Il Canada ha un problema non da poco. E’ il terzo paese al mondo per riserve di petrolio ma non sa come esportarlo. Con i suoi 170 miliardi di barili di oro nero, il Canada è superato solo da Venezuela e Arabia Saudita eppure il paese fatica a venderlo. Gli unici acquirenti, fin qui, sono gli Stati Uniti anche perché l’unica pipeline disponibile parte dall’Alberta e corre verso sud. Per come è girato il mondo negli ultimi sessant’anni non è che si potesse fare altrimenti: la sicurezza del paese è sempre dipesa da Washington anche se i soldati canadesi hanno combattuto fedelmente per sua maestà la regina d’Inghilterra. Ma la protezione anglo-americana può anche diventare una scomoda camicia di forza in un mondo in cui le relazioni internazionali cambiano, e quello che contano sono le risorse energetiche.
Lo scioglimento dei ghiacci artici ha già messo il Canada nella posizione di dover rivaleggiare con Mosca, ma anche Washington, per il controllo delle nuove vie d’acqua che portano ai giacimenti di idrocarburi del Polo Nord, finalmente accessibili. Il paese, insomma, sta andando incontro a una nuova fase della sua storia e il petrolio potrebbe esserne il simbolo. Ecco perché a Ottawa la parola d’ordine è diventata “diversificare”. E non c’è nazione al mondo più assetata di petrolio che la Cina.
Il governo canadese ha approvato infatti una proposta di costruzione per un nuovo oleodotto di 730 miglia che collegherà la città di Brudherheim, nel cuore dell’Alberta, con Kitimat, sulla costa pacifica, generando circa 525mila barili al giorno.L’azienda Embridge, che aspetta dal 2006 l’approvazione del progetto, è incaricata di realizzare l’opera. Una volta a regime, l’oleodotto farà aumentare il Pil di 300 miliardi di dollari in trent’anni. Una volta a Kitimat il petrolio prenderà tranquillamente la via dell’oceano per andare a dissetare le industrie cinesi. La Cina è inoltre ormai un partner importante per il Canada che recentemente si è visto arrivare un assegno di 40 miliardi di dollari che Pechino ha investito nell’industria energetica canadese: un buon argomento per convincere il governo di Ottawa a guardare con più attenzione verso l’Asia.
Peccato che l’oleodotto, già battezzato Northern Gateway, passerà attraverso le terre controllate dai nativi e lungo la foresta incontaminata del Grande Orso, nella Colombia Britannica. Non a caso i gruppi ecologisti e i rappresentanti dei popoli delle Prime Nazioni, come vengono chiamati in Canada i popoli autoctoni, hanno protestato a Vancouver nel giugno scorso, mobilitando migliaia di persone.
In quell’occasione i rappresentanti delle centotrenta Prime Nazioni canadesi hanno firmato un documento contro la costruzione dell’oleodotto nei loro territori. Si tratta di una battaglia impari. Benché la Corte Suprema canadese abbia dichiarato che i popoli nativi devono essere consultati in merito a ogni opera che si intenda costruire sui loro territori, essi non hanno potere di veto, e già più di una volta in passato il governo canadese ha calpestato i diritti delle popolazioni indigene.
Per questo il Grande Capo dell’Assemblea delle Prime Nazioni ha dichiarato che i popoli nativi sono “pronti a qualsiasi resistenza” per impedire l’inizio dei lavori. L’azienda Enbridge è avvisata, la battaglia per il Northern Gateway è appena cominciata.