Di lui si sa ancora poco o niente. Andrej Kiska è il nuovo presidente della Slovacchia, uscito vincente lo scorso 29 marzo dal ballottaggio con il nazionalista Robert Fico, si è insediato proprio domenica, 15 giugno, entrando così ufficialmente in carica. Alle scorse elezioni presidenziali era l’outsider ma un inatteso 24% delle preferenze lo ha portato dritto al ballottaggio con l’ex primo ministro Fico che ha poi battuto con il 59,4% delle preferenze.
Andrej Kiska non è un politico di professione, ed è questo che lo rende imprevedibile. Imprenditore, deve la sua fortuna ad alcune società di credito al consumo fondate nel 1998 e vendute nel 2005 alla VUB (Všeobecná Úverová Banka), una controllata del Gruppo Intesa San Paolo, che le fuse in una nuova impresa denominata Consumer Finance Holding, nella quale Andrej Kiska occupa il ruolo di membro del consiglio di amministrazione. Questa vendita lo ha reso milionario e con il 10% del ricavato ha deciso di fondare una associazione benefica, la Dobrý Anjel (“Angelo Buono”) per l’aiuto dei bambini malati di cancro. Self-made man, imprenditore e filantropo, uomo nuovo della politica slovacca, Kiska non è mai stato affiliato a nessun partito. Nato nel 1963, chiede a 19 anni di entrare a far parte dei giovani della Lega dei Comunisti slovacchi ma viene rifiutato.
Che uomo è Kiska? Un sincero filantropo o un populista che usa le sofferenze altrui per guadagnare consensi? E’ presto per dirlo, così come è prematuro valutarne le potenzialità. Una cosa è certa: gli slovacchi erano stanchi della corruzione e degli scandali politici, e hanno cercato in Kiska qualcosa di più di un voto di protesta. Tuttavia le prime mosse di Kiska destano stupore.
Per la cerimonia di insediamento sono stati invitati al palazzo presidenziale “i poveri” poiché “voglio dimostrare simbolicamente, già il primo giorno in carica, che saranno loro la mia priorità”, ha dichiarato. E per questo ha annunciato che rinuncerà al suo stipendio presidenziale per devolverlo alle famiglie in difficoltà. “Mi rivolgerò alle maggiori organizzazioni di carità. Chiederò al personale che è in contatto diretto con le famiglie delle quali lo Stato non è in grado di occuparsi, che scelga e mi comunichi i casi più scottanti ai quali distribuire il mio stipendio”. “I politici non si occupano dei problemi veri degli slovacchi”, ha detto spiegando la sua decisione, per fortuna che ora c’è lui a pensarci.
Kiksa non ha un partito alle spalle e si è candidato alle presidenziali come indipendente. Per questo è difficile caratterizzare la sua politica, dandogli un colore o un’etichetta. Il rischio è che, sfuggendo alle definizioni, sfugga anche al controllo e alla possibilità di opposizione. E’ un esponente della nuova politica europea, quella dei businessman, degli imprenditori che “scendono in campo” per gestire la cosa pubblica come fosse cosa privata, con metodi aziendali e padronali, o solo per fare meglio i propri affari. In questo l’Italia è stata capofila consegnando all’Europa un modello, Silvio Berlusconi, che nell’Europa centro-orientale ha trovato numerosi epigoni: dal ceco Andrej Babis, al bosniaco Fahrudin Radoncic, al romeno Gigi Becali, al polacco Janusz Palikot, tutti imprenditori che hanno usato le loro ricchezze per vincere le elezioni occupando lo spazio libero, a destra o a sinistra che fosse.
Ma è presto per giudicare così severamente. Andrej Kiska, europeista convinto ma contrario all’unificazione fiscale, ha criticato la Russia per la sua aggressione in Ucraina e ha invocato un’atteggiamento “univoco e coordinato dell’UE” nei confronti di Mosca. Insomma, il “Mujica di Slovacchia” – come già lo chiamano i suoi sostenitori – promette di far parlare ancora di sé in futuro.