Nell’immediato dopoguerra, tra il 1946 e il 1947, Boleslaw Bierut, il primo presidente della Repubblica Popolare di Polonia, ricevette da Stalin una di quelle proposte che non si possono rifiutare: il dittatore sovietico aveva deciso di costruire in un luogo della Polonia meridionale un complesso siderurgico che favorisse la ricostruzione dei tanti edifici distrutti durante la seconda guerra mondiale.
Fu così che, nei primi anni ‘50, in un luogo ideale per la massiccia presenza di potenziali lavoratori che avrebbero potuto costruire la nuova città e lavorare nelle acciaierie, per la vicinanza di numerose fonti d’acqua e del fiume Vistola, sorse, a soli nove chilometri dal centro di Cracovia, Nowa Huta.
Nowa Huta (Nuova Acciaieria) non fu pensata come un quartiere periferico della città ma come un qualcosa di autonomo e separato, un vero e proprio modello di città ideale socialista.
Gli storici sono concordi nell’affermare che Nowa Huta sia nata anche per lanciare una sorta di sfida ai cattolicissimi e borghesi abitanti di Cracovia: Nowa Huta doveva essere una sorta di castigo per tutti coloro che durante le elezioni del 1947 si erano opposti al regime comunista. Gli ideali conservatori e clericali degli abitanti della ex capitale della Polonia sarebbero stati spazzati via da quelli della classe operaia, per la quale la città era stata creata, diffondendo l’ideologia sovietica a sostegno del regime comunista polacco.
Gli edifici furono costruiti, ovviamente in stile socialista, per i lavoratori del grande complesso industriale, che avrebbero lavorato qui in nome di Lenin. L’obbiettivo era quello di creare un nuovo modello di persona, un uomo nuovo, che rigettava le comuni tradizioni borghesi e religiose, ispirandosi alle personalità e agli ideali di Lenin e di Stalin.
Nowa Huta, pur trovandosi in un territorio con una forte tradizione religiosa e una diocesi importante risalente al XIII secolo, doveva essere una città senza religione e senza dio, priva di chiese. E così fu nei primi anni della sua esistenza.
Dopo la morte di Stalin nel 1953 e l’inizio della “destalinizzazione”, in Polonia arrivò al potere, nel 1957,come segretario del partito comunista, Wladyslaw Gomulka, un uomo che doveva apparire non compromesso dal sistema stalinista e dai metodi sovietici.
Con Gomulka le corde del sistema comunista si allentarono ed ebbe inizio il cosiddetto “disgelo polacco”: vi furono leggere aperture, la censura si alleggerì rispetto a quella degli altri paesi del blocco sovietico; venne concesso, seppur con molte limitazioni, il permesso di andare all’estero; nacque addirittura in quegli anni, una prima rivista “liberale”.
In questo contesto gli abitanti di Nowa Huta, per tradizione profondamente religiosi, appoggiati dalla chiesa e dal cardinale dell’epoca, chiesero ed ottennero il permesso per costruire una chiesa.
I cittadini crearono un comitato per la raccolta dei fondi dato che il regime concedeva sì finanziamenti per la costruzione di edifici pubblici, ma non certo per una chiesa.
Laddove sarebbe dovuta sorgere in futuro la chiesa, fu issata una croce.
Quando nel 1960 il regime, non rispettando la parola data, mutò idea e cercò di interrompere i lavori di scavo delle fondamenta della parrocchia, inviando uomini incaricati di rimuovere la croce, una folla enorme, composta da uomini e donne, insorse a difesa del simbolo religioso e del diritto a costruire la loro chiesa.
Nei duri scontri che seguirono vi furono alcuni morti, feriti e numerosi arresti.
Da quel momento tutti i cattolici e i credenti di Nowa Huta combatterono strenuamente per anni per avere la loro chiesa. Karol Wojtyla, allora arcivescovo di Cracovia, diede loro un grande appoggio.
Nel 1967 il permesso di costruire fu finalmente concesso dal regime e dopo dieci anni di lavori, il sorgere della chiesa di Arka Pana decretò una significativa vittoria del popolo sul regime comunista polacco.
Oggi Nowa Huta è un distretto-quartiere della città di Cracovia.
Seppur in un quadro storico-politico assolutamente diverso, camminando nelle piazze e nelle vie di Nowa Huta si prova davvero la sensazione di fare un tuffo nel passato.
Una breve corsa in tram dal centro storico della splendida Cracovia, e ci si ritrova come d’incanto catapultati a rivivere atmosfere evocanti quelle precedenti la caduta della cortina di ferro: pianta urbanistica, architettura ed edifici in stile socialista; viali ampi e spaziosi; tram degli anni ’60 e ’70 ancora in circolazione, perfettamente funzionanti; i caratteristici bar Mlezcnzy, le “latterie”, tipiche trattorie economiche esistenti ai tempi del socialismo, aperte solo nelle ore diurne e in cui non si servono alcolici.
Aleja Solidarnosci, con la sua rete tramviaria inaugurata nel 1952 per portare gli operai al lavoro, è la grande arteria che connette la città con l’enorme complesso delle acciaierie, al cui ingresso si staglia maestosa l’insegna a caratteri cubitali bianchi “HUTA im. T. SENDZIMIRA”.
L’enorme statua di Lenin, una volta al centro di una piazzetta all’inizio di Aleja Roz (il viale delle rose) è stata abbattuta nel 1989. Oggi ne rimane il solo piedistallo, a testimonianza dei tempi che furono.
Plaz Centralny, la maestosa piazza principale di Nowa Huta, magnifico esempio di architettura dell’epoca, una volta denominata “Piazza Josif Stalin”, ha oggi paradossalmente e beffardamente preso il nome di “ Piazza Ronald Reagan”, in onore dell’ex presidente americano che tanto ha combattuto il comunismo.
Il corso della storia si è rivoltato contro gli ideatori dell’utopia di Nowa Huta: proprio qui, nella città ideale socialista, costruita per diffonderne e glorificarne gli ideali, ebbero luogo rivolte storiche e significative che dapprima incrinarono il regime comunista polacco, come la rivolta, la lotta e la vittoria del popolo per la costruzione della chiesa di Arka Pana, e poi, grazie al mutamento del quadro storico dovuto alla perestrojka e al collasso del regime sovietico, contribuirono ad abbatterlo. Assieme agli ex cantieri navali Lenin di Danzica, dove nacque il movimento di Solidarnosc, sono state proprio le acciaierie di Nowa Huta l’epicentro degli scioperi e dei cruenti scontri degli anni ’80 che portarono alla definitiva caduta del regime comunista in Polonia, guidato dal Generale Jaruzelski.
Il 26 maggio 2014 mi persi, in compagnia di un amico appassionato di storia come me, nelle atmosfere d’altri tempi delle vie di Nowa Huta.
La prima pagina di un giornale, esposto fuori da un’edicola, attirò la nostra attenzione: “ E’ morto il Generale Jaruzelski!, recitava il titolo del quotidiano ”.
Scoprimmo così che la nostra insignificante storia di viaggiatori curiosi e il nostro emozionante balzo nel passato si confondeva, per pura coincidenza, con la Grande Storia.
Benvenuti a Nowa Huta, per vivere le atmosfere della città ideale socialista… qui il reportage fotografico
Articolo e servizio fotografico veramente belli.
Sarebbe interessante sapere come L’UNITA’, all’epoca ‘Giornale di Gramsci’, raccontò gli avvenimenti.
Ma per quanto tempo bisognerà leggere commenti come quello qui sopra riportato? Qui oramai siamo ad un’ossessione patologica, e per altro selettiva. Quante cose si potrebbero dire, invece, di altri giornali per 20 ligi al regime dell’uomo di Predappio e poi riscopertisi antifascisti… bah! Un articolo informativo del genere meriterebbe ben altra attenzione che non l’astioso e anacronistico commento del sig. Bonaiti.