Nel suo Guerra e mutamento nella politica internazionale (1984), Robert Gilpin tracciava una tipologia delle grandi potenze, dividendole in quattro tipi: in decino o in ascesa, revisioniste o sostenitrici dello status quo. La Russia del terzo mandato presidenziale di Putin rientra nella prima categoria in entrambi i casi: una potenza in declino e proprio per questo revisionista, convinta a fare tutto il possibile per restaurare la propria immagine di grande potenza persa negli anni ’90, ma condannata a non riuscirci per mancanza dei fondamentali economici, demografici e istituzionali nonostante i recenti progressi. Tra i quattro paesi dei BRIC, la Russia è ancora l’intruso: un paese che da grande potenza industriale e militare qual era ai tempi del’URSS è oggi declinato ad esportatore di materie prime.
E proprio per questo obiettivo di fondo di restaurazione di potenza regionale, la Russia di Putin ha seguito negli ultimi 15 anni una strategia incoerente e opportunistica, volta a sfruttare i punti deboli del momento di Europa e Stati Uniti per un proprio guadagno relativo, piuttosto che a coltivare una propria identità internazionale ontologicamente coerente, come ha fatto invece la Cina, potenza in crescita e sostenitrice dello status quo. Pechino afferma costantemente da quasi settant’anni il principio della non-ingerenza negli affari interni e non sembra particolarmente preoccupata dalla recente democratizzazione di suoi ex stati clienti come la Birmania dei generali. Non così la Russia.
Così, se nel 1999 Clinton e Blair decidevano per il bombardamento della Serbia di Milosevic senza l’assenso del Consiglio di Sicurezza ONU, la Russia prendeva negli anni successivi la parte dell’avvocato del diritto internazionale, della non ingerenza e del divieto dell’uso della forza; se nel 2001 G.W. Bush lanciava la sua “guerra al terrore”, Putin ne approfittava per riverniciare di legittimità anti-terrorista la sua repressione militare dei separatisti in Cecenia; per arrivare infine oggi a ribaltare tutta la dottrina giuridica e retorico-diplomatica russa, cavalcando un revisionismo etnonazionalista di tipo miloseviciano all’esterno, pretendendo la federalizzazione dell’Ucraina come premio di un’aggressione e annessione, mentre all’interno dei confini della madrepatria russa ogni vagito di decentralizzazione è soppresso in nome della verticalizzazione del potere.
Con le sue azioni, Putin ha dimostrato di sapere agire in maniera rapida e flessible, senza una grande piano ma in base alle opportunità offerte dal momento, trasgredendo tanto il diritto internazionale quanto quello interno (l’annessione della Crimea era illegale anche secondo la Costituzione russa). D’altronde, non avendo un parlamento o una cittadinanza a cui rendere conto in maniera democratica, non ha bisogno di altro che di proiettare l’immagine del “grande leader” come fu ai tempi sovietici, per vedere il proprio indice di gradimento salire oltre l’80%, cosa che il presidente degli Stati Uniti, incalzato dall’opposizione del Congresso, o i ministri degli esteri dell’UE, costretti a cercare una posizione unanime, non possono fare.
La Russia sabota la democratizzazione nello spazio post-sovietico
Come spiega Nelli Babayan, nella sua azione nei paesi dell'”estero vicino” (quella fascia territoriale tra Russia e UE che Mosca non s’è ancora rassegnata a considerare come definitivamente indipendenti nonostante i vent’anni passati dalla dissoluzione dell’URSS) la Russia non intende promuovere un particolare tipo di regime, democratico o autocratico. Piuttosto, si interessa solo a che i paesi satelliti obbediscano e si conformino ai suoi interessi. La de-democratizzazione che ne consegue, come in Ucraina o in Armenia, non è che un sottoprodotto del tentativo russo di riacquisire uno status di potenza mondiale ormai perduto.
Il ruolo da spoiler, sabotatore, della Russia putiniana nei confronti della democratizzazione dei paesi vicini è dovuto, secondo Kataryna Wolczuk dell’università di Birmingham, tanto alla paura di un contagio democratico, che dà luogo ad una sempre più forte repressione domestica del dissenso, quanto alla paura di perdere il controllo sui paesi considerati parte della sua sfera d’influenza quando questi dovessero decidere autonomamente e democraticamente la propria politica estera.
Per prevenire la democratizzazione, spiega Wolczuk, la Russia utilizza strumenti di diverso tipo, dalla propria influenza commerciale o energetica, alla manipolazione di minoranze e territori separatisti, fino allo strumento dell’intervento militare. Nei casi più evidenti, come in Georgia e in Ucraina, la Russia è arrivata attraverso l’occupazione armata a minarne la statualità (statehood) considerata sin dalle ricerche di Linz e Stepan (1996) e Fukuyama (2005) come un prerequisito fondamentale per lo stabilimento di un regime democratico, in mancanza del quale la priorità principale diventa quella della sicurezza e della stabilità anziché la liberalizzazione politica.
Ma le azioni della Russia, continua Wolczuk, rischiano di essere controproducenti e di costituire un’involontario vettore di democratizzazione, spingendo i paesi che ne sono vittima sempre di più verso Unione europea e Stati Uniti. Così in Georgia, dopo il conflitto del 2008, l’opposizione al regime di Saakashvili è cresciuta, e la mancanza di una sponda alternativa ha spinto il governo ad approvare gli emendamenti costituzionali che hanno permesso la prima alternanza pacifica al potere in Georgia. Ugualmente, in Ucraina, le guerre commerciali della Russia contro i prodotti ucraini hanno spinto l’amministrazione Yanukovich a finalizzare l’accordo di associazione e libero scambio con l’UE, e la successiva aggressione ha obbligato il nuovo governo di Kiev a puntare tutto sulle relazioni con UE e USA.
La defezione definitiva di Kiev dai progetti d’integrazione regionale promossi da Mosca, dalla CIS all’Unione doganale euroasiatica, mette in discussione il carattere e il senso di questi ultimi. Anche i suoi alleati più stretti, il dittatore bielorusso Lukashenko e quello kazako Nazarbayev, si sono ben guardati dal sostenere apertamente la destabilizzazione portata dalla Russia putiniana in Ucraina, per timore di esserne le prossime vittime. Con le sue azioni in Crimea e nell’est dell’Ucraina, Putin potrebbe aver vinto una battaglia ma perso la guerra per la restaurazione del potere imperiale russo nel suo vicinato.
@davidedenti
Foto: Arjen Stilklik, Flickr
Una notazione sulle percentuali etniche riportate nelle cartine. Mia moglie è di Minsk, città dove spendo più di qualche mese l’anno. La percentale del 27%dei russi di Minsk e dintorni mi sembra macros copicamente errata. A minsk il 90% della popolazione parla russo a casa ed il bielorusso lo capisce solo perchè è insegnato a scuola.
L’ignoranza del sig.davide denti maestro di quest’articolo e molto evidente,
l’articolo è molto scadente ed impreciso,non sono sicuro del resto ma essendo io originario della croazia
posso permettermi di dire con certezza che la guerra dell’ex-jugoslavia inizziò nel 1991 e finì nel 1995 per cui,
non sò cosa avessero bombardato Clinton e Blair nel 1999 ma non era di certo la Serbia sconfitta tra l’altro esclusivamente dai croati grazie all’operazione TEMPESTA “Oluja” inizziata nella primavera del1995 e finita in poco più di 1 mese.
L’ignoranza non è una scusa.;-)
ha presente quella città che si chiama Belgrado? Sta in Serbia, dovrebbe sapere dove si trova la Serbia. Ebbene nel 1999 è stata bombardata dalla Nato in quella che è stata la guerra del Kosovo. Ha presente il Kosovo? E’ un po’ più giù di Belgrado, non è difficile. Ebbene, quella guerra – insieme a quella della Serbia contro la Slovenia, della Serbia contro la Croazia, della Serbia e della Croazia contro la Bosnia, e della breve guerra civile macedone, sono definite da qualsiasi manuale di storia per bambini “guerre jugoslave” o “guerre balcaniche”, legate alla dissoluzione della Jugoslavia.
Le guerre jugoslave non finirono nel 1995.
Non so lei in Croazia se riceve solo il bollettino dei francescani, ma le assicuro che l’ignoranza non è nell’articolo. Altrove, forse sì
Ma avete detto un sacco di bugie…. dove sono le fonti…
Questo sito e’ rinomato per dire un sacco di fregnacce… non e’ la prima volta che qui leggo cose assurdissime… forse chi scrive e’ un incompetente?. A voi opinionare
a me le fregnacce di questo sito piacciono un mucchio, sarà che chi le scrive si firma e ha un curriculum pubblico da leggere. Lei invece usa uno pseudonimo. Le sue credenziali quali sarebbero?
Questo non è giusto dirlo, perché è uno dei pochi siti che permette davvero la pluralità di opinioni,sia per quanto riguarda gli articoli che gli interventi e non censura i commenti,nei limiti della critica anche feroce. Altri, invece, non pubblicano nemmeno i commenti che differiscono dall’articolo.
Non so se ridere o rimanere costernati di tali “analisi”, per di più con parvenza approfondita. Io direi più sul patetico: già il titolo, che definisce la Russia “potenza revisionista in declino” ti fa solo fare un sorriso di commiserazione per questi individui che non accettano che sono loro, più che in declino, ad essere finiti, così come il dorato mondo dei loro padroni (internazionali) e padroncini (nazionali). Ovviamente, tutto condito da parole d’ordine sacrali quali: “revisionista”, “democratizzazione” (ovviamente la loro, quella imposta con i rovesciamenti dei governi e, quando non basta, con le bombe) ripetute come mantra da tutti loro in maniera perfetta. Leggere poi, che i motivi del declino sarebbero “per mancanza dei fondamentali economici, demografici e istituzionali”. Questi signori, poi, che parlano di diritto internazionale (mi verrebbe da chiedere dove e cosa hanno studiato del c.d. diritto internazionale) lo fanno, ovviamente, a senso unico: gli unici cattivoni sono i Russi. Tutte le gravi violazioni perpetrate da anni dai loro padroni, a finire, quella gravissima, dell’Ucraina, quelle vanno bene! A cominciare dalla rottura dell’unico principio fino ad allora ritenuto veramente cogente dal diritto internazionale, ovvero il diveito dell’uso della forza aggressiva, violato alla fine degli anni ’90 dagli anglo-americani con l’Irak (per poi proseguire con la Serbia). Se questa gente , invece di nutrirsi del cattivo verbo dei loro padroni, avesse studiato la storia, avrebbe saputo che la fine di tutti gli imperi o supposti tali, è avvenuta, nel corso della storia, proprio con l’attacco alla Russia, popolo unito e non incline al compromesso, che non conosce la parola”ricatto” e soprattutto, in linea di massima, con una forte identità e cultura. I debosciati servi filo-occidentali (di QUESTO ATTUALE occidente, intendo), che vedono l’unico ideale nell’amore per la carta straccia, queste cose non saranno (vorranno) mai in grado di capirle. Certo, non bisogna peccare di ingenuità opposta: chi crede nei paradisi terrestri è un folle! Dire che in Russia vada tutto bene, non ci siano criticità o non ci siano dinamiche perverse sarebbe, per lo meno, sciocco. Lo spazio per un commento permette solo di fornire qualche spunto ma impedisce, ahimé, di fare un’analisi approfondita. Un’ultima cosa vorrei dire a queste persone: sempre più gente si sta accorgendo dei vostri inganni, di cosa nascondete dietro le roboanti parole con le quali amate riempirvi la bocca (democratizzazione, progresso, e compagnia bella), quali sono i veri motivi che spingono realtà quali la cosidetta Unione Europea (che ha usato e sta usando i più sacri principi dell’essere umano per ben altri fini) e sempre più persone stanno, altresì, prendendo coscienza, del vostro capovolgere la realtà oramai in maniera così ridicola e buffa ( lo Stato russo, da aggredita, è diventato aggressore!); e soprattutto, sempre più persone sono spinte alla disperazione, alla fame e alla MORTE dalla vostra “democrazia”: state tranquilli,ve lo ripeto, mettetevi l’anima in pace: siete alla fine, non la spunterete mai perché ci sarà sempre chi vi potrà fare resistenza!
Ciao Davide. Provo a ribaltare la frittata. Siamo davvero sicuri che la Russia di Putin rientri nella categoria delle potenze in declino e revisioniste? Cioè, Waltz potrebbe rispondere, e lo aveva fatto, se non sbaglio, in una delle sue ultime interviste, che gli Stati Uniti per più di un decennio hanno rappresentato la potenza revisionista (sfruttando il momento unipolare che ha seguito il crollo dell’URSS). Potendo agire senza restrizioni (guerra del golfo, Yugoslavia, Afghanistan e Iraq) Washington ha modellato, o almeno tentato di farlo, l’ordine mondiale secondo i propri interessi. L’allargamento della NATO ne è un perfetto esempio, e perche non parlare anche del Kosovo. La Cina e lentamente anche la Russia (dopo un decennio, quello dei ’90, in cui la sua implosione sembrava quasi inevitabile) in questo quadro potrebbero essere considerate come potenze in ascesa (seppur a velocità differenti), che come tali cercano di preservare lo status quo facendo un’azione di bilanciamento nei confronti degli Stati Uniti (e gli accordi recentemente firmati tra Pechino e Mosca potrebbero esserne una riprova). Certo la Russia è debole e deve combattere con una serie di strozzature interne, e gli strumenti che ha per promuovere i propri interessi (e per affermare il proprio ruolo in politica internazionale) sono variabili e discutibili. Non riesco a vedere Mosca come potenza revisionista (e tanto meno imperialista) e credo che la Crimea sia una risposta, anche emotiva sotto alcuni punti di vista (Waltz si ribalterà nella tomba), a quello che Putin ha più volte definito come il “completo disinteresse dell’occidente nei confronti degli interessi strategici russi nel suo near abroad”. Da un punto di vista morale gli interessi di Mosca si possono accettare o meno, ma applicare questi principi morali all’analisi di politica internazionale rende quest’ultima in un modo o nell’altro viziata.
Articolo ben scritto, il cui merito consiste essenzialmente nell’aver “linkato” l’analisi di mark Adomanis, utile a dissipare un pò di quelle sesquipedali sciocchezze che circolano quando si parla di Russia.
Il fatto che vi attiriate le ire dei rossobruni eurasiatici indica di per sé che fate un ottimo lavoro, avanti così!
E cosa mi dici dei rossobruni seguaci di Bandera?
ti dirà che sono quattro gatti, che alle elezioni hanno preso (parlo di Pravy sector) appena l’1% dei voti. Che non sono più pericolosi di Jobbik, della Lega Nord, del Front National, del Pvv olandese o del FPO austriaco, e che malgrado questi ultimi siano di gran lunga più “fascisti” non mi pare che Putin sia disposto a difenderci da loro. Anzi, mi pare sia in ottimi rapporti con loro: https://www.eastjournal.net/disordini-nellucraina-orientale-mentre-mosca-invita-i-fascisti-europei-in-crimea/40488
E’ora di piantarla con questa scempiaggine dei fascisti di Kiev, tutta retorica cui abboccare. Hanno certo troppa influenza, e hanno preso il controllo della protesta a un certo punto, ma non c’è bisogno di Putin per salvarci da loro.
Come si dialoga con una Superpotenza?
Molta della difficoltà che decisori politici e analisti occidentali trovano nel relazionarsi e interpretare la Russia, deriva dall’aver lasciato per lo più inevasa questa domanda. Il fatto è che gli americani, il cui senso di profondità storica si basa sulle produzioni Hollywoodiane, credono davvero di aver vinto la Guerra Fredda (il che è vero, ma attenzione: per il senso, tutto ideologico, che gli americani avevano dato a quel confronto), per cui trovano insopportabile che Mosca, semplicemente non si adegui al “Washington Consensus”. Purtoppo, l’idea di essere usciti sconfitti dal confronto bipolare, non passa nemmeno nell’anticamera del cervello dei russi. Perchè essi non si identificano con l’ideologia sovietica, ma con uno Stato che vanta qualche secolo di onorato servizio quale Impero. Il rapporto le due massime potenze del Novecento ( Già si odono i primi vagiti del Secolo Cinese), si basa dunque su un equivoco, come in un dialogo tra sordi. Questo il motivo per cui gli americani si sono fatti prendere in contropiede da una contro-mossa in altri tempi ovvia e prevedibilissima come l’occupazione e l’annessione della Crimea. A Washington hanno evidentemente perso la bussola. L’unico rimasto a capirci qualcosa da quelle parti è il vecchio Kissinger, proprio perchè rimasto con la categoria concettuale dell’equilibrio così tipica della Guerra fredda.
In questi giorni si commemora l’inizio della prima guerra mondiale, una immane carneficina scaturita da tutta una serie di ineluttabili eventi innescati da un malinteso…per cui non sarebbe male che chi di dovere studiasse e rispondesse alla domanda: come si dialoga con una Superpotenza?
Questo rischia di essere più il riassunto di articoli di teologi che di analisti politici. Temo che la fama di sito zeppo di fregnacce cominci ad avere una sua motivazione. Qui in declino c’è solo la capacità di comprendere, giuste o sbagliate che siano, le ragioni e le motivazioni che spingono all’azione gli “altri”. Queste sono prediche buone per qualche chiesa, non elaborazioni politologiche.