Ci risiamo. Quasi a scadenza semestrale, la Grecia torna a bussare alle porte del Regno Unito e a chiedere indietro i marmi del Partenone, sottratti nel lontano 1804 da lord Thomas Elgin. Questi, all’epoca ambasciatore britannico a Costantinopoli, chiese alle autorità locali il permesso di prelevare dall’Acropoli delle pietre e delle epigrafi, ma, invece di limitarsi a qualche oggetto da collezione, inviò sul luogo una squadra di operai armati di scalpelli, i quali, saliti sul Partenone, cominciarono ad asportare una gran quantità di sculture. Dapprima queste furono ospitate dallo stesso Elgin nella sua villa, in Scozia, ma, in seguito a problemi finanziari, l’ambasciatore si vide costretto a vendere la collezione di marmi al governo britannico, che li affidò al British Museum, dove tutt’oggi sono custoditi.
Per anni, la Grecia ha chiesto invano la restituzione dei marmi, sostenendo la tesi che le sculture fossero state esportate con l’inganno e che queste rappresentassero una parte del simbolo nazionale del Paese. Vassilis Papadimitriou, consigliere stampa dell’ambasciata greca in Italia, durante una recente intervista, ha sostenuto che la Grecia non chiede che vengano restituite tutte le opere greche presenti nel mondo, ma solo “quello che per noi è parte integrante di un monumento nazionale”.
D’altro canto, il Regno Unito, secondo cui l’esportazione dei marmi è stata legale, fatta in buona fede e addirittura necessaria affinché il Partenone non fosse preda di atti vandalici, si è sempre espresso in maniera contraria a questa richiesta. “Questi marmi – sostiene Jan Jenkins, responsabile del dipartimento antichità greche e romane del British Museum – si trovano in Inghilterra da circa 200 anni e hanno, quindi, trovato ormai radici in questo Paese”.
Tuttavia, negli anni, le sollecitazioni affinché le opere fossero restituite ai “legittimi proprietari” si sono moltiplicate, trovando validi sostenitori nello stesso Regno Unito. Nel 2009, l’inglese Cristopher Hitchens fece molto discutere con il suo libro “I marmi del Partenone”, nel quale argomentava come l’espropriazione da parte di Elgin avesse rappresentato un sopruso nei confronti del popolo ellenico a cui il governo britannico doveva ora porre rimedio. Nel 2012, in occasione delle Olimpiadi di Londra, Stephen Fry, attore di lungo corso, chiese al premier David Cameron di sfruttare l’evento sportivo come occasione per rimediare all’antico torto. “Sarebbe non solo un tocco di classe, ma anche un aiuto concreto a un Paese in profonda crisi», aggiunse.
Per ultimo, si è espresso a favore della restituzione dei marmi alla Grecia anche il famoso divo di Hollywood, George Clooney, il quale, durante la presentazione, a febbraio, del film “Monuments Men”, a un giornalista greco che gli chiedeva se ritenesse che i marmi del Partenone dovessero tornare in patria, aveva risposto: «Ritengo che sia una buona idea», suscitando subito le ire del governo inglese e il plauso del ministro della Cultura Panos Panayiotopoulos.
Fino a qualche anno fa, il Regno Unito si poteva fare scudo della tesi secondo cui, pur volendo, non vi sarebbe stata possibilità di trasportare i “marmi di Elgin” ad Atene, in quanto questa mancava di uno spazio idoneo a ospitarli. L’argomentazione è però venuta a perdere di valore da quando, nel 2009, il governo greco ha inaugurato un modernissimo Museo, ai piedi dell’Acropoli, già predisposto ad accogliere i marmi.
Al di fuori delle opinioni dell’una e dell’altra parte, l’impressione è che la diatriba tra i due paesi non avrà vita breve; i problemi giuridici, storici e concettuali rappresentano solo uno degli aspetti del problema. I marmi, infatti, sono sparsi per tutta Europa (Italia e Francia in primis); il museo Salinas di Palermo, ad esempio, ne conservava un frammento, ma Grecia e Italia si sono messe d’accordo per un prestito quasi periodico. Lì dove i fregi del Partenone non costituiscono una parte fondamentale del Museo, insomma, gravi problemi non sussistono. Nel caso dei marmi custoditi a Londra, invece, in gioco ci sono milioni di visitatori che, ogni anno, arrivano da tutto il mondo e che si traducono in milioni di sonanti sterline per l’economia inglese, visto che l’entrata al Museo è gratis, ma non gli alberghi e i ristoranti dove i turisti soggiornano e mangiano.