Il neo eletto premier della Serbia, Aleksandar Vučić, ha avuto nel primo giorno d’attività del suo governo una visita molto importante, quella di Catherine Ashton, Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione Europea. L’incontro tenutosi lunedi 28 aprile è ciò che meglio rappresenta l’apprezzamento di Bruxelles per il neo premier. Vucic si è meritato le attenzioni dell’UE già nell’aprile 2013, quando da vice presidente del consiglio, fu uno degli attori principali nella firma degli accordi di Bruxelles, l’atto che ha dato un quadro formale ai rapporti tra Serbia e Kosovo.
La visita dal valore simbolico della Ashton a Belgrado, ha voluto riconfermare quella che è la priorità del nuovo governo in politica estera: l’ingresso in Unione Europea. Tuttavia l’ambito in cui Vucic avrà più da lavorare, è quello dell’economia e della situazione finanziaria in Serbia.
La Serbia è uno dei pochi paesi dell’ex Jugoslavia che ha potuto, già nel maggio dell’anno scorso, annunciare l’uscita dalla recessione economica. La spinta all’economia locale deriva principalmente dagli introiti delle numerose aziende a bandiera straniera che spingono le esportazioni serbe. A tale proposito il dato più significativo riguarda la società italo-serba Fiat Automobili Srbija (FAS) che già nell’ultimo trimestre del 2013 era valsa alla Serbia un aumento del 26,7% delle esportazioni rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
La Serbia gode inoltre di importanti accordi di libero scambio – in primis quelli con Russia, Stati Uniti e Turchia – che permettono ai prodotti al 51% “made in Serbia” di attraversare i confini senza dazi doganali, cosi come permettono alle materie prime di entrare in Serbia ad un regime fiscale/doganale agevolato. La Serbia detiene inoltre il primato in fatto di investimenti esteri, che in base alle analisi della Commissione UE nel 2013 ammontavano a 770 milioni di euro: 75% dei quali sono investimenti provenienti da paesi membri dell’UE stessa. Oltre a questi vantaggi ve ne sono di molti altri: il regime fiscale più competitivo della regione; tredici zone franche (come nelle città di Kragujevac, Apatin e Vranje) in cui la produzione non viene appesantita dall’IVA; esenzioni d’imposta sugli utili aziendali; un prezzo dell’energia in media tra il 20 e il 30% inferiore al mercato europeo; ed una forza lavoro qualificata a costi ridotti.
Nonostante dunque bastino pochi dati a raffigurare la Serbia come “l’eldorado d’europa”, il quadro è in realtà ben più ampio e spiega il perchè Vucic abbia vinto le elezioni oltre che con una campagna durissima alla corruzione, principalmente grazie alla parola “riforme“.
A guardarla bene però, la situazione economico-finanziaria della Serbia si trova in uno dei momenti di maggiore instabilità degli ultimi 10 anni, al punto che a Belgrado si parla sempre più spesso di “spettro greco sulla Serbia” e il direttore dell’ufficio della Banca Mondiale in Serbia, Tony Verheijen, definisce la situazione del paese “critica, ma risolvibile”. Le riforme invocate da Vucic si possono a grandi linee raggruppare in due categorie: quelle di natura fiscale che mirano a sanare il debito pubblico, e quelle che mirano al rafforzamento del settore privato.
In base a quanto annunciato a fine marzo dal ministero delle finanze, la Serbia si sta indebitando in maniera crescente. Sulla base dei dati pubblicati, il debito pubblico della Serbia ammonta a 20.537 miliardi di euro, ovvero il 62,3% del PIL del paese: un debito molto alto considerando che la legge serba sul budget prevede che il tetto del debito non debba superare il 45% del PIL. Per quanto concerne quest ultimo, nonostante la Commissione europea ne abbia riconosciuto una crescita del 2,5% nel 2013 il PIL serbo risulta strettamente legato, se non dipendente, dalle esportazioni di aziende straniere. Tuttavia la criticità a medio-lungo termine sta nel fatto che le principali aziende esportatrici siano anche i principali importatori. Significativo è per esempio che i tre principali esportatori del 2013 – FIAT, NIS e Tigar Tyres – che hanno portato al paese 630 milioni di euro, ne abbiano spesi quasi tre volte tanti – 1,47 miliardi di euro – per le importazioni necessarie alle proprie produzioni. Secondo la stessa analisi della Commissione UE inoltre, anche gli investimenti diretti esteri, pari a circa 770 milioni di euro nel 2013, sono “al di sotto delle aspettative”. Aspettative che sono destinate a peggiorare dal momento in cui il nuovo governo Vucic dovrà rivedere l’ingente pacchetto di sovvenzioni statali, che era costato 3 miliardi di euro nel corso del 2013. Tale pacchetto, sin’ora molto generoso con le società estere in quanto investitori di maggior peso, conferiva diverse sovvenzioni per nuovi posti di lavoro ed agevolazioni fiscali, quali la riduzione della tassazione sugli utili. Queste sovvenzioni andranno riviste non solo per l’insostenibilità di tale sistema, ma soprattuto per la necessità di riequilibrare un bilancio statale che nel primo trimestre del 2014, ha già consumato il 40% del deficit previsto per quest anno.
Un altro dato critico riguarda le 153 aziende – di cui circa un quinto sono grandi società statali – che hanno dato il via alla procedura fallimentare in quanto si trovano in fase di privatizzazione, e il cui destino, insieme a quello dei 30mila lavoratori implicati, è ostacolato dalla mole burocratica del paese. Bisogna inoltre considerare una certa difficoltà nell’utlizzo e gestione dei prestiti concessi a Belgrado: negli utlimi dieci anni la Serbia ha ricevuto più di 5 miliardi di euro. Tuttavia solo un terzo di questi 5 miliardi è stato utilizzato, mentre i restanti due terzi gravano sul budget statale, che dal 2009 al 2013 ha dovuto provvedere alla liquidazione dei danni, pari a 22 milioni di euro, per crediti non utilizzati. Ultimo ma non meno importante è il credito della Banca Mondiale: una boccata d’aria fresca condizionata dalla realizzazione delle riforme promosse da Vucic. Tale credito non sarà utile tanto a sanare la situazione economico-finanziaria del paese quanto a ristabilire la fiducia dei creditori internazionali nelle capacità della Serbia di ripagare i propri debiti.
E mentre il nuovo governo guarda ad Emirati Arabi, Cina e Russia alla ricerca di nuovi investitori e soprattutto creditori, Vucic si impegna a sistemare le cose “in casa”, ma anche a “guidare” il lungo viaggio di negoziati della Serbia verso l’Unione Europea.
Foto: b92.net