Si prospettano due mesi di fuoco in Turchia. Le elezioni presidenziali potrebbero regalare ad Erdogan altri dieci anni di controllo istituzionale e politico.
Non è ancora ufficiale ma con tutta probabilità sarà Erdogan a guidare l’AKP al primo turno delle presidenziali turche del 10 agosto. Grazie ad un mandato di cinque anni con possibilità di ricandidatura per altri cinque, l’attuale primo ministro potrebbe estendere la sua incontrastata leadership, e aprire una nuova fase politica. Per la prima volta il Presidente della Turchia sarà eletto da un voto popolare che romperà gli attuali equilibri del sistema istituzionale di Ankara, anche grazie ai poteri che il nuovo Presidente avrà in mano a differenza dei suoi predecessori.
Il nuovo capo dello Stato perde infatti la sola funzione cerimoniale o di rappresentanza, a favore di compiti politicamente più influenti come la promulgazione di leggi, la possibilità di indire nuove elezioni parlamentari, e di posizionare uomini fidati nei settori chiave dello stato. In caso di vittoria Erdogan contribuirà ad acuire la polarizzazione interna con il rischio di aumentare disordini e scontento, soprattutto nelle aree urbane. Tuttavia i risultati delle ultime amministrative lasciano poco spazio a dubbi: la sua volontà di governare la Turchia fino al 2023, centenario della Repubblica, prenderà corpo.
L’opposizione, formata dal CHP (Partito Popolare Repubblicano) e dal MHP (Movimento Nazionalista), hanno presentato intanto il loro candidato antagonista al primo ministro. La scelta di Ishanoglu, ex segretario dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, ha aperto non poche polemiche. In primis la sua insufficiente esperienza nel famelico mondo della politica: Ishanoglu è un diplomatico, uno studioso esperto di Islam, una personalità accademica e non una figura capace di attrarre consenso. Sorprende inoltre la scelta del CHP, partito rappresentante la diretta emanazione del laicismo kemalista, di appoggiare un candidato di orientamento conservatore, quasi ad accettare l’atmosfera politica odierna. Tuttavia, nonostante non sia conosciuto dalla maggior parte della popolazione, Ishanoglu potrebbe ricevere voti da quella parte dell’elettorato tradizionalista e moderato ma poco incline ad assecondare nuovamente le aspirazioni di Erdogan.
Un altro fattore destabilizzante per la corsa dell’AKP potrebbe essere rappresentata dal confine iracheno. Il rapimento del console turco e del suo staff a Mosul da parte dell’Isis, e i recenti scontri tra esercito e militanti curdi nel sud della Turchia aggravano una già difficile situazione territoriale. Erdogan punta ad una campagna elettorale senza scossoni né disordini regionali: la normalizzazione dei rapporti con il primo ministro iracheno Al- Maliki va in questa direzione, così come il tacito appoggio alla recente occupazione di Kirkuk ad opera dei curdi di Erbil. La numerosa comunità curda potrebbe regalare all’AKP un 5-7% di voti in più che consentirebbero ad Erdogan di passare subito al primo turno con un necessario 50+1. Il rafforzamento delle relazioni con Barzani ed il suo PDK, così come un auspicabile alleggerimento diplomatico verso il PKK aumenterebbe quindi il consenso attorno al futuro presidente della Turchia.