“Qui non avete bisogno di alcuna registrazione, questo è un vero paese democratico!“ esulta l’oste a Bishkek, Kirghizistan. La lunga catena del Thian Shan sovrasta lo sguardo, si toccano i meno trenta gradi, l’aria è densa di cristalli di neve. L’arrivo in terra kirghiza è il meno tignoso di tutte le frontiere passate, dai controlli blandi e un’accoglienza festosa. In fila i turisti del freddo arrivano dai paesi circosranti, equipaggiati di attrezzature sciistiche, tute e la tipica abbronzatura invernale di chi pratica questo sport.
Motore dell’economia kirghiza, il turismo locale offre ai viaggiatori impianti sciistici equipaggiati e ultramoderni a prezzi convenienti per gli amanti del settore. Se le risorse del paese sono limitate e il tipico giocoforza minerario centroasiatico non regge, il turismo è rimasto uno dei pochi settori a sorreggere la già fragile economia del paese. Pacchetti vacanze in yurta, pernotto e tecniche di produzione casearia con i nomadi kirghizi, escursioni con i cacciatori di aquile a cavallo, la riscoperta della tradizione è quello su cui il Kirghizistan degli ultimi anni sta puntando economicamente, nonostante la congiuntura negativa portata dalla peste bubbonica rilevata lo scorso anno.
La capitale Bishkek conserva qualche traccia di socialismo qua e là, dalla piazza principale fatta di marmi e colonnati alle strade dritte e perpendicolari che tagliano il parco. A differenza delle altre capitali centro asiatiche, figlie del comunismo aggressivo e punitivo, la statua di Lenin non è stata ancora rimossa ma solo spostata nel retro della piazza, a testimoniare il rimpiazzo di valori per la nuova identità kirghiza. L’indice della mano di Lenin guarda ora alla periferia e le sue spalle sono voltate contro la piazza, quasi a comunicare un addio, la fine di un’epoca. Neppure il nome sovietico è rimasto alla città, denominata Frunze fino agli anni 90 in onore di un leader bolscevico, Michail Vasiljevic Frunze, avvelenato al cloroformio e valido competitore di Stalin. A Frunze si è sostituito il nome Bishkek, che in kirghizo significa bastone, mazza, a ricordare l’identità degli allevatori kirghizi nella produzione del kumis, il latte fermentato. Come ricorda Tiziano Terzani, all’inizio le donne avevano vergogna a pronunciarne il nome.
A Bishkek la vita scorre veloce, un misto tra modernità all’occidentale fatta di comfort e buoni servizi e il tipico folclore centroasiatico. La città che anche in epoca socialista ha conosciuto un modesto sviluppo grazie al turismo dalla Madre Russia, mantiene uno stile urbano nei modi, nell’eleganza, nella ricerca dei servizi da offrire. Centro della maggior parte delle NGO che nel resto del Centro Asia hanno difficoltà a installarsi (vedasi Uzbekistan e Turkmenistan) l’influenza degli stranieri nello stile di vita è stata forte: dal karaoke con narghilè e chiamata elettronica del cameriere a discoteche all’ultimo grido, richiamo dei maggiori DJ europei. Un consumismo sfrenato fatto di gadget e chincaglie cinesi colora l’ambiente, al socialismo si è sostituito il capitalismo incontrollato. Il tenore di vita in città è alto anche se inspiegabilmente il PIL pro-capite stenta a superare i 2000 euro annui.
“Per lo più la nostra economia si regge sulle rimesse dei lavoratori kirghizi in Russia” afferma Lilija, una giovane kirghiza. “ogni famiglia ha un parente lì a lavorare e grazie a questo il nostro stato può restare in piedi”. Gli investimenti nell’area sono condotti prevalentemente da cinesi e russi, questi ultimi oggi in minoranza nel paese in cui le migliori cariche sociali erano a loro destinate. Gli Stati Uniti fanno sentrire la propia presenza anche con le basi americane di Manas, installate per l’avanzata in Afghanistan. Chissà che non abbiano importato anche il vento rivoluzionario che dal 2005 ha iniziato a soffiare in Kirghizistan, con la fuga del presidente e l’instaurazione di una nuova dittatura corrotta fino alle nuove proteste del 2010, stesso copione, stessi ruoli: presidente in fuga, carneficina di manifestanti (almeno 88 morti) e instaurazione di un governo tecnico.
“Ci abbiamo creduto fortemente, nei giorni della rivoluzione abbiamo sperato che potesse cambiare davvero questo paese; ciò che ci resta invece è solo la disillusione” afferma Kamilia, figlia del socialismo, di madre russa e padre kirghizo uiguro. Poco ha potuto infatti la leader Rosa Otunbayeva, storica leader dell’opposizione kirghiza che nei suoi anni di governo ha dato la svolta storica al paese: da presidenziale la vita politica viene ora gestita a livello parlamentare.
Ma il paese, con alla guida il nuovo leader Atambayev resta ancora molto corrotto, posizionandosi al 150° posto della classifica mondiale per corruzione (Transparency International, 2013). Il prossimo ritiro delle truppe americane dall’ Afghanistan, la cui base risiede in Kirghizistan, mette a serio rischio le redini del paese, lasciato dal mese prossimo in balia dei vicini, Russia e Cina.