondamentalisti. Infine, le becere retoriche anti-islamiche dell’occidente, unitamente all’ingiustizia sociale, hanno convinto molti musulmani di terza generazione residenti in Europa che quella del fondamentalismo fosse una giusta causa, una necessaria rivincita.
Oggi, nella battaglia contro l’ISIS – una battaglia che si ha poca voglia di combattere – risulta più facile dare qualche arma spuntata ai curdi con una cartolina di auguri di buona riuscita. Quegli stessi curdi che la Turchia ha oppresso, di cui gli occidentali hanno ignorato lo sterminio in Iraq, “terroristi” persino, oggi sono l’antemurale al fondamentalismo islamico, i “guardiani” dell’occidente,
Vedremo cosa guadagneranno dal loro sacrificio.
Sacrificio che, per inciso, il nostro paese supporta con l’invio di cerbottane e fucili di cartone, micidiali armi per combattere i fondamentalisti. A voler pensar male sembra che a Roma – ma non solo – la linea sia quella del “ammazzatevi a vicenda”. Poi più nessuno potrà accampare pretese sui pozzi petroliferi dell’Iraq del nord.
con tutto il rispetto, secondo me non si può in un articolo del genere sorvolare sul fatto che la Turchia supporta in modo diretto e aperto l’ISIS, facendo passare i suoi menbri dal territorio turco per attaccare il Rojava, e fornendogli armi…quindi, mentre USA e altri attaccano (o meglio, annunciano di farlo ma in realtà non lo fanno) l’ISIS, la Turchia, il miglior alleato dell’occidente, continua ad appoggiare jihadisti vari…gli USA inviano armi ai loro amici di sempre, i peshmerga dell’iraq, che durante l’avanzata islamica sono SCAPPATI COME LEPRI lasciando decine di migliaia di civili alla mercè dei tagliagole, civili salvati solo dal contrattacco di PKK e affini (e guarda caso, gli USA intervengono contro l’ISIS non durante l’avanzata, ma proprio quando il PKK iniziava a fargli il culo…quindi, a chi è rivolto il messaggio lanciato con le bombe?)…nel frattempo il PKK è considerato organizzazione terrorista da tutto l’occidente mentre i tagliagole reclutano ancora con una certa facilità e tante protezioni…insomma, senza essere complottista, a me pare che tutta la situazione sia studiata per arrivare a un equilibrio tra interessi regionali e globali che preveda l’esistenza dello Stato Islamico (magari limitato in grandezza) ma non preveda assolutamente lo sviluppo di forze rivoluzionarie portatrici di istanze di RIVOLUZIONE SOCIALE, che sono presenti, e in forze, solo nel campo curdo
La Turchia ospita 1.300.000 profughi nel sud-ovest. E’ l’unico paese che accoglie curdi e yazidi in fuga da Siria e Iraq (solo negli ultimi 3 giorni 130.000). Le cose non sono semplici come il sig.Matthias vorrebbe far credere. E non si dimentichi che, ormai da qualche anno, i curdi (e Ocalan) sono fra i migliori alleati di Erdogan in Turchia.
Non sono d’accordo nell’includere il PYD nell’opposizione siriana.
Sebbene i rapporti fra curdi e baatisti siriani non siano sempre stati idilliaci, direi che paradossalmente oggi sono più vicini ad Assad che ai ribelli.
Sicuramente all’inizio della rivolta in Siria, molti membri del PYD (sopratuttto giovani) hanno partecipato alle manifestazioni anti-Assad.
Tuttavia la situazione è mutata e direi che oggi PYD e lealisti “combattono” sullo stesso fronte.
I curdi hanno ottenuto praticamente l’autonomia del Rojava, al prezzo di combattere l’IS e questo con un accordo eplicito o meno con il potere di Assad.
Probabilemente hanno anche cooperato direttamente (lealisti e PYD) in operazioni militari per combattere i jihadisti.
E soprattutto ricorderei che a differenza dei cosiddetti “peshmerga”, il PKK e quindi il PYD non beneficiano per il momento di armi “occidentali”.
Ed è da vedere acnhe quanto siano effettivamente decisivi sul campo contro un avversari così ben armato come l’Is.