Xinjiang: un mosaico di etnie

Farfalle e trincee aveva parlato qui del museo di Urumqi, dove una vasta sala è riservata all’esposizione delle tredici maggiori etnie del Xinjiang. Nel post precedente si erano pubblicate le foto che ne ricostruicono i tratti e gli ambienti, ora vediamo di dare qualche informazione in più sul loro numero e la loro storia. Anche attraverso la conoscenza dei suoi abitanti l’Ovest della Cina riserva davvero, come vedremo, molte sorprese.

I mongoli

I mongoli nel Xinjiang sono circa 167mila, e per lo più vivono nella Prefettura Autonoma di Bayangolin, in quella di Bortala, nella Contea autonoma di Hebuksar ed in altri luoghi minori. Conosciute in passato con il nome complessivo di oirati, una parte dei quali  divenne nota in Occidente con il nome di calmucchi, le varie popolazioni mongole sono numerose e spesso confuse tra loro. Tra queste abbiamo gli zungari, da cui prende il nome una regione dello Xinjiang, i torgud arrivati fino al Volga e tornati nella loro terra d’origine nel XVIII secolo, in quella che è forse una delle ultime grandi migrazioni della Storia. Vi sono poi altra due tribù mongole che durante l’epoca Qing hanno raggiunto il Xinjiang: gli uriyangqad ed i cahahar. Originarie di quella che è oggi la Mongolia Interna queste popolazioni, una volta assorbite nell’impero cinese, divennero parte dell’esercito della dinastia Qing (1644-1911) che, nel XVIII secolo, li trasferì nel Xinjiang per difendere la frontiera occidentale, destino comune ad altre popolazioni. La maggior parte dei mongoli presenti nello Xinjiang vive di pastorizia ed allevamento.

Gli uiguri

Gli uiguri sono la popolazione maggioritaria del Xinjiang (sebbene i cinesi Han siano in fase di sorpasso) e danno il nome alla stessa regione autonoma. Una stima parla di quasi 9 milioni di appartenenti a questa etnia; definirla minoranza o meno solleva enormi problemi anche politici essendo la regione del Xinjiang assolutamente turbolenta nei riguardi del governo centrale di Pechino. Originariamente popolazione nomade gli uiguri, chiamati nel corso della storia in innumerevoli modi, divennero ben presto sedentari stabilendosi soprattutto nelle oasi della regione. Questo ci riporta direttamente alla Via della Seta ed al transito, per quelle oasi, di merci e cultura. Proprio a livello culturale gli uiguri hanno subito le influenze dovute alla geografia, trovandosi a vivere in un vero e proprio punto di contatto tra Oriente ed Occidente, senza dimenticare la vicina India. Se oggi gli Uiguri sono musulmani in passato tra di loro erano diffusi lo sciamanismo, il manicheismo e, soprattutto il buddhismo. Nel Xinjiang gli uiguri si dedicano per lo più all’artigianato, all’agricoltura ed all’allevamento.

Gli hui

Gli hui sono una popolazione del tutto simile agli Han, l’etnia maggioritaria in Cina, se non per la religione. Gli Hui sono infatti musulmani, eredi di una lunga storia che ha visto l’islam farsi sempre più presente nell’impero cinese. Gli hui sono sempre stati tradizionalmente stanziati nel Gansu, una regione confinante con il Xinjiang, dove nel corso di frequenti guerre di confine l’aspetto etnico ha spesso prevalso su quello religioso. Gli hui, chiamati anche dungani, hanno infatti spesso combattuto contro gli Uiguri, sebbene nella regione il cambio di alleanze, per i motivi più diversi, non è mai stato infrequente. La diffusione  dell’islam nel Xinjiang si ricollega alle migrazioni dall’Asia Centrale durante le epoche Tang (618-907) e Song (960-1279), nonchè ai funzionari islamici durante la dinastia Yuan (1279-1368), quando i mongoli conquistarono la Cina. I discendenti di Gengis Khan affidarono infatti l’amministrazione dell’impero a musulmani provenienti dai territori conquistati ad occidente. Oggi gli Hui del Xinjiang vivono soprattutto nella Prefettura Autonoma di Changji Hui e nella Contea Autonoma di Yangqi Hui. Il loro numero è di circa circa 870mila, sono sparsi generalmente in ampi territori vivendo in piccole comunità e per lo più vivono di agricoltura, se in campagna, o di commercio se in città.

I tagiki

Nel Xinjiang i tagiki sono circa 40mila, molti dei quali vivono nella Contea Autonoma di Tashkurgan, una zona montuosa ai confini del Pakistan, lungo la Karakoroum Highway, ossia la strada carrozzabile più alta al mondo. Questa zona confina inoltre con il Tagikistan propriamente detto ed il Kirghizistan. Altri luoghi nel Xinjiang dove vivono i tagiki sono Yarkand, Poksam, Kirgilik e Guma. Queste sono tutte città oasi poste a sud del deserto del Takamaklan, lungo l’antica rotta meridionale della Via della Seta. Tradizionalmente i tagiki vivono sui monti ad altezze elevate, il che ha fatto loro assumere il soprannome di “aquile”. Caratteristica della popolazione tagika è la lingua di derivazione iranica, che ne fa un’affascinante eccezione in una regione dove numerose sono le lingue di origine turca. I tagiki oggi presenti nel Xinjiang sono per lo più impegnati nell’allevamento e nella pastorizia.

I kazaki

Stimati in circa 1milione e mezzo di componenti l’etnia kazaka vive soprattutto nella Prefettura Autonoma di Yili, nelle Contee autonome di Barkol e Mulei nonché sparsi in altri luoghi. La loro storia è complessa e non è facile risalire alle loro origini, che sembrano comunque da far risalire al popolo dei wusun. Altro gruppo etnico fondamentale nella storia dei kazaki furono i kitai (da cui il termine Catai una volta usato ad occdente per indicare l’intera Cina) che unificarono una moltitudine di tribù. Storicamente i kazaki furono tra i nemici più acerrimi della dominazione cinese del Xinjiang, anche grazie alla loro vicinanza con i confini prima russi e poi sovietici. Tuttavia questa frontiera vide anche la tragedia dei kazaki in fuga dall’URSS per sfuggire alla collettivazione forzata, rifiutata poi anche sul suolo cinese dove preferirono uccidere gli armenti, esponendosi alla morte per fame, piuttosto che consegnarli al governo. Oggi i kazaki, in maggioranza musulmani dopo un passato sciamanico, del Xinjiang sono attivi nella pastorizia, nell’allevamento, nell’artigianato e nella caccia.

I kirghisi

I kirghisi sono una popolazione dalla storia un po’ complicata, come molte altre popolazioni presenti nello Xinjiang. Originari della Siberia, più precisamente nella regione tra Russia e Mongolia attraversata dal fiume Yenisei, sarebbero poi migrati verso sud fino a raggiungere la catena del Tian Shan (dove si trova l’odierno Kirghizistan) ed il Xinjiang. Non c’è chiarezza nemmeno sull’origine del loro nome, che in passato identificava anche gli attuali kazaki. I kirghisi del Xinjang vivono per lo più nella Prefettura Autonoma di Kizilsu, il loro numero è di circa 170mila unità. A complicare le cose ci si mette anche il Museo di Urumqi che ne parla come Khalkhas, ossia con lo stesso nome di un’antica federazione mongola, oggi l’etnia maggioritaria dei mongoli della Mongolia propriamente detta. Interessante il fatto che esiste anche qualche centinaio di khirghisi che nel corso del XVIII secolo furono trasferiti, non è chiaro quanto di loro iniziativa, in Manciura nell’odierna provincia cinese di Heilonjang dove parlano una lingua chiamata Fuyu Kyrgyz, la lingua di origine turca più orientale al mondo.

Gli Xibe

Nonostante vivano nel Xinjiang gli Xibe sono considerati l’etnia originaria della regione più a nord-est della Cina. Questa popolazione, oggi concentrata nelle Contee Autonome di Xibe e Chabucha (all’interno della Prefettura autonoma di Yili), discende infatti da un gruppo di circa 1000 soldati (le cosiddette Otto Bandiere Xibe) che nel 1764, nel corso della “marcia verso ovest” della dinastia Qing, furono trasferiti dalla loro terra d’origine al Xinjiang, insieme ai loro familiari, per difenderne i confini. Una volta stabilitisi questo gruppo di circa 3000 persone furono dei veri e propri pionieri nello sfruttamento agricolo del Xinjiang. Oggi questa etnia che ha saputo svilupparsi negli Xibe attuali consta di circa 40mila membri ed è ancora per lo più impegnata nel settore agricolo.

I russi

Nel Xinjiang esiste anche una piccola minoranza etnica russa, circa 11mila persone. Questi russi, sono attivi soprattutto nel settore agricolo, rappresentano l’eredità di flussi migratori che dalla Russia si sono diretti, nel corso del XVIII secolo, verso quello che oggi è la parte più occidentale della Cina. Flussi aumentati nel XIX secolo dopo la presa del potere dei bolscevichi. I russi del Xinjiang vivono per lo più nelle città di Yili, Tacheng, Altai ed Urumqi. Le vicende della regione del Xinjiang successivamente alla Rivoluzione d’Ottobre sono molto interessanti, essendo spesso questa una meta dove si rifugiavano russi bianchi in fuga ed altri elementi antibolscevichi, ponendosi poi al servizio di questa o quella fazione locale. I russi del Xinjiang sono in maggior parte ortodossi.

I tatari

I tatari dello Xinjiang costituiscono una minuscola parte della popolazione tatara mondiale, visto che con circa 5mila unità ne costituiscono meno dell’1%. L’unica realtà amministrativa autonoma concessa ai tatari dal governo cinese consiste nella Città Autonoma di Daquan, all’interno della contea di Qitai. Altre città dove vivono dei tatari sono Urumqi, Changji, Qitai, Yining, Burqin ed Habahe. Sebbene in passato con il termine tataro si intendesse chiunque parlasse una lingua di origine turca, la loro origine andrebbe fatta risalire ai Kypchak (i Polovtsy delle cronache russe), una confederazione di tribù stanziata sulle rive dell’Irtish, un fiume siberiano. I tatari arrivarono fino al Volga ed alla Crimea e proprio dall’impero russo sembrano essere giunti, nel XIX e XX secolo, i pochi elementi presenti in Xinjiang. Oggi questi tatari sono impegnati nell’agricoltura, nell’artigianato e nel commercio. I tatari sono in maggioranza musulmani.

I daur

Anche i circa 7mila daur, una delle più piccole minoranze ufficialmente riconosciute in Cina, devono la loro presenza nel Xinjiang allo spostamento in massa fatto nel 1764. Gli odierni daur sono infatti i discendenti degli ufficiali e dei soldati mandati ad Ovest con compiti militari, mentre la loro origine storica è da far risalire al popolo dei Khitan durante la dinastia Liao (907-1125). I luoghi del Xinjiang in cui i daur possono essere trovati sono la Contea Autonoma di Tacheng, Urumqi, Yining, Huocheng ed il Villaggio di Nazionalità di Axida’er. Nel resto della Cina i daur sono principalmente stanziati nella Mongolia Interna e nella Provincia di Heilongjiang, mentre in tutto il paese sono complessivamente circa 130mila. Da segnalare come il trasferimento dei daur sia dipeso anche da ragioni geopolitiche. Situata lungo le rive dell’Amur questa popolazione era un ostacolo alla penetrazione russa verso l’Oceano Pacifico. A partire dal 1682, per questo motivo, le autorità russe inviarono tra i daur dei missionari con l’intento di convertirli al cristianesimo ortodosso, il che spaventò alquanto i governanti cinesi che decisero di spostare i daur per ragioni di sicurezza. La loro attività principale è l’agricoltura mentre una minoranza si dedica all’allevamento, nonostante storicamente i daur siano stati importanti commercianti. La religione più seguita tra i daur è lo sciamanesimo.

Gli uzbeki

Nel Xinjiang gli uzbeki sono circa 15mila e vivono sparsi un po’ ovunque, senza aree autonome particolari, sebbene le maggiori concentrazioni siano nelle città di Yining, Tacheng, Kashgar, Urumqi, Yarkant e Kargilik, ossia nelle stesse aree in cui vivono i tagiki. La popolazione uzbeka del Xinjiang inoltre parla una lingua simile a quella degli uiguri, popolazione con la quale sono a contatto così stretto che oggi è abbastanza difficile riconoscere immediatamente i membri delle due etnie. Gli uzbeki sono tradizionalmente commercianti originari della Sogdiana, della Chorasmia e della Valle di Fergana, giunti nella regione del Xinjiang tra XVI e XVII secolo. Il commercio è ancora oggi la loro attività principale insieme all’artigianato ed all’orticoltura. Anche la storia degli Uzbeki rimanda alla Via della Seta ed all’espansione dell’Islam nella regione del Xinjiang, sia per il loro ruolo di commercianti sia per il loro passato legato ai Khanati della Valle di Ferghana. Sebbene gli uzbeki commerciassero sia con la Cina che con la Russia, come i kazaki furono avversi sia al comunismo russo che a quello cinese, ragione per cui più volte si ribellarono e più volte furono repressi.

I manciù

I manciù del Xinjiang sono circa 24mila e vivono per lo più nelle città di Yili, Changji ed Urumqi. Originari del nord-est della Cina, le radici dei manciù sono da far risalire ai Tunguti, una confederazione di tribù locali con innesti di elementi sia turchi che mongoli. I manciù arrivarono a conquistare l’intera Cina, insieme alla Corea ed alla Mongolia e nel 1644 quando diedero vita alla dinastia Qing che durò fino al 1911, anno della proclamazione della Repubblica in Cina da parte delle forze repubblicane di Sun Yat-Sen. Politicamente i manciù furono importanti ancora negli anni ‘30 del XX secolo, quando i giapponesi invasero la Manciuria e posero un manciù, Pu Yi l‘ultimo imperatore, a capo di uno stato fantoccio: il Manchukuo. Oggi parlare di etnia manciù è da alcuni studiosi ritenuto difficile per via del loro altro grado di assimilazione con la cultura cinese, a partire dai tempi della dinastia Qing. Nonostante ciò tra gli odierni manciù sono ancora diffusi il lamaismo ed, in misura minore, lo sciamanesimo. Per quanto riguarda il Xinjang anche per i manciù qui presenti (una piccola minoranza dei manciù cinesi) le origini vanno cercate nei compiti militari di difesa della frontiera occidentale.

Chi è Pietro Acquistapace

Laureato in storia, bibliofilo, blogger e appassionato di geopolitica, scrive per East Journal di Asia Centrale. Da sempre controcorrente, durante la pandemia è diventato accompagnatore turistico. Viaggia da anni tra Europa ed Asia alla ricerca di storie e contatti locali. Scrive contenuti per un'infinità di siti e per il suo blog Farfalle e Trincee. Costantemente in fuga, lo fregano i sentimenti.

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