ASIA CENTRALE: Si teme il vuoto di potere dopo il ritiro USA dall'Afghanistan

I cambiamenti che avverranno entro quest’anno in Afghanistan con il ritiro della maggior parte delle truppe straniere, in primo luogo americane, suscitano agitazione e proccupazione in Asia Centrale. Ciò è apparso evidente nel corso della sessione del Consiglio dei ministri degli esteri dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai (russo: „Shankhajskaja organizatsija sotrudnichestva” – ShOS; inglese: „Shanghai Cooperation Organization – SCO), che si è svolta a Dushanbè, in Tagikistan, il 31 luglio scorso. Della SCO fanno parte: Cina, Russia, Kazakhtan, Tagikistan, Kirghizistan e Uzbekistan. Questi paesi, pur nella vicinanza geografica, e lo si è visto bene a Dushanbè, hanno una diversa concezione del futuro della regione. Dushanbè infatti tende a orientarsi su Mosca, mentre Tashkent guarda piuttosto a Washington.

Fra i temi dibattuti nella capitale tagika vi era, naturalmente, in primo luogo l’Afghanistan: la situazione in questo paese dopo il ritiro delle truppe degli USA e della NATO, può notevolmente deteriorarsi, cosa di cui sono ben consapevoli i paesi della SCO che confinano con l’Afghanistan in Asia Centrale. Alla vigilia dell’incontro dei ministri il capo della diplomazia russa Sergej Lavrov ha rilevato che la piattaforma della SCO è ottimale per l’esame degli aspetti politici della situazione afghana.

Attualmente, nell’atmosfera delle elezioni presidenziali a Kabul, non ancora arrivata ad una soluzione fra i due principali candidati Abdullah Abdullah (ex ministro degli esteri) e Ashraf Ghani, si è notevolmente intensificata l’attività del movimento islamista radicale dei taliban, e ciò turba i sonni soprattutto a due stati membri della SCO, Tagikistan e Uzbekistan. E se a Dushanbè si fa affidamento sulla cooperazione militare con la Russia, Tashkent sta alacremente stabilendo contatti con gli Stati Uniti che a loro volta considerano proprio l’Uzbekistan come loro partner principale in Asia Centrale.

Alla vigilia del summit della SCO, a Tashkent è venuto in visita il comandante del Comando centrale delle forze armate USA, gen Lloyd James Austin che ha avuto una serie di incontri con esponenti del mondo politico uzbeko ed è stato ricevuto anche dal presidente della repubblica Islam Karimov. Anche qui, il tema principale del loro colloquio fu per l’appunto la situazione in Afghanistan.

Nei media uzbeki apparve anche la notizia che nel corso della sua visita l’alto ufficiale americano, fra l’altro, discusse anche la possibilità di aprire in Uzbekistan una base militare USA. Nonostante che, formalmente, le leggi uzbeke vietino il funzionamento sul territorio del paese di strutture di questo genere, la presenza militare degli USA potrebbe essere organizzata sotto forma di centro logistico.

Il Centro di transito della NATO in Kirghizistan che veniva attivamente utilizzato dai militari americani, fu chiuso dietro richiesta delle autorità kirghize nel luglio di quest’anno. Ora la presenza di una base militare USA in Uzbekistan potrebbe essere di eccezionale importanza per lo sviluppo della situazione dopo il ritiro della NATO dall’Afghanistan. Dopo che nel 2001 gli USA ebbero incominciato le operazioni in Afghanistan, in Uzbekistan fu installata una loro base militare, ma essa fu chiusa già nel 2005. La causa fu il raffreddamento delle relazioni di Washington con il regime del presidente uzbeko Islam Karimov che aveva duramente represso le dimostrazioni delle forze d’opposizione a Andizhan.

Cionondimeno, Washington continuò la cooperazione militare con Tashkent promettendo in particolare di cedere all’Uzbekistan parte della tecnica militare ritirata dall’Afghanistan. Una dimostrazione dell’accresciuto interesse degli Stati Uniti per l’Uzbekistan potrebbe essere la nomina ad ambasciatore in questo paese della 60-enne Pamela Spratlen, un diplomatico di carriera che conosce bene la regione e in precedenza aveva guidato la rappresentanza diplomatica americana in Kirghizistan. La candidatura della signora Spratlen è stata scelta dalla Casa Bianca, ma, almeno per quanto ne sappiamo,essa ha appena terminato, o dovrebbe terminare in questi giorni, il processo di conferma in Senato a Washington.

In ogni caso l’amministrazione americana dovrà essere molto prudente nel muoversi sul parquet dell’Uzbekistan e nel fissare le sue priorità in questo paese, tenendo conto della sorda lotta per il potere attualmente in corso fra Gulnara Karimova, figlia dell’inamovibile leader della repubblica Islam Karimov, e i suoi numerosi oppositori. La situazione diverrebbe assai complessa nel caso di una possibile rinuncia di Islam Karimov alla carica di capo dello stato e dell’emersione in Uzbekistan di nuove figure politiche.

Chi è Giovanni Bensi

Nato a Piacenza nel 1938, giornalista, ha studiato lingua e letteratura russa all'Università "Ca' Foscari" di Venezia e all'Università "Lomonosov" di Mosca. Dal 1964 è redattore del quotidiano "L'Italia" e collaboratore di diverse pubblicazioni. Dal 1972 è redattore e poi commentatore capo della redazione in lingua russa della radio americana "Radio Free Europe/Radio Liberty" prima a Monaco di Baviera e poi a Praga. Dal 1991 è corrispondente per la Russia e la CSI del quotidiano "Avvenire" di Milano. Collabora con il quotidiano russo "Nezavisimaja gazeta”. Autore di: "Le religioni dell’Azerbaigian”, "Allah contro Gorbaciov”, "L’Afghanistan in lotta”, "La Cecenia e la polveriera del Caucaso”. E' un esperto di questioni religiose, soprattutto dell'Islam nei territori dell'ex URSS.

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