CINEMA: "Macondo", diventare adulti tra i rifugiati ceceni in Austria

Ramasan ha 11 anni, e vive con sua madre Aminat e le due sorelline Rosa e Iman in una residenza per richiedenti asilo, in Austria. Suo padre è morto in Cecenia, prima di riuscire a raggiungerli. Alla sua età è già l’uomo di casa nel prendersi cura delle sorelle dopo la scuola mentre la madre è al lavoro. Ma mantenersi sui binari non è facile a Macondo, il villaggio in cui vivono insieme famiglie di rifugiati dalla Somalia, dall’Afghanistan, dal Congo come dalla Cecenia; le cattive compagnie sono dietro l’angolo. Un giorno arriva a Macondo un nuovo ceceno, Isa. E’ stato un compagno del padre di Ramasan nel conflitto, ed instaura con il ragazzo e la sua famiglia una relazione importante, anche se non facile. Sarà solo dopo varie vicissitudini che Ramasan sarà pronto a seppellire metaforicamente il padre, e ad accettare la presenza di Isa a fianco di sé e di sua madre.

Macondo (Austria, 2014) è il nuovo film della regista austriaco-iraniana Sudabeh Mortezai. Un dramma sensibile, centrato sulle relazioni tra i suoi personaggi, e la loro evoluzione nel tempo. Anche quando ciò significa comprendere che la vita degli adulti non è così semplice come appare – che non tutti i matrimoni sono basati sull’amore, e che combattere in guerra vuol dire uccidere e morire, piuttosto che essere degli eroi. Presentato a febbraio al 64° festival di Berlino, Macondo ha appena ricevuto una calorosa accoglienza anche da parte del pubblico e della critica del 20° Sarajevo Film Festival. Nell’attesa di poterlo vedere presto nelle sale anche in Italia, dove è stato presentato a Lecce.

“Il cast è di attori non professionisti, ma che hanno avuto esperienze di vita simili a quelle dei personaggi che interpretano”, spiega la regista. “Ho scoperto Macondo per caso, avevo sentito di una residenza alle porte di Vienna che aveva ospitato rifugiati sin dagli anni ’50, con più di 2000 persone da oltre venti nazioni. Ho capito presto che volevo sviluppare qualcosa da questo luogo, usando le storie di queste persone per creare una narrativa forte, ancorata in un modo autentico. Mi interessava particolarmente la prospettiva di un bambino sul crescere tra due culture, facendo i conti con la propria condizione di rifugiato e con le questioni aperte dell’identità”.

“Molti bambini che sono emigrati o fuggiti dal proprio paese si trovano a fare i conti con il dover crescere troppo in frettacontinua la regista. – Imparano la lingua del nuovo paese più velocemente dei loro parenti, spesso traumatizzati dal conflitto, ed assumono quindi un ruolo d’intermediario. E’ un’opportunità, ma come risultato rischiano di doversi assumere troppe responsabilità troppo presto. E’ un fardello pesante per un bambino; gli psicologi chiamano questo fenomeno genitorializzazione (parentification)”

Sudabeh Mortezai, classe 1968, non accetta che una regista donna debba sentirsi limitata a trattare nei suoi film di problemi femminili: “Macondo è la storia di un ragazzo, e in questo film esploro varie immagini della mascolinità. Non credo di dover avere a che fare solo con temi femminili, solo perché sono una donna”.

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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