MONTENEGRO: Milo Djukanovic si è dimesso. La fine di un'era?

di Matteo Zola

Milo Djukanovic, il primo ministro del Montenegro, padre e padrone di Crna Gora, si è dimesso. I giornali già titolano che “finisce un’era” dopo vent’anni di regime incontrastato. Milo Djukanovic è forse il politico più corrotto d’Europa, anche se a molti italiani non sembrerà possibile. E non è verosimile che si consegni alla giustizia con i polsi tesi. Il ministro delle Finanze, Igor Luksic, dovrebbe essere il suo successore, “ma sarà il partito a prendere la decisione finale”, ha detto Djukanovic. Partito del quale, assicura, resterà alla guida. L’era Djukanovic è lungi dall’esser finita.

Durante le guerre jugoslave, Djukanovic guadagnò un credito con l’Occidente, dando rifugio agli oppositori di Milosevic e appoggiando gli atlantici nella loro guerra contro Belgrado, aprendo infine il mercato (piccolo, in verità) del Paese all’economia di mercato e agli investimenti esteri. Il credito accumulato da Milo sembra essersi però esaurito.

I suoi rapporti con Darko Saric, super boss del narcotraffico balcanico, con la Camorra e la Sacra corona unita – con cui avrebbe fatto affari trafficando sigarette, specie durante le guerre jugoslave, facendo del Montenegro una piattaforma logistica privilegiata per i traffici illeciti nell’Adriatico – hanno stancato i suoi alleati. I rapporti tra Djukanovic e il boss Saric non sarebbero mai state un segreto per il Dipartimento di Stato americano, e agli Stati Uniti non sarebbe andata  giù l’alleanza tra Saric e le Farc colombiane. Da qualche anno l’amministrazione americana, impegnata nella lotta al narcotraffico nei Balcani, fa pressione su Djukanovic affinché si faccia da parte. Più timidamente anche l’Unione Europea ha chiesto a Milo di lasciare le redini del potere in cambio dello status di Paese candidato all’adesione.  Per le sue “relazioni pericolose”, Djukanovic è stato indagato dalla Procura di Napoli e da quella di Bari con l’accusa di contrabbando internazionale. L’immunità politica però lo ha salvato. Ed è difficile pensare che oggi, dimissionario, Djukanovic si consegni alla giustizia dopo aver cercato di sfuggirle in ogni modo.

Un vero rinnovamento democratico in Montenegro non sarà possibile finché lui sarà protagonista della vita politica: con lui vengono corruttele, clientelismo, collusioni con la mafia, affari sporchi. Djukanovic  controlla la Banca Prva, la Banca Hypo Alpe Adria, il porto di Risan, il quotidiano Pobjeda, il comune di Kotor. I facili entusiasmi per le sue dimissioni sembrano davvero fuori luogo.

L’ultimo capolavoro politico di Djukanovic, prima di queste dimissioni, è stato l’elettrodotto Villanova-Tivat. Un’opera figlia degli accordi che l’Italia avviò nel 2007 e che nel giugno 2009 culminarono con la visita in pompa magna del nostro premier, Silvio Berlusconi, con al seguito una folta schiera di imprenditori. Circa una sessantina tra cui A2A, Enel, Terna, Banca Intesa, Ferrovie dello Stato, Edison, Valtur, Todini. Una visita che sancì l’alleanza tra Berlusconi e Djukanovic, e che portò alla privatizzazione delle aziende pubbliche montenegrine, acquistate con soldi pubblici italiani, versati alla banca personale di Djukanovic, da parte di aziende private italiane.

Da quel pasticciaccio brutto uscì anche l’elettrodotto, ora al vaglio del pubblico ministero Gennaro Varone, della Procura di Pescara, che ha aperto un’inchiesta per vederci chiaro sul mega affare del cavo che porterà energia elettrica dal Montenegro in Italia. Ma questa è un’altra storia che non mancheremo di raccontarvi.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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