SOFIA – Bambini che scorrazzano divertiti all’ombra delle betulle, coda umana all’area ristoro, nuove richieste di alloggio, sole alto e caldo asfissiante. E’ agosto ma non siamo in un resort di montagna o in un villaggio turistico sulla costa. Bensì a Voenna Rampa, distretto di Sofia (Bulgaria), in un centro per rifugiati ed immigrati siriani. Lo stabilimento vive nella capitale balcanica, in un’area ai margini della periferia industriale. Lontana dagli occhi dei cittadini.
Ad accoglierci vi è Mladen, vice direttore del centro, evidentemente affaccendato ed inquieto. Sono appena giunti venticinque nuovi profughi dal confine, i quali devono ancora essere assecondati nella distribuzione di stanze ed alimenti. Sono tutti soli e si aggiungono ai quattrocento individui già presenti.
“Purtroppo quest’edificio non è stato concepito con lo scopo di sostenere situazioni di emergenza”, avverte il delegato bulgaro: “Questo immobile una volta era una scuola”. La struttura oggi è stata divisa in tre settori: amministrazione, servizi socio-sanitari ed alloggi, ai quali si annetteranno nuovi reparti in fase di allestimento. “Siamo in dieci a darci i turni e ci riposiamo solo nel weekend, fortunatamente le persone da noi soccorse sono molto civili e disposte all’ennesimo sacrificio”. I lavori in corso stanno portando a termine uno spazio lavanderia più fornito ed agevole e una cucina più efficiente con tanto di mensa.
Il personale addetto alla sorveglianza e manutenzione dell’intero comprensorio prevede la presenza di: un direttore, un delegato di questo all’amministrazione, un interprete (siriano), uno specialista in ambito psico-sociale, una guardia, un medico ed alcuni addetti alla sicurezza. Alla cucina e alle pulizie trovano occupazione soggetti volontari. Per quanto riguarda gli “abitanti”, rispetto al gennaio (2014), la situazione si è decisamente alleggerita. Il numero degli assistiti si è dimezzato. Mladen par’essere soddisfatto delle opere portate avanti e ci mostra con orgoglio le varie sezioni del centro.
Alloggi
Ci dirigiamo subito verso le camere che ospitano le famiglie. La prima impressione è di un settore, seppur di emergenza, ben pulito, organizzato e con rinnovate attrezzature . Su quattro piani, ognuno dispone di cucina e servizi igienici.
“Abbiamo un ospite, avete il piacere di accoglierlo?”, le parole del nostro intermediario ci fanno sentire a nostro agio e subito accettati con un sorriso dai “residenti” di Voenna Rampa. Conosco Badjed Ali e sua sorella Rasbha di Aleppo, entrambi molto giovani e bloccati da mesi in Bulgaria. Alloggiano insieme ai genitori ed un altro fratello, nella stessa stanza (di circa 20 mq) da otto mesi. Badjed desidera muoversi in Germania tuttavia il percorso per arrivarvi risulta essere molto complicato. Ci fanno presente che a Sofia ed Harmanli (altro centro al sud del paese) dimorano soltanto le famiglie più povere, le quali non hanno la liquidità necessaria per pagarsi un viaggio, ne per comprarsi del cibo. Tale situazione è aggravata se non si ha la conoscenza di un’ulteriore lingua, non si è in corso di studi, non si hanno competenze specifiche o contatti con possibili datori di lavoro all’estero. “Coloro che hanno buone risorse economiche, sono già tutti emigrati in altre parti d’Europa!” . Il più delle volte poi, i nuclei familiari come quello di Badjed e Rasbha hanno passato il confine senza alcun documento, ossia clandestinamente.
Numerose poi sono le famiglie con bambini sotto i dieci anni: qui a Sofia si contano circa centoventi giovanissimi, sul totale della popolazione di quattrocento unità. Ad essi ovviamente va offerto cibo, assistenza medica e istruzione adeguati. Ultimo piano da noi visitato è invece abitato soltanto da coloro sono rimasti senza la famiglia, la quale o non è riuscita a passare il confine o è emigrata altrove. Questi sono collocati in camerate di cinque posti ciascuna. Oltre a profughi siriani nello stabilimento, infine, si contano altre quattro persone provenienti da Senegal, Mali e Somalia.
Miraggio europeo
Non si può ancora affermare che chi riesca a superare il confine sia “salvo”. Di certo è positivo il lavoro svolto dagli operatori del centro di emergenza periferico nel rendere più dignitosa possibile la sistemazione dei migranti in difficoltà. Gli ospiti possono muoversi in città e tornare nel centro utilizzando un badge personale. Tuttavia non in pochi risultano essere ancora scoraggiati dalla propria condizione, sentendosi dispersi e isolati dal resto del mondo. L’UE, tramite l’agenzia per l’immigrazione del governo bulgaro, contribuisce con viveri e materiali di prima necessità ma non ancora con leggi ad hoc. Il Regolamento Dublino II difatti complica le cose, continua Mladen: “Il nostro paese, il primo per motivi geografici a ricevere queste persone in UE, è l’unico a dare questo tipo di supporto immediato”. La richiesta di asilo può essere fatta soltanto nel primo stato dell’Unione in cui si riesce ad accedere e in cui spesso si finisce per restare ad oltranza. La Bulgaria è probabilmente lo Stato che più arranca tra i paesi membri. Chi non riesce a raggiungere l’Europa del “nord” non può far altro che darsi da fare e cercare di vivere al meglio nel territorio in cui detiene tale diritto di asilo. Se si ha moglie e figli poi le alternative son ben poche.
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foto di Roberto Mondin