DA SARAJEVO – “Grazie mille per il sostegno e l’aiuto che avete dato al nostro paese e alla Federazione di calcio. Però domani vinciamo noi”. È il 5 novembre 1996. Il giorno dopo, allo stadio Koševo di Sarajevo, la Bosnia-Erzegovina sfiderà in una partita amichevole una delle grandi del calcio. L’Italia di Arrigo Sacchi, vice-campione mondiale. Quelle parole sono di Jusuf Pušina, allora presidente della Federcalcio bosniaca, rilasciate ai giornalisti italiani in conferenza stampa. Nessuno lo prende sul serio. La Stampa, molto delicatamente, parla già di “sconfitta annunciata”. “Vi auguro di diventare tanto bravi da poterci battere, ma per favore, non domani”, ironizza tronfio il presidente del Coni Pescante.
È appena la terza partita ufficiale per la nazionale bosniaca, ancora digiuna di gol. Debuttò nel novembre 1995, sconfitta 2-0 con l’Albania a Tirana. Si racconta che le divise per quella partita furono comprate poche ore prima del match in un negozio di articoli sportivi di Zagabria, dove si era raccolta la squadra imbastita alla chetichella dall’allora coach Fuad Muzurović: solo otto giocatori si presentarono alla prima chiamata. Poi, pochi mesi dopo, uno 0-0 sempre con gli albanesi. Il tasso tecnico dei bosniaci sembra modesto: i migliori giocatori del pre-guerra, già pilastri della nazionale jugoslava (come il leggendario bomber Pape Sušić, il portiere Omerović o il mediano Bazdarević) si sono già ritirati. Non sono ancora alla loro altezza i più giovani, tra cui spicca un 19enne dal futuro promettente di nome Hasan Salihamidžić (“Saali Aamiccits”,lo ribattezzerà il grande Bruno Pizzul) e l’altra punta Elvir Bolić. E l’allora capitano Muhamed Konjić, uno che trascorse i primi otto mesi della guerra, nel 1992, nelle file dell’Armija, l’esercito della Repubblica di Bosnia-Erzegovina che combatteva contro le milizie serbo-bosniache.
La sfida con l’Italia da sola vale già un trionfo, una festa per i 40.000 che assieperanno lo stadio di Koševo e per un paese che ha ben altro a cui pensare: ricostruire, rielaborare i traumi, creare un paese dalle macerie di un conflitto concluso pochi mesi prima. Eppure, sarà grande festa anche in campo. Dopo appena cinque minuti, è proprio quel 19enne “Saali Aamiccits” a segnare il primo, storico gol della storia della nazionale bosniaca. Dopo il momentaneo pareggio di Enrico Chiesa, è Elvir Bolić, magistralmente imbeccato da un lancio di capitan Konjić, a scartare una non impeccabile uscita di Toldo. Finisce 2-1, nel tripudio della bolgia di Koševo. Per l’Italia (malandata, nonostante la presenza di molti titolari), quel pomeriggio segnerà il capolinea dell’avventura di Sacchi in azzurro: troppo umiliante quella sconfitta inattesa, troppo ghiotta l’occasione di disfarsi dell’ Arrigo gia’ inviso a vertici e pubblico. E per la Bosnia-Erzegovina? È l’inizio di un viaggio che porta fino in Brasile, al tempio del Maracaná di Rio, dove diciotto anni dopo gli Zmajevi (i ‘dragoni’, come vengono soprannominati in patria) giocheranno il loro debutto al Mondiale contro l’Argentina di Messi.
Tra occasioni mancate e scioperi
I primi anni vedono gli Zmajevi ai margini del calcio europeo. Poche soddisfazioni, tante frustrazioni e una manciata di occasioni mancate. Il primo sussulto nel 2003: nelle qualificazioni per gli Europei in Portogallo la Bosnia-Erzegovina è nelle prime posizioni e si conquista un match-point all’ultima giornata, in casa, contro la Danimarca. Drammatico dentro-fuori a Koševo: se vince stacca il pass automatico per Euro 2004, se pareggia è eliminata. E finirà 1-1, che qualifica proprio la Danimarca poi protagonista del celeberrimo “biscotto” scandinavo. Le qualificazioni per il 2006 sono ricordate, oltre che per l’impresa sfiorata a Valencia con la Spagna (raggiunti sull’1-1 solo al 95’), per la prima sfida contro la Serbia dal dopoguerra, ad altissima tensione tra le tifoserie. A Belgrado, nella partita decisiva per la qualificazione, ci sarà un lancio di oggetti contro il settore dei tifosi bosniaci. Saranno proprio i serbi a vincere, conquistandosi il biglietto per la Germania.
Ma le sconfitte più brucianti arrivano fuori dagli stadi. Nell’ottobre 2006 tredici giocatori della nazionale, tutti i migliori di allora (due saranno in Brasile: capitan Spahić e il recordman di presenze Misimović) in una lettera aperta annunciano un clamoroso sciopero: non torneranno in campo finché non saranno azzerati i vertici della federazione calcistica, responsabili di mala gestione, di corruzione e dunque dei cattivi risultati della squadra. Circolano accuse pesantissime: i vertici manipolano le convocazioni e chiedono mazzette per giocare, promuovendo così giocatori mediocri in campo e spingendo i migliori ad andarsene. Il tutto secondo l’odiosa chiave etno-politica, proprio come la struttura politica del paese: la presidenza del calcio bosniaco è tri-partita (un serbo, un croato, un bosgnacco) così ciascuno si gestisce le proprie influenze nella propria comunità. Dopo i giocatori, si mobilitano anche i tifosi e persino l’ex-allenatore Kodro, che nel maggio 2007 organizzano insieme un’amichevole anti-corruzione lo stesso giorno in cui la nazionale “ufficiale” gioca una surreale amichevole contro l’Azerbaigian, che viene così disertata da pubblico e giocatori.
Sono gli anni più bui per gli Zmajevi, in quanto a risultati e a seguito popolare. La situazione porterà anni più tardi, nel 2011, addirittura al commissariamento obbligato da parte della FIFA, che sospende la Federcalcio bosniaca durante alcuni mesi per l’irregolarità della struttura tripartita. Sembra tutto perduto nel calcio bosniaco. Invece, come scrisse Loic Tregoures su Osservatorio Balcani, è proprio la sospensione a salvare la vita al calcio bosniaco. Il traghettatore scelto, il leggendario Ivica Osim (l’ultimo allenatore della nazionale jugoslava nel 1990-1992, sarajevese doc e figura esemplare, in campo e fuori) è la persona giusta al momento giusto. Rimette in ordine la federazione e sceglie le persone adatte, con pragmatismo e competenza. Ed è solo con il freno alla corruzione dei palazzi che “la generazione d’oro” può esplodere, conquistandosi la gloria sul campo.
L’era di Ćiro…
Qualunque cosa succeda nei prossimi anni, anche se la Bosnia arrivasse a vincere tre mondiali di fila, nessuno dei suoi tifosi dimenticherà la sera del 28 marzo 2009, quando la Bosnia-Erzegovina gioca a Genk, in Belgio. Un ventunenne alto e sbarbato segna uno splendido gol dopo pochi minuti, che spiana la strada a un clamoroso 4-2 per gli Zmajevi e lo erige ad eroe nazionale. Quel ragazzo si chiama Edin Džeko, e quella partita rimane impressa nell’immaginario collettivo come l’inizio di una nuova era. È ormai definitivamente sbocciata la “zlatna generacija”, la generazione d’oro di nati tra il 1984 e il 1990, in massima parte costretti a crescere fuori dal paese in guerra come Pjanić (bosniaco-lussemburghese), Ibišević (tedesco), Begović (canadese), Lulić (svizzero), Medunjanin (olandese). Due eccezioni sono quelle dello stesso Džeko, che ha vissuto l’intero assedio a Sarajevo, e Misimović che è figlio di gastarbeiter emigrati in Germania negli anni Ottanta. Alla guida della squadra c’è Miroslav “Ćiro” Blažević, famoso al mondo per il terzo posto con la Croazia a Francia ’98 e per quel cappello da gendarme che portava in panchina.
Con il suo stile esuberante e senza freni, Ćiro è un incredibile motivatore, capace di gestire i campioncini e di elevare comprimari a titolari. Esemplare è il caso del portiere di riserva Nemanja Supić, modesta carriera in squadre di bassa lega del campionato serbo. Quando il numero 1 titolare s’infortuna Ćiro va da Supić e gli dice: “Sei il miglior portiere del mondo”. “Mi prende in giro?” “No, lo penso davvero. Domani giocherai”. E’ la vigilia di Bosnia-Turchia, match chiave per le sorti del girone. Supić fa la partita della vita e gli Zmajevi vincono 2-1. Lo stadio di Zenica scandisce “Ćiro, Ćiro” e “Nemanja, Nemanja”. Un croato (Blažević) e un serbo (Supić) acclamati in una citta’ a grande maggioranza bosgnacca: un fatto straordinario, che Blažević ricorda ancora oggi come una delle soddisfazioni piu’ grandi della sua carriera. Tempo dopo Supić, che grazie a quella prova si e’ conquistato un alto ingaggio con una nuova squadra, dà una busta a Ćiro: “È grazie a lei se ho guadagnato questi soldi. Questo appartiene a lei”. E Ćiro: “Figlio mio, ma io ho molti più soldi di te, lascia stare!”. Non è corruzione ma un atto sincero, ricorda Blažević, ormai diventato un eroe popolare: “È il nuovo Tito”, scrive Oslobodjenje, storico quotidiano di Sarajevo. Che strano destino per Blažević, personaggio da sempre controcorrente e discusso (con un passato nelle file della destra nazionalista croata, amico intimo di Franjo Tudjman e ammiratore di Ahmadinejad), essere accomunato alla fratellanza ed unità di jugoslava memoria.
La nazionale sembra non avere più complessi, anche contro squadre più blasonate come Belgio e Turchia. Solo la Spagna è inarrivabile, e domina il girone (poi dominerà il mondo in Sudafrica). Gli Zmajevi raggiungono finalmente il secondo posto che vale gli spareggi, Nel paese scorre l’euforia per la squadra, un simbolo di riscatto e di valori positivi in mezzo alla paralisi e alla povertà alimentate dall’etno-politica. È vero, non c’è ovunque lo stesso entusiasmo: nelle zone croate dell’Erzegovina e nell’entità autonoma della Repubblica Srpska, c’è ancora freddezza (e un po’ c’è tutt’oggi) e si tifa verso Zagabria e verso Belgrado. Ma un passo alla volta. Anche stavolta, come quel pomeriggio di Koševo nel 1996, l’importante è esserci. Essere tra i migliori d’Europa, e giocarsi le proprie carte. Peccato che il sorteggio assegni il rivale più duro possibile, cioè il Portogallo, che passa con un doppio 1-0 (ma a Lisbona la Bosnia colpisce un palo e due traverse).
… e quella di Pape
La Bosnia-Erzegovina ci riprova per le qualificazioni a Euro 2012, con una “zlatna generacija” piu’ consolidata e affamata. Ćiro Blažević lascia la panchina, dopo alcuni screzi con il fantasista Misimović. Il suo portiere-pupillo Šupić esce di scena, sostituito da Asmir Begović, che promette un futuro tra i migliori numeri 1 d’Europa. E al posto di Ćiro arriva Safet “Pape” Sušić, leggenda del calcio jugoslavo negli anni Ottanta. Per certi versi agli antipodi come carattere: Ćiro vulcanico e impulsivo, Pape introverso e riflessivo. Dopo un inizio stentato in un girone difficile (Romania e Francia), Pape porta i suoi a un nuovo match-point. L’ultima gara e’ a Parigi contro la Francia. l’impresa è ardua ma, se riuscisse, varrebbe il pass diretto per gli Europei. Il sogno sembra a un passo dopo che Džeko segna l’ 1-0 con un delizioso tiro da fuori. “Occorre essere onesti, i francesi quella sera hanno preso una lezione di calcio, in campo e dalle tribune”, scriveva Loic Tregoures su Osservatorio Balcani. Ma a pochi minuti dalla fine, un rigore sospetto in favore dei francesi, e trasformato da Nasri, relega ancora una volta la Bosnia-Erzegovina agli spareggi. E ancora una volta la sorte regala il piu’ forte possibile che è, di nuovo, il Portogallo di Cristiano Ronaldo. Finisce 0-0 l’andata nel fortino del Bljino Polje di Zenica (da anni diventato lo stadio ufficiale della nazionale, preferito a Koševo per ragioni anzitutto scaramantiche: i numeri, d’altronde, parlano chiaro). Ma il ritorno a Lisbona si trasforma nel peggiore degli incubi, che lasciamo raccontare alle parole scritte allora dal nostro Gaetano Veninata:
“PORTOGALLO-BOSNIA ERZEGOVINA 6-2. È come quando andate al primo appuntamento, tutti eleganti, profumati, con i capelli stirati e scoprite che lei/lui vi ha dato buca. Non si è fatta/o vedere, a casa non risponde, sembra svanita/o nel nulla. Se siete tipi paranoici penserete di esservi inventati tutto, dalle prime parole scambiate nel parcheggio del liceo a quel “sì, vengo” quando le/gli avete chiesto di uscire. Ora, al di là delle parole “punteggio” e “tennistico” che troverete accoppiate copiosamente nei cosiddetti quotidiani italiani, la differenza vera – ieri sera a Lisbona – l’ha fatta proprio questo: la Bosnia ha dato buca, fino a prenderne 6. […] Troppo veloci i portoghesi, troppo immaturi i bosniaci: se anche l’inutile Hélder Postiga se ne esce con una doppietta, vuol dire che a Sarajevo hanno perso la verginità senza troppo amore. Andrà meglio, molto presto”.
E infatti è andata molto meglio, molto presto. Per le qualificazioni di Brasile 2014, dall’urna arriva un girone più abbordabile, dove Grecia e Slovacchia fanno molto meno paura degli avversari del passato. Il gruppo è definitivamente pronto, con un nucleo consolidato di giocatori titolari. In attacco il gioco aereo di Edin “Dijamant” Džeko e l’opportunismo di “Vedator” Ibišević; a meta’ campo, gli assists del “Piccolo Principe” Pijanić e di Miska Misimović (serbo-bosniaco che giocò con l’under-21 di Belgrado ma fu tagliato perché sovrappeso) i cross di Lulić, il tiro micidiale di Salihović, le coperture di Medjunanin; in difesa (il reparto più debole), la presenza del capitano Emir Spahić e l’energia di Vrsajević.
La Bosnia-Erzegovina dominerà il girone sin dagli esordi. La Grecia è surclassata con 3 gol nel primo tempo nel fortino di Zenica. E quando contro la Slovacchia gli Zmajevi sembrano andare in bambola e gettare al vento il primato, ecco che spuntano due ultimi arrivati del “Dijaspora team” a togliere le castagne dal fuoco: il ‘tedesco’ Ermin Bičakčić con un guizzo rapace su calcio d’angolo e lo ‘svizzero’ Izet Hajrović con un magnifico bolide da 25 metri. Da 1-0 a 1-2, è la remuntada di Žilina, città slovacca che diventa bosniaca per un giorno (in TV si sentono solo i tifosi degli Zmajevi, nettamente superiori rispetto ai locali). Stessa sorte tocchera’ alla lituana Vilnius, all’ultima partita dove serve vincere per qualificarsi. I tifosi bosniaci riempiono gli spalti, ma in campo la squadra soffre. A venti minuti dalla fine, il gol di Ibišević toglie di mezzo il “pullmann” della difesa lituana parcheggiato davanti alla porta. E’ fatta. 50.000 persone festeggiano in strada a Sarajevo, come mai negli ultimi 25 anni. Scrivemmo di quella sera:
“Per molti bosniaci, la nazionale è diventata un simbolo di riscatto, un’opportunità di vedere – almeno sportivamente – il proprio paese a pieno diritto in mezzo agli altri, non una periferia, non un semi-protettorato della comunità internazionale, non un semplice riflesso delle divisioni del presente o delle tragicità del passato. È anche per questo che la Bosnia-Erzegovina festeggia, anche se non ovunque con la stessa intensità. È bene ricordarlo, per evitare inutili sdolcini. Molti croati dell’Erzegovina sono per la Croazia, così come tanti serbi della Kraijna o della Bosnia orientale avevano la tv sintonizzata sulle “aquile” allenate da Siniša Mihajlović, alcuni sperando che nel girone F la spuntasse la Grecia […] Ovviamente, l’auspicio è che la festa non sia l’ennesimo pretesto per chiudere gli occhi di fronte alle divisioni e alle difficoltà del paese. E che i suoi cittadini si godano, sia anche solo questa notte, la festa di essere bosniaci”.
Verso il Maracaná
Nonostante il lieto fine, l’avvicinamento al Brasile non è stato dei più sereni. In primavera, la rovinosa sconfitta in amichevole contro l’Egitto aveva lasciato segnali inquietanti a livello tecnico, nonché di spogliatoio (si parlò di divisioni profonde nella squadra) e persino di rapporto col pubblico. Durante la partita i tifosi contestarono vivacemente Džeko, accusato di scarso impegno. La stampa e i forum si riempirono di commenti al vetriolo contro i giocatori e anche contro Pape Sušić, criticato per alcune scelte tecniche: in particolare, quella di includere in squadra il nipote Sven Tino Sušić, da alcuni considerato non all’altezza. Tuttavia, a pochi giorni dal debutto con l’Argentina, le tensioni sembrano essersi ricomposte. Le due vittorie nelle amichevoli contro Costa d’Avorio e Messico hanno ridato fiducia all’ambiente e al pubblico.
Per capire l’atmosfera che circonda il mondiale in Bosnia, basta vedere la passione per l’album delle figurine Panini, che negli ultimi mesi ha contagiato le città. Tutti i giorni, davanti al principale centro commerciale di Sarajevo, centinaia di persone si incontrano per scambiare le doppie (ma come abbiamo avuto modo di osservare, nessuno è disposto a privarsi degli Zmajevi, anche se tripli o quadrupli). L’album c’era anche nelle edizioni precedenti, ma è ovvio che questo è un po’ più Mondiale degli altri. Non mancano, ovviamente, altri segnali meno poetici. La capitale è piena di offerte di viaggi-premio in Brasile, di pubblicità legate ai grandi sponsor del Mondiale e di altri inviti al consumismo, come in qualunque altra città europea a ridosso del grande evento.
Ma queste contraddizioni non sminuiscono l’affetto che circonda la nazionale, né il desiderio di prendersi una riscossa dopo venticinque anni di tragedie e traumi, peraltro riesplosi nelle ultime settimane, con l’alluvione che ha messo in ginocchio buona parte del paese. È per questo che molti non vedono l’ora di godersi il momento in cui gli Zmajevi sfideranno, alla pari, i grandi del mondo; e di celebrarlo insieme alla raja, la propria compagnia, sia essa il nucleo ristretto di parenti e amici, la folla davanti al maxischermo del BBI Centar o le famiglie della dijaspora sparpagliate per tutta Europa. Da quel lontano pomeriggio di Koševo all’imminente notte del Maracaná, la festa di essere bosniaci continua. Anzi, speriamo che sia solo l’inizio.
Photo credit: RadioSarajevo.ba
Conosco la Bosnia Erzegovina benissimo, avendoci trascorso molto tempo ed avendola vissuta con tutto me stesso. Adoro quel Paese, sono contentissimo che questa squadra sia ai mondiali di calcio e, insieme alla mia Italia, farò il tifo per la nazionale bosniaco/erzegovese. Con l’auspicio di tornarvi quanto prima, mi auguro che possano innescarsi processi virtuosi in un Paese tanto complesso e difficile. Vi auguro il meglio, amici di Bosnia Erzegovina, vi sono sempre vicino e non solo in occasione dei mondiali di calcio! Un abbraccio dalla Puglia!
Francesco
Ciao, sono Marcello di Balkania e avrei urgenza di comunicare con l’autore dell’articolo pechè cerco un commento sulle squadre dell’est europeo presenti al prossimo mondiale e una riflessione sul calcio dell’est in generale. Il tutto possibilmente entro le 16.00 di mercoledì 11 giugno. Grazie, a presto.