Sabato 5 giugno la capitale ungherese ha ospitato il Budapest Pride, parata che conclude il festival culturale giunto alla sua diciannovesima edizione ed incentrato sulle tematiche LGBTQ. Obiettivi dichiarati dell’evento, organizzato dalla fondazione Szivárvány Misszió (‘missione arcobaleno’) sono “creare e consolidare la comunità LGBTQ, fornire visibilità alle persone LGBTQ, consentire loro maggiori possibilità di accettarsi e di essere accettati dalla società, appellarsi alla maggioranza sociale, ridurre gli stereotipi e i pregiudizi nei confronti delle persone LGBTQ e richiamare l’attenzione sulla parità dei diritti e delle opportunità”.
Alla manifestazione, che ha visto un notevole dispiego delle forze di polizia, hanno preso parte secondo gli organizzatori più di diecimila persone (sulla pagina Facebook dell’evento i partecipanti erano circa 3400). Tra gli sponsor apparivano, tra gli altri, Amnesty International e Google.
Nonostante il corteo abbia potuto sfilare senza complicazioni, non sono mancate le tensioni generate da chi stava dall’altra parte delle transenne. Lo stesso giorno infatti, gli estremisti di Jobbik festeggiavano la “giornata del cameratismo”, per commemorare quando, nel 2009, la polizia intervenne a sciogliere la protesta della Magyar Gárda (l’organizzazione nazionalista vicina al partito), riunitasi in una piazza centrale di Budapest dopo che una sentenza giudiziaria ne aveva proclamato la soppressione. Il leader di Jobbik, Gábor Vóna, ha negato che questa celebrazione fosse stata organizzata appositamente per contrapporsi al Pride; ciononostante, molti dei suoi sostenitori indossavano t-shirt con scritte come “sporchi gay” e “dì no alla lobby gay”. Inoltre, prima dell’inizio del Budapest Pride, il vicepresidente di Jobbik e un suo aiutante hanno esposto da un balcone del parlamento ungherese uno striscione con le parole “il Paese non vuole la propaganda deviata”. Presenti in qualità di oppositori al Pride anche alcuni membri dell’associazione “In nome della famiglia”. La polizia ha dovuto chiudere alcuni punti di accesso giudicati rischiosi per l’incolumità dei manifestanti; nel corso della giornata, 2 persone sono state fermate e 29 identificate.
L’attivista ungherese László Mocsonaki, da sempre impegnato nella battaglia per i diritti LGBTQ, ha accusato la politica del governo di omofobia, aggiungendo che nemmeno nel 1995 la situazione era così grave. In particolare, è stato sottolineato il fatto che, da quando il primo ministro Orbán è salito al potere, non ci sia alcun sostegno pubblico alle associazioni che promuovono la causa LGBTQ, né la tematica venga discussa dai politici che compongono la maggioranza di governo.
Il governo Orbán, formatosi nel 2010 e tuttora in carica con un’ampia maggioranza parlamentare, ha dato inizio nel 2011 alla revisione della carta costituzionale, inserendo un riferimento esplicito alla famiglia tradizionale come unica unione riconosciuta a livello legislativo. La modifica in questione, approvata definitivamente nel marzo 2013, riguarda la definizione di matrimonio e di famiglia, e stabilisce che “la base del vincolo familiare è il matrimonio, ovvero il legame genitore-bambino”, escludendo il tal modo dal concetto di famiglia le coppie non sposate e quelle dello stesso sesso.