Oltre due milioni di profughi siriani sono alla ricerca di protezione oltre i confini del proprio paese di provenienza, dilaniato da tre anni di conflitto civile (marzo 2011), senza calcolare l’enorme fenomeno degli sfollati interni, stimati intorno ai sei milioni di persone.
L’esodo dei migranti, che finora interessava soprattutto i territori confinanti di Giordania, Turchia, Libano, Egitto e Iraq, si è spostato verso l’Europa, concentrandosi lungo il confine tra Turchia e Bulgaria.
Da settembre la situazione sta allarmando il governo di Sofia, la popolazione locale, le varie agenzie umanitarie coinvolte e i centri decisionali di Bruxelles.
La criticità del momento rende i lavori particolarmente difficili, così come spesso inefficienti sembrano essere gli sforzi intrapresi dall’ UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati).
La situazione per la prima volta è venuto alla luce a ottobre, quando la televisione nazionale ha trasmesso le immagini riprese da una telecamera a circuito chiuso per rivelare le condizioni all’interno del centro Voenna Rampa, nella capitale Sofia. I richiedenti asilo in attesa di registrazione sono assiepati nei centri di accoglienza e ricevono dal governo un assegno di circa 1,50 dollari americani per persona al giorno – abbastanza per comprare un litro di latte o di un chilo di patate.
Il valico della speranza
Al fine di limitare l’afflusso di migranti, il governo sta ultimando la costruzione di una recinzione lunga 33 km e alta 3 metri nella regione montuosa di Elhovo, a pochi chilometri dal confine turco. Descritta come “installazione di un’opera di ingegneria temporanea” il muro si dice sia costato € 3.000.000 (4 milioni di dollari) e dovrebbe servire a riorientare i rifugiati ai checkpoint di frontiera ufficiali. L’UNHCR ritiene che il muro sia una messa in opera controproducente che, se da una parte demoralizza i flussi, dall’altra incentiva le speculazioni illecite e arricchisce le tasche dei trafficanti di profughi.
La ricetta del malcontento ed estremismo xenofobo
Recenti reports da parte di Amnesty International parlano di una preoccupante tendenza che fa da cornice alla vera e propria lotta alla sopravvivenza dei rifugiati: l’ondata di fervore xenofobo delle cosiddette “pattuglie civili” composte da militanti di Ataka e altri groppuscoli satellite per “la pulizia dalla feccia di immigrati”. Secondo un recente sondaggio, ha detto Barbora Černušáková , ricercatrice bulgara per Amnesty, il 75% della popolazione dichiara che non avrebbero accettato i profughi nella propria città o villaggio.
La Bulgaria ha sette milioni e mezzo di abitanti, un tasso di crescita negativo, un prodotto interno lordo pro capite di 7 mila dollari l’anno, il 76esimo posto nella graduatoria mondiale. Giusto per un confronto, il Pil pro capite italiano è di 33 mila dollari, quello tedesco di quasi 42 mila, quello svedese di 55 mila.
Partendo dal sintetico quadro di riferimento sulla situazione politico-economica che si respira in Bulgaria, la commistione tra malcontento popolare verso le istituzioni, l’insofferenza verso il crescente problema rifugiati e l’irritazione verso i contributi dell’ Unione Europea alla causa profughi, risulta facile individuare le cause che alimentano l’insorgere di movimenti destroidi e conservatori. Tra il lassismo e la corruzione della classe politica locale, la distribuzione opinabile delle risorse UE e l’ interventismo umanitario internazionale rivolto alla causa rifugiati politici, la popolazione locale si sente abbandonata a se stessa e trascurata dalle istituzioni di riferimento, in balìa degli avvenimenti e degli sviluppi prossimi a venire.
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